Quello che in questo momento mi interessa dopo l’approvazione del governo della proposta Calderoli sul regionalismo differenziato è che la battaglia ormai si sposta in Parlamento.
In questo contesto acquisisce ancora più importanza politica la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare intrapresa dal coordinamento per la democrazia costituzionale (QS 12 gennaio 2023) per cui rinnovo il mio invito alla sua sottoscrizione (QS 16 gennaio 2023) ricordando a tutti che tale proposta può essere firmata con lo SPID sul sito www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it.
Ricordo che la Costituzione (art 71) consente al popolo di esercitare l'iniziativa delle leggi “mediante la proposta da parte di almeno cinquantamila elettori di un progetto redatto in articoli”. Questo potere riconosciuto ai cittadini di dare avvio al procedimento legislativo è un istituto di “democrazia diretta”.
Io credo che per impedire la mostruosità istituzionale che la proposta appena approvata dal governo rappresenta l’esercizio della democrazia diretta sia un fatto di straordinaria importanza politica. Sia quindi il popolo a sconfiggere chi è contro il popolo cioè chi è contro la cultura della solidarietà dell’universalità e della giustizia.
Il rapporto Gimbe
Su questo sfondo politico ho letto con grande attenzione il Report di GIMBE sul regionalismo differenziato (QS 2 febbraio 2023). Desidero pubblicamente complimentarmi con i suoi estensori e in particolare dire a Nino Cartabellotta che prima di tutto ho apprezzato l’indipendenza politico culturale della sua analisi e quindi l’assenza di ogni genere di conflitto di interesse.
Nel merito dei problemi non ho molto da aggiungere alla analisi di Gimbe e a quello che in questi anni anche io ho scritto a più riprese sull’argomento. Anzi sostanzialmente le nostre analisi sono coincidenti.
Quindi mi limito sulla strada tracciata da Gimbe a fare brevi annotazioni a margine sulle principali aporie politiche che vedo e che il passaggio parlamentare dovrà chiarire.
Porcellum 2
La prima aporia è il rischio per il paese di essere guidato a livello istituzionale da un secondo “porcellum” cioè qualcosa che per imporsi a tutti costi, cioè per dare il contentino alla Lega e quindi per non spaccare il governo è disposto se necessario a fare le più improbabili mediazioni.
Cioè il rischio che vedo è che per mediare si facciano pasticci. La sanità oggi ha bisogno di meno confusione istituzionale non di più. Cioè guai a scrivere un testo finale con la logica dell’escamotage o con quella delle furbate A soffrirne prima di tutto sarebbe il paese.
Io continuo a pensare che anche per evitare il rischio del porcellum 2 sia fondamentale l’esercizio della democrazia diretta attraverso lo strumento della legge costituzionale di iniziativa popolare. Dobbiamo credere in questa possibilità.
Il ruolo sbilanciato tra parlamento governo regioni
La seconda aporia che vedo nella proposta del governo riguarda il tentativo in realtà i ridurre al minimo il ruolo del Parlamento e amplificare al massimo quello delle Regioni. Nella proposta Calderoli di fatto la scelta politica fatta è quella di non chiedere al Parlamento un atto di interpretazione o di reinterpretazione del titolo V ma di dare per scontato che l’atto di indirizzo già esiste ed è quello definito con la contro-riforma del titolo V del 2001.
Ridurre al minimo il ruolo del parlamento è funzionale all’ampliamento massino di quello delle regioni e all’enfatizzazione delle intese tra regioni e governo che il parlamento si dovrà limitare a ratificare.
Questo apre un enorme problema per due ragioni:
- la prima è che in questo modo si rinuncia alla possibilità di mediare ad esempio sul numero e sul genere di materie da secedere. Io stesso ho proposto ad esempio di considerare alcune materie indevolvibili (QS 24 settembre 2018) Ma per decidere una riduzione delle materie da secedere serve cambiare il titolo quinto e precisamente l’art 117. Oggi le regioni possono chiedere la secessione di tutte le materie che vogliono E questa è una follia.
- la seconda è che in questo modo si sprofonda nella contraddizione costituzionale cioè i diritti costituzionali di fatto sono concretamente decisi secondo la proposta del governo in modo fino a farli dipendere dalle intese tra governo e regioni e dai famosi DPCM di cui parla anche Gimbe. Detto con altre parole: le intese tra regioni e governo decidono di fatto le variazioni alla costituzione. Cioè sono le regioni che decidono come soddisfare i diritti costituzionali delle persone.
Universalismo formale e universalismo sostanziale
La terza aporia che desidero evidenziare riguarda i lep. Sul manifesto (2 febbraio 2023) al prof Cassese che crede che i lep siano una garanzia dii universalismo ho fatto notare che questa è una fallacia.
I lea fatti nel ‘92 con le aziende non hanno impedito la crescita delle diseguaglianze e meno che mai hanno inciso sul fenomeno della mobilità regionale. Cioè si deve sapere che l’universalismo formale dei lea non garantisce in alcun modo l’universalismo prestazionale. L’universalismo delle prestazioni è garantito solo se ci sono strutture adeguate e operatori adeguati in tutte le regioni, quindi una metodologia adeguata e infine risorse adeguate. Si ricordi il principio tomista “agere sequitor esse” cioè la prestazione vera dipende da chi la fa da come la fa e dai mezzi che ha per farla.
Se ci si limita a definire i lep senza garantire le condizioni di equità strutturale e sovrastrutturale del sistema dei servizi si buca l’obiettivo. Cioè si scade nell’escamotage della foglia di fico.
