I veri problemi della salute mentale continuano a non essere affrontati
di Mario Sellini
La costante riduzione del numero degli operatori, il sottofinanziamento, l’assenza di una reale multidisciplinarietà ecc. Questi sono i temi sui quali ci piacerebbe confrontarci e non continuare a discutere su falsi temi quali il presunto ‘appiattimento sul modello biomedico di settori della Psicologia’. Noi restiamo fermamente convinti che nel campo della salute, la multidisciplinarietà deve essere intesa quale capacità di integrare i tre modelli, biomedico, psicologico e sociale
26 LUG - Dopo una prima valutazione, assolutamente critica, sul documento ‘di sintesi’ presentato alla Conferenza Nazionale sulla Salute Mentale, Form-AUPI è chiamata a ritornare sull’argomento. Ne avremmo fatto volentieri a meno. Lo spunto ci viene fornito da un documento firmato da
Angelo Barbato dell’Istituto Mario Negri,
Antonello D’Elia di Psichiatria Democratica, Pierluigi Politi ordinario di psichiatria,
Fabrizio Starace della SIEP e
Sarantis Thanopulos della Società Psicoanalitica italiana.
Il titolo è accattivante: La cura nella Salute Mentale come valorizzazione della persona e difesa della democrazia. Avremmo potuto esprimere qualche perplessità sulla modalità, apparentemente esclusiva, di associazione tra ‘salute mentale’ e ‘difesa della democrazia’. Noi crediamo che il concetto di salute quale difesa della democrazia sia un principio di carattere generale da non poter essere ricondotto esclusivamente alla salute mentale così come indicato dalla Costituzione che all’art. 32 testualmente recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
La difesa della democrazia è un valore che la Costituzione coniuga con il concetto di Salute nella sua globalità e non può diventare prerogativa esclusiva della ‘salute mentale’. Ma non è questo il tema da affrontare.
Abbiamo letto con molto interesse il documento e, dopo poche righe, la nostra attenzione è stata completamente rapita da una frase e da un concetto che ci ha fatto trasecolare e che, per completezza, riportiamo testualmente: “L’approccio puramente farmacologico alla “sofferenza mentale” e, tendenzialmente, a tutte le problematiche esistenziali, appiattisce sulla biologia i nostri desideri, sentimenti, pensieri e azioni, facendo leva su un obsoleto determinismo naturalistico. Esso ha creduto di potersi accreditare scientificamente a forza di “evidenze”, costruite a sua immagine e somiglianza, ma l’aver perso di vista l’esperienza soggettiva l’ha condotto a risultati deludenti. Il modello biomedico ha trovato sostegno nei media, nell’insegnamento universitario, in gran parte dei servizi di Salute Mentale e ha contagiato settori della psicologia (nostra sottolineatura)”.
Assolutamente condivisibile l’affermazione secondo la quale l’approccio puramente farmacologico appiattisce l’approccio alla sofferenza. Ma non si può buttar via il bambino con l’acqua sporca. Criticare, giustamente, l’approccio esclusivamente farmacologico e associare alla critica il tema delle “evidenze” è un errore che nessuna disciplina può permettersi. Rinunciare alle “evidenze” vorrebbe dire portare fuori dalla ‘Sanità’ tutta la salute mentale. Tutte le discipline presenti nel Servizio Sanitario hanno come punto di riferimento il tema delle ‘evidenze’. Per quanto ci riguarda, le discipline di Psicologia e di Psicoterapia non possono e non vogliono fare a meno di confrontarsi con questo tema.
Immaginiamo cosa vorrebbe dire, oggi, in piena pandemia abbandonare il tema delle ‘evidenze’ e considerare la lotta al COVID-19 senza considerare le evidenze scientifiche. In giro ci sono già troppe critiche al metodo scientifico per allargare anche al campo della Salute Mentale dubbi sul metodo basato sulle ‘evidenze’.
