Premessa
L’Alleanza per la Riforma delle Cure Primarie in Italia nasce per promuovere il rinnovamento dei servizi territoriali per la salute, ritenendo necessaria una nuova visione complessiva del Servizio Socio-Sanitario nazionale, basata su Cure Primarie secondo l’approccio della “Primary Health Care” come indicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
L’Alleanza, a fronte del DM71, ritiene che sia fondamentale una sua applicazione unitaria in tutte le Regioni del Paese per garantire la fruizione dei LEA da parte dei cittadini in particolare in permanenza della pandemia da Covid-19 e in una prospettiva di sua, speriamo, endemizzazione.
In questo documento l’Alleanza presenta le proprie proposte circa le azioni prioritarie di implementazione degli obiettivi del PNRR relativamente al ruolo dei Distretti Sociosanitari in quanto “Agenzie di Salute” per le popolazioni residenti, delle Case di Comunità, degli Ospedali di Comunità, delle Centrali Operative Territoriali e dei servizi di ADI, nonché del ruolo delle reti di cure primarie e dell’emergenza e urgenza.
Le proposte che avanziamo riteniamo siano cantierabili entro 6-12 mesi a supporto e implementazione degli obiettivi del PNRR per una sanità pubblica qualificata, sicura e resiliente.
Ci impegniamo altresì a contribuire ad un monitoraggio indipendente dell’attuazione degli obiettivi del PNRR nelle Regioni del Paese.
Proposte dell’Alleanza per la Riforma delle Cure Primarie in Italia per dare attuazione al DM71 nella prospettiva della Primary Health Care
L’Alleanza per la Riforma delle Cure Primarie in Italia[1], considerato il rilevante significato del cosiddetto DM71, di recente adozione, nel ridisegno della “Assistenza Territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale”, presenta in questo documento una serie di proposte per facilitare la traduzione nel concreto degli indirizzi del decreto, prospettando l’adozione di strumenti operativi e modalità innovative ed adeguate di misurazione delle attività e degli esiti attesi, anche in considerazione di possibili successivi decreti attuativi.
L’Alleanza ritiene che il DM71, pur a fronte di numerose criticità già pubblicamente espresse[2] e sinteticamente richiamate in appendice, presenta importanti elementi positivi in quanto detta criteri attuativi nazionali uniformi sull’organizzazione dei servizi territoriali per la salute, attesi da molti anni; in particolare il DM71:
L’Alleanza chiede pertanto che tali aspetti positivi -uniformità dei criteri a livello nazionale, centralità del Distretto, riconduzione di tutte le attività territoriali alla Casa della Comunità- siano presenti nel percorso di attuazione nel Paese.
Anche dietro la spinta dei finanziamenti del PNRR, auspica che l’attuazione sia ubiquitaria, specialmente nelle regioni dove i Distretti sono attualmente realtà solo virtuali. Inoltre, l’Alleanza chiede di attuare quanto disposto dal decreto in coerenza con la corretta e ampia visione esposta nell’introduzione del decreto, ponendo particolare attenzione ai seguenti orientamenti: casa come primo luogo di cura; approccio comunitario; passaggio dalla logica delle “prestazioni sanitarie” al “servizio per la salute” e al “prendersi cura”; valorizzazione e integrazione delle attività consultoriali rispettando le specificità dell’area materno-infantile; integrazione multiprofessionale.
Le proposte dell’Alleanza
Obiettivi “immediati”
L’Alleanza individua i seguenti obiettivi strategici potenzialmente attuabili nell’arco di 3-6 mesi (quindi entro il 2022):
L’Alleanza chiede quindi che tali obiettivi, già normati, vengano fatti propri da tutte le Regioni e che il Ministero della Salute ne monitori puntualmente l’attuazione e che, riscontrandone eventuali inadempienze, eserciti i poteri sostitutivi (Articolo 120 della Costituzione).
Obiettivo monitoraggio attuazione di: Distretti, COT, Case della Comunità, Ospedali di Comunità, Assistenza Domiciliare
L’attuazione di Distretti, COT, Case della Comunità, Ospedali di Comunità, Assistenza Domiciliare, secondo il PNRR, ha un orizzonte pluriennale, di 6 anni a partire dal 2022, a cui si associa la previsione del progressivo incremento delle risorse aggiuntive in deroga (da 90 milioni nel 2022 a 1 miliardo nel 2028) da destinare all’acquisizione di personale aggiuntivo.
Ritenendo importante monitorarne la progressiva attuazione a livello nazionale e l’effettiva attribuzione ai servizi territoriali di personale dedicato aggiuntivo in deroga, l’Alleanza si impegna a promuovere l’attivazione da subito di un percorso di monitoraggio indipendente pluriennale.