I lep tra pubblico e privato
La quarta aporia riguarda il rapporto pubblico privato. A contraddire il falso universalismo dei lep vi è il sempre più crescente mix pubblico/privato di cui nessuno parla ma che alla fine si rivela decisivo a cambiare le prestazioni da regione a regione. Nella letteratura nazionale e internazionale come ho ricordato anche di recente (QS 23 gennaio 2023) abbiamo evidenze che ci dicono che a parità di lea la mortalità è più alta nella sanità privata e che è più bassa in quella pubblica. Le prestazioni descritte nominalmente nei lep o nei lea sono solo uguali ma quelle del privato sono diverse da quelle del pubblico. A rendere diverse le prestazioni è il loro scopo e i modi che si usano per conseguirli. Se il loro scopo è il rispetto del diritto le prestazioni saranno di un tipo se invece lo scopo è il profitto le stesse prestazioni saranno di un altro tipo. Se le prestazioni anche tecnicamente le garantisce il privato saranno una cosa se le prestazioni le garantisce il pubblico saranno diverse.
Lep e costi standard
Vorrei ricordare che alla base della proposta di regionalismo differenziato vi è la teoria di finanziare la sanità definendo dei costi standard. I lep sono funzionali a garantire la possibilità di finanziare le regioni con i costi standard.
I costi standard (Qs 2 agosto 2013) nascono dalla contabilità industriale e si basano sulla possibilità di analizzare con precisione tutti i costi che partecipano al processo produttivo e i vari scostamenti tra i costi teorici i costi reali. Se per chi fabbrica bulloni questo è del tutto possibile, in sanità no nel senso che solo una minima parte dei costi delle attività sanitarie si potrebbero standardizzare. La maggior parte dei costi clinici in sanità cioè quelli riconducibile ai trattamenti di cura dei malati non sono standardizzabili semplicemente perché la cura, a fronte della complessità clinica del malato non è standardizzabile.
Vorrei anche ricordare che l’unico tentativo di adottare i costi standard fu fatto in occasione del riparto del fondo sanitario 2013 Il risultato fu un flop clamoroso tanto da indurre le regioni a ritornare ai vecchi criteri della spesa storica pro-capite (QS 19 dicembre 2013).
Dai lea ai Lep
La quinta aporia ha a che fare con la proposta approvata dal governo di passare dai Lea ai Lep. La legge che nel 1992 ha istituito i Lea parla di “livelli di attività di servizi e di prestazioni”, i Lep, invece, sono solo “prestazioni” intendendo per prestazione un singolo e specifico atto clinico-assistenziale, di natura diagnostica e/o terapeutica. I Lea in sanità sino ad ora sono stati definiti come macro aggregati di attività servizi e prestazioni e suddivisi in tre grandi gruppi (salute pubblica, assistenza distrettuale, assistenza ospedaliera). In pratica nella proposta di regionalismo differenziato con i Lep l’intenzione sembra essere quella di ridurre il concetto di tutela facendo coincidere il bisogno di cura con la prestazione tecnica tout court. Cioè con il minimo del minimo.
L’dea folle per chi non conosce le complessità della clinica è probabilmente quella di costruire costi standard quantificando i costi di ogni singola prestazione clinica. Esattamente come si usa nei prontuari delle assicurazioni. Ma ribadisco procedere in questa direzione è una follia ma soprattutto sarebbe come ammazzare il diritto alle cure adeguate.
Residui fiscali
L’ultima aporia che voglio segnalare per me è la più importante.
Molti sono convinti che con le rassicurazioni che l’onorevole Calderoli nel corso dei suoi incontri con le regioni la questione dei residui fiscali sia stata accantonata. Io mi permetto di dubitarne e su questo argomento di essere scettico anzi di invitare tutti alla massima allerta. (QS 22 novembre 2022)
Rammento che per “residui fiscali” si intende la differenza tra tutte le entrate fiscali pubblicamente riscosse in un determinato territorio e le risorse che in quel territorio vengono spese.
Se i residui fiscali come ha detto il ministro Calderoli non sono all’ordine del giorno, allora perché nei pre accordi fatti dalle regioni si propone di finanziare le regioni in due fasi la prima secondo la spesa storica e la seconda attraverso criteri proporzionali non ai bisogni della gente ma in qualche modo proporzionati alla ricchezza locale prodotta?
Ricordo che il termine residuo fiscale è di Buchanan, premio Nobel per l’economia nel 1986 che lo inventò per trovare una giustificazione di tipo etico ai trasferimenti di risorse dagli stati più ricchi a quelli meno ricchi.
Con il regionalismo differenziato si vuole invertire l’idea di Buchanan cioè si vogliono trattenere nelle regioni più ricche le risorse in esse prodotte e alle regioni più povere basta la carità quello che alla fine è il fondo di perequazione.
Conclusioni
Mio nonno amava dire che neanche il cane muove la coda per niente. La vera ragione per la quale la lega sta facendo di tutto per contro-riformare la struttura attuale dello Stato è senza dubbio economica.
A questa ragione economica bisogna dare delle risposte trovare delle soluzioni cioè serve una volta per tutte mettere le mani nelle vere ragioni delle diseguaglianze quindi correggere i criteri sbagliati di allocazione delle risorse sin qui adottati, cioè fare più giustizia distributiva non meno.
Il regionalismo differenziato si vince con un universalismo moderno efficace e adeguato.
Si tratta di essere universalisti in modo sostanziale non solo in modo formale e passare da una idea sbagliata che sin dalla 833 ha inteso l’universalismo come uniformismo ad una idea più adeguata di universalismo discreto cioè adeguato alle differenze che ci sono per evitare che esse si traducano in discriminazioni e ingiustizie. Intendere il diritto alla salute in modo discreto significa intendere la sanità quindi la cura in modo adeguato e coerente con i bisogni delle persone e delle collettività.
Ivan Cavicchi