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INFARTO: le migliori performance al Centro Sud


03 OTT - La tempestività è il fattore più importante per la sopravvivenza di una persona colpita da infarto miocardico acuto (Ima). Studi di comunità hanno, infatti, dimostrato che la letalità degli attacchi cardiaci acuti nel primo mese è tra il 30% e il 50%, e di queste morti circa la metà si verifica entro due ore. Se la mortalità al momento dell’infarto è rimasta costante negli ultimi 30 anni, è però diminuita notevolmente la mortalità dei pazienti che riescono ad arrivare in ospedale vivi: negli anni Ottanta moriva entro il mese il 18% dei pazienti, oggi muore il 6-7%, per lo meno nei trial di grandi dimensioni, grazie ad una revisione sistematica di studi sulla mortalità in era pre-trombolitica, nella metà degli anni ’80.
La mortalità a 30 giorni dopo Ima è quindi considerata un indicatore valido e riproducibile dell’appropriatezza ed efficacia del processo diagnostico-terapeutico che inizia con il ricovero. In questo contesto, al fine di effettuare analisi più approfondite sulla risposta assistenziale al paziente infartuato, è stato definito un set di indicatori con l’obiettivo di valutare la qualità dell’assistenza a livello di strutture ospedaliere o di area di residenza del paziente. Il valore degli indicatori può variare tra aree territoriali e strutture; questo fenomeno, oltre che dalla diversa qualità delle cure, può essere causato dalla eterogenea distribuzione, dovuta al case mix, di diversi fattori di rischio come ad esempio età, genere, condizioni di salute del paziente.L’episodio di Ima è costituito da tutti i ricoveri ospedalieri avvenuti entro 4 settimane dalla data del primo ricovero per Ima.
 
Infarto miocardico acuto. Mortalità a 30 giorni dal ricovero - valore medio 10,28% (vedi tabella).

Chi si aspettava di vedere i migliori ‘out come’ concentrati nelle strutture del Nord rimarrà deluso: le prime otto strutture con performance degne di nota sono tutte concentrate al Centro e soprattutto al Sud Italia. L’ospedale con la più bassa percentuale di mortalità è nella regione Marche – esattamente all’ospedale Madonna del Corso a San Benedetto del Tronto – seguita dalla Sicilia e dalla Campania con due strutture i cui esiti sono più che favorevoli: l’ospedale S. Giacomo a Licata (anche se con un dato soggetto a rischio di errore) e Il Santa Maria della speranza e Battipaglia.
Ma c’è anche il rovescio della medaglia, perché sette delle dieci strutture con esiti decisamente da allarme rosso si concentrano sempre nelle regioni del Centro Sud. Nel Lazio troviamo ben due ospedali i cui dati di mortalità sono addirittura doppi rispetto alla media nazionale: al San Giovanni Evangelista di Tivoli arriva al 24,6% contro la media nazionale che si attesta al 10,28%, alla clinica S. Anna di Pomezia è del 20,4%. Stesso discorso in Campania con due ospedali dove le medie nazionali si raddoppiano: l’Ospedale  S. Giuseppe e Melorio a S.M. Capua a Vetere e l San Paolo Napoli raggiungono rispettivamente il 22 e il 21%.
 
 
Legenda
Per facilitare la lettura abbiamo selezionato le prime dieci e le ultime dieci strutture a livello nazionale con esiti favorevoli e sfavorevoli rispetto alla media nazionale. Le diverse strutture sono state collocate, così come realizzato dagli epidemiologi dell’Agenas, in tre fasce: quella blu, i cui dati aggiustati (ossia quei dati per i quali sono state considerate le possibili disomogeneità tra le popolazioni come l’età, il genere, presenza di comorbità croniche, etc..) e favorevoli, sono statisticamente certi; quella rossa in cui dati aggiustati sfavorevoli non presentano margini di errore statistico; quella grigia dove invece c’è un rischio relativo di errore di un risultato (quello che i tecnici chiamano fattore “p”).


03 ottobre 2012
© Riproduzione riservata

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