A tale fine, l’Alleanza intende connettersi e avvalersi delle diverse realtà che hanno avviato programmi di monitoraggio dello sviluppo dei servizi territoriali per la salute, a partire dalle iniziative già promosse dalle organizzazioni aderenti:
Sulla base di quanto sopra l’Alleanza si impegna e renderne pubblico un Rapporto Annuale.
Principali aspetti del DM71 ritenuti critici dall’Alleanza
Viene introdotta una clausola di invarianza finanziaria, per cui il Decreto va attuato senza nuove risorse finanziarie nell’ambito del livello di finanziamento del Fondo Sanitario Nazionale (FSN), con l’aggiunta delle risorse del PNRR. Ciò non appare realistico in relazione alla riconosciuta inadeguatezza del FSN, considerando anche che il PNRR non prevede investimenti per il personale, con l’eccezione dell’Assistenza Domiciliare.
Non chiarisce in modo inequivocabile che devono essere pubbliche e a gestione diretta del SSN, nell’ambito del Distretto, tutte le articolazioni dell’assistenza territoriale (Case di Comunità, Ospedali di Comunità, COT, assistenza domiciliare, ecc.). Vi è una apertura al “Terzo Settore” che va specificata, vedi il ruolo possibile di Assicurazioni e Mutue con le loro reti convenzionate, e chiarita in quanto potrebbe prefigurare una ulteriore privatizzazione strisciante della sanità pubblica.
Il volontariato ed il Terzo Settore sono considerati in chiave eminentemente prestazionale: non se ne riconoscono le potenzialità di innovazione, di anticipazione, di capacità di incarnarsi nella comunità locale creando un “ecosistema” sociale favorevole al miglioramento dei diversi determinanti di salute; appare anche una possibile confusione tra Terzo Settore locale e privato profit (che quando di grandi dimensioni sovrasta il livello distrettuale-comunitario).
Il “privato” viene considerato a prescindere dal fatto che sia profit o non profit, locale o sovra-locale, proprio perché concepito nel solo meccanismo di prestazioni erogate da enti in competizione, anziché di servizi attuati in collaborazione.
È complessivamente orientato al “sanitario con erogazione di prestazioni”, anziché a “salute e benessere dei singoli e della collettività”. Non si scorge il necessario passaggio dall’approccio ospedaliero (necessario ed efficace per rispondere alle acuzie gravi ma inadatto alla prevenzione e a gestire le cronicità e la fragilità) verso un modello proattivo di promozione e prevenzione della salute nei luoghi di vita, prevedendo il coinvolgimento attivo delle comunità e delle persone, che devono diventare esse stesse protagoniste della propria salute. In altre parole, manca la corretta visione di “Primary Health Care” indicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. In verità tale impostazione è ben espressa nell’introduzione del DM71; purtroppo però non la si ritrova nello sviluppo delle indicazioni organizzative, specialmente per gli argomenti esposti di seguito.
Mancano l’idea e il processo di “territorializzazione” del SSN: il DM71 afferma infatti che “il Distretto è un’articolazione organizzativo-funzionale dell’Azienda Sanitaria Locale sul territorio”; un modello cioè dove i servizi vengono “calati” secondo silos organizzativi, anziché venir progettati e costruiti a partire dai bisogni e dalle risorse del territorio. Non viene specificato che il Distretto è innanzitutto un territorio identificato, di dimensione di norma non superiore ai 100.000 abitanti, sulla base di criteri geografici-sociali-esistenziali-organizzativi-epidemiologici, e che in/con/per questo territorio definito va sviluppata l’organizzazione distrettuale, finalizzata a “territorializzarvi” il Servizio Sanitario Nazionale.
Manca l’approccio comunitario: le attività previste sono infatti orientate alla diagnosi e alla cura dei singoli piuttosto che alla valorizzazione di tutte le risorse locali sociali, scolastiche, lavorative, associative, di vicinato, per promuovere salute nei luoghi di vita, per gestire le cronicità avvalendosi della collaborazione e cooperazione, per contrastare le diseguaglianze in salute con la promozione di una diffusa sensibilità sociale.
Si prevede che la stratificazione della popolazione per la rilevazione dei bisogni, finalizzata alla programmazione e alla presa in carico, sia fatta solo sulla base dei consumi sanitari: modalità certamente interessante e ricca di potenzialità, ma che andrebbe integrata attraverso l’apporto delle conoscenze di operatori responsabilizzati in percorsi di governo clinico e salute collettiva, attraverso la visione delle amministrazioni e dei servizi comunali, attraverso il recupero delle conoscenze che le varie componenti della “società civile” possono portare. È fondamentale che la stratificazione dei bisogni della popolazione sia effettuata anche sulla base di indicatori socio-economici oltre che sanitari, valorizzando il ruolo delle amministrazioni e dei servizi comunali e delle componenti della società civile.
