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La Commissione sulla “sostenibilità” e la sfida di una vera riforma della sanità

di Ivan Cavicchi

La sanità, con l’istituzione di una commissione Bilancio-Salute in Parlamento,  torna  nel luogo elettivo  della politica. Ma la sostenibilità  non può né essere un argomento assoluto né un modo per imputare al sistema la colpa di essere pubblico,  come se pubblico fosse sinonimo di insostenibilità

15 GIU - Vorrei esprimere la mia soddisfazione per  l’istituzione da parte della Camera  di una commissione di indagine congiunta Bilancio e Affari sociali sui problemi della sanità. La sanità torna  come è giusto nel luogo elettivo  della politica rispetto al quale   il governo viene sentito  al pari di altre istituzioni come parte che concorre  alla definizione di un giudizio, senza per questo negargli nessuna delle sue prerogative.
 
La  Camera con questa iniziativa è come se volesse integrare   il problema finanziario con altri generi di questioni sottolineando una critica implicita agli orientamenti economicistici di questi anni. O almeno  speriamo che sia così! Che in sanità esistano problemi finanziari è innegabile ma  negli ultimi anni e ancora oggi con la solfa della sostenibilità   troppe sono state  le magagne  del sistema nascoste  dietro al problema finanziario e al problema finanziario troppe  responsabilità sono state  attribuite quando nel sistema vi sono da decenni ben altre criticità.
 
Le Regioni ne sanno qualcosa. La mia soddisfazione per la commissione  non è solo perché in qualche modo condivido il metodo cioè anteporre alle definizione delle  politiche  la stesura di un bilancio delle cose fatte e non fatte, ma anche perché, come ci insegna l’esperienza inglese (rapporti Griffith, Korney) non si possono prendere decisioni sulla sanità  senza una puntuale conoscenza della sua complessità.
Questa commissione di indagine, si dice, è per la “sostenibilità” del sistema (termine caro  agli economisti dell’insostenibilità) che come ho detto più volte è discretamente  ambiguo.  Nel ‘92  (502) la parola chiave era “coerenza” tra tutele e  finanziamento, nel ‘99 (229) le parole erano  due “contestualità”  “compatibilità” tra sanità e  finanzia pubblica. Oggi  a quanto pare il tormentone di turno è “sostenibilità”, declinata  in funzione  della prossima  legge di stabilità, in linea con quanto dichiarato dal ministro Saccomanni sulla necessità di ridurre ulteriormente la spesa  sanitaria, con la differenza che stavolta anziché fare tagli lineari  si farà veramente la  spending review, la spesa sarà “rimodulata”  e comunque “ridotta”.
 
Che la ministra Lorenzin  dica “nessun taglio” non vuol dire  che la spesa non dovrà calare.. ma che dovrà calare in un altro modo. Ma in quale modo? Ho paura che per le Regioni  il “Patto” , che questa volta dopo tante arrabbiature  pensate un po’ si vuole riformare, non sarà comunque  una passeggiata. Le mie idee sulla spending review, sulla rivedibilità della spesa sanitaria, sulla riformabilità del sistema sono note e quindi non mi ripeterò.
Il punto è  cosa vuol dire sostenibile? Qualche giorno fa in un bel convegno per spiegare l’ambiguità di questa  parola  ho invitato un corpulento signore del pubblico sul palco a sedere su una sedia, dichiarando che il sistema “signore/sedia” era insostenibile. Ho quindi invitato gli astanti  a spiegarmi le ragioni di tale ipotetica insostenibilità. Qualcuno se l’è presa con la sedia, qualcun altro con la stazza del signore, ma alla fine tutti avevano capito una cosa: la sostenibilità è funzione  delle quantità, delle qualità, delle organizzazioni, delle professionalità, dei contesti.
 
A tutti  era chiaro  ad esempio che non si può dare sostenibilità senza moralità cioè che un sistema sanitario corrotto, disorganizzato, malgovernato, regressivo,  è automaticamente  insostenibile. Qualunque ne sia il suo grado effettivo. La sostenibilità  non può né essere un argomento assoluto come sostengono coloro che teorizzano la fine dell’universalismo, né un modo   per imputare al sistema la colpa di essere pubblico,  come se pubblico fosse sinonimo di insostenibilità.  Questa è la ragione per cui i tagli lineari o le mutue  non  rendono  più sostenibile il sistema  ma semplicemente meno pubblico e quindi meno giusto. Che poi  lo Stato abbia pochi soldi da dare alla sanità è un altro paio di maniche per cui è possibile che la sanità sia relativamente sostenibile ma che non ci siano soldi abbastanza per finanaziarla. In questo caso non è onesto dire che la sanità è insostenibile.
Il termine che io preferisco, come è noto, e che troverei  più adatto al lavoro della commissione   e che, a dir il vero spiegherei volentieri alla commissione, non è sostenibilità ma   “compossibilità” cioè chiedersi  come sia possibile, anche in recessione, fare in modo che diritti e risorse siano senza contraddizioni e in ragione di ciò entrambi possibili. Quali sono le principali contraddizioni da rimuovere? Nel mio ultimo libro sulla programmazione sanitaria (Mc Graw Hill 2012) ho allegato un indice analitico delle principali contraddizioni, anomie, paradossi, antinomie  del sistema sanitario. Più di un centinaio di fattispecie diverse. Siccome le contraddizioni hanno un costo, il solo poterle rimuovere  almeno della metà permetterebbe al   nostro sistema  di essere  “low cost” cioè leggero, funzionale e moderno e persino più giusto, diventando persino più pubblico di quello che è ora.
Nel ‘92 abbiamo  “riordinato” una disciplina, nel ‘99 abbiamo “razionalizzato” un sistema di servizi, per garantirci  la compatibilità tra diritti e risorse. Oggi, in pieno post welfarismo, quale politica? Probabilmente,  almeno questa è la mia fondata convinzione, dovremmo “riformare” tanto la disciplina che il sistema. Serve solo  un pensiero riformatore appropriato. Nulla di più. Buon lavoro alla commissione.
Ivan Cavicchi

15 giugno 2013
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