Ritornando al tema che più ci interessa, la frase “Il modello biomedico ha trovato sostegno nei media, nell’insegnamento universitario, in gran parte dei servizi di Salute Mentale e ha contagiato settori della psicologia” è per noi psicologi, oltre 2.000 psicologhe e psicologi, che quotidianamente lavoriamo nell’ambito della salute mentale, particolarmente scioccante. Per non dire offensiva. Ma scioccante ed offensiva sono parametri di valutazione soggettivi ed in quanto tali neppure meritevoli di attenzione. Ci sorprende l’apoditticità di una affermazione che non trova alcun riscontro nella realtà culturale, scientifica e della politica professionale, della Categoria degli Psicologi.
Che la Categoria degli Psicologi possa essere contagiata dal ‘modello biomedico’ è una contraddizione in termini. Sarebbe sufficiente il buon senso per considerare tale affermazione fuori luogo e fuori contesto. In un altro momento e formulata da altri soggetti o anche dagli stessi in altra situazione, questa affermazione non avrebbe suscitato negli Psicologi alcuna reazione. L’avremmo considerata una boutade. Oggi, però, ci chiediamo il perché di una tale affermazione. Forse è ‘dal sen fuggita’? Vorremmo crederlo…se non fosse che nel documento in questione, la ‘Psicologia’ è citata una sola volta e con questa accezione assolutamente impropria, inadeguata e assolutamente non corretta. Una disciplina scientifica, la Psicologia, descritta come appiattita sul modello biomedico.
Poi, dopo questa infelice citazione, per incanto, la Psicologia sparisce dal documento. Non ce n’è più traccia. Eppure il documento tratta della ‘salute mentale’ ambito nel quale esercitano la professione migliaia di psicologhe e psicologi; salute mentale che è diventata tale perché alla psichiatria, al modello biomedico, a partire dall’approvazione di un sostanzioso corpus normativo (leggi 431/68, 515/71, 18078 e 207/85 solo per citarne alcune) è stata associata la psicologia.
Nonostante ciò, in questo documento la Psicologia è associata unicamente al cd ‘modello biomedico’ e, per tutto il resto, è resa invisibile. L’unica, altra, apparizione è in una formulazione alquanto confusiva: psicoanalisi/psicologia dinamica che tra l’altro, anche dal punto di vista della correttezza normativa oltre che scientifica, non corrisponde ad alcuna delle discipline previste dal Servizio Sanitario e dalle regole che lo governano. Dobbiamo inoltre riscontrare un errore culturale e scientifico che non ci saremmo aspettati: la psicoanalisi/psicologia dinamica sono componenti, la prima della ‘disciplina di psicoterapia’, la seconda delle ‘discipline di psicologia e psicoterapia’. Sono aspetti molto specifici, di non facile comprensione, ma che richiedono un’assoluta coerenza culturale, scientifica e metodologica oltre che una fedele corrispondenza alla normativa vigente.
Non siamo in grado di fornire una motivazione valida del perché di questi contenuti riscontrati nel documento. Potremmo forse ipotizzare una crescente difficoltà riscontrabile nelle numerose critiche che provengono da molte e diverse componenti a partire dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, dalla Società italiana di psichiatria, dalla Società Italiana Tossicodipendenze, dalle enormi perplessità derivanti dall’inserimento nell’ambito della salute mentale della ludopatia ecc. Ma questi sono altri temi sui quali il dibattito è aperto.
Resta il fatto che i veri problemi della salute mentale non sono affrontati e sono: la costante riduzione del numero degli operatori, il sottofinanziamento, l’assenza di una reale multidisciplinarietà ecc. Questi sono i temi sui quali ci piacerebbe confrontarci e non continuare a discutere su falsi temi quali il presunto ‘appiattimento sul modello biomedico di settori della Psicologia’. Noi restiamo fermamente convinti che nel campo della salute, intesa nell’accezione più ampia, nessun modello debba prevalere sugli altri e, sulla base delle indicazioni dell’OMS la multidisciplinarietà deve essere intesa quale capacità di integrare i tre modelli, biomedico, psicologico e sociale con il costante riferimento al tema delle ‘evidenze’.
Mario Sellini
Presidente AUPI - FORM
26 luglio 2021
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