La stratificazione dei bisogni deve consentire una programmazione che parta dal lato della “domanda” dei cittadini analizzata sia in base a dati epidemiologici in essere e in divenire, che tramite sistemi di valutazione dei “bisogni complessi” da parte delle UVMD, tramite l’applicazione di sistemi di valutazione unitari e univoci, come indicato nel PNRR stesso, in tutte le Regioni, in tutte le ASL ed in tutti i Distretti sociosanitari.
Il non coinvolgimento dei Comuni porterebbe al non riconoscimento del potenziale apporto alla salute dei singoli e delle comunità di ciò che è esterno ai servizi propriamente sanitari.
Manca l’indicazione della centralità e necessità del lavoro in equipe multiprofessionali e soprattutto di come queste debbano funzionare. Solo così si possono garantire risposte globali e personalizzate, orientate a produrre salute e benessere anche quando si deve convivere con disabilità e cronicità. Solo così è possibile evitare che siano le persone, le famiglie, i gruppi sociali, a doversi “arrangiare” per ricomporre le prestazioni delle diverse figure professionali e delle diverse forniture di prodotti sanitari. Sarebbe necessario specificare in dettaglio come e da chi debbano essere composte le equipe multi professionali a cui compete l’erogazione dell’assistenza primaria e che non devono essere previste unità mono-professionali. In tal senso, infermieri, medici di medicina generale e pediatri di libera scelta dovrebbero operare nell’ambito delle equipe multi-professionali, svolgendo interamente la loro attività nell’ambito delle Case della Comunità o di articolazioni territoriali delle stesse.
Si prevedono settori-professioni tra loro separati, autonomi e tendenzialmente autosufficienti. Come questi (medici di famiglia o specialisti, infermieri di famiglia e comunità, assistenza domiciliare, ospedale di comunità, cure palliative, consultorio famigliare, attività psicologiche, attività di prevenzione, …) si connettano all’interno delle Case della Comunità non risulta chiaro. Si rende ipotizzabile che addirittura possano funzionare come entità appaltabili all’esterno. La strutturazione prevista per ciascuno appare rigida, di tipo ospedaliero, non in una prospettiva territoriale. Manca cioè il come la Casa della Comunità diventi perno di tutti gli attori nel territorio di riferimento. E non sembra casuale che l’obiettivo principale indicato nel DM71 sia la riduzione del numero di accessi al pronto soccorso e al ricovero, non il produrre salute.
L’assistenza domiciliare rimane affidata all’Assistenza Domiciliare Integrata intesa non come modalità di intervento (sociosanitario integrato) ma piuttosto come servizio separato, erogato da soggetti non meglio specificati, che in molte Regioni sono ormai enti privati, senza prevederne il superamento mediante l’integrazione dell’assistenza domiciliare tra i compiti delle equipe multiprofessionali delle cure primarie.
Viene dedicato uno specifico capitolo solo all’Infermiere di Famiglia o di Comunità (perché “o” e non ”e”?) senza indicare come questi si connetta nelle equipe multiprofessionali, mentre le tante altre professioni sono solo marginalmente e parzialmente menzionate.
Non viene esplicitato come i medici (ed i pediatri) di famiglia si connettano all’insieme: non è disegnato il loro ruolo benché, attraverso il loro compito di prescrivere farmaci e indagini, sia in posizione baricentrica, principale chiave di accesso al Servizio Sanitario. In particolare, il DM71 non dice come si connettono alle equipe multiprofessionali. Il rischio è che rimangano ancora di fatto esterni, addirittura controparte, al sistema distrettuale, quand’anche svolgano la propria attività in toto o in parte all’interno della Casa della Comunità.
Note:
[1] L’Alleanza per la Riforma delle Cure Primarie in Italia riunisce: Campagna Primary Health Care Now or Never; ACLI - Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani; Associazione AIFeC – Infermieri di Famiglia e di Comunità; Associazione APRIRE – Assistenza Primaria In Rete; Associazione Prima la Comunità; Associazione Salute Diritto Fondamentale; ASIQUAS, Associazione Italiana per la Qualità nell’Assistenza Sanitaria e Sociale; CARD - Confederazione delle Associazioni Regionali di Distretto; EURIPA Italia - European Rural and Isolated Practitioners Association; Istituto Mario Negri; Movimento Giotto; Slow Medicine.
[2] Revisione delle cure territoriali (Sole 24 Ore Sanità) - Documento di indirizzo del consiglio nazionale della CARD (Quotidiano Sanità) - DM71. Quale Modello? (SaluteInternazionale)