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Lunedì 25 OTTOBRE 2021
Il pessimismo della ragione
Gentile Direttore,
falliremo anche questa volta, per diverse ragioni e tutte oggettive. Prima fra tutte è che i servizi sanitari hanno visibilità solo quando servono o fanno scalpore, per il resto, il medico è quella cosa da cui tenersi lontani e scordarsene in tempo di pace. Se le cose vanno male c’è sempre qualcuno che ti suggerisce un luminare a pagamento.
La stampa se ne occupa sempre in negativo, per i casi di malasanità o quando deve occuparsi di qualche casta privilegiata. Ultimamente anche i medici di base vanno di moda. I governi di turno guardano la sanità pubblica sempre in termini di spesa e mai di rendimento: ci vuole una visione lungimirante per capire che un servizio che si occupa di salute mostra il suo rendimento in tempi lunghi, il denaro meglio speso è quello per la prevenzione e l’organizzazione efficace che produce benessere e salute, ma ci vogliono anni per tirare le somme.
Risparmiare hic et nunc significa tagliare i costi su servizi e personale e se i nodi verranno al pettine tra 10 anni a chi importa? Una legislatura non dura tanto tempo. Un’altra ragione, perché stiamo fallendo da quaranta anni e più, è perché la categoria medica ha sempre delegato a sindacati che sono sempre stati solo centri di potere per pochi affiliati. Chi è più vicino al sole si scalda di più. Il tavolo delle trattative è solo il terreno di scambio di favori. Tu non rompi le scatole e io ti passo il solito piatto di lenticchie: poca roba ma così sembrerà che stiamo facendo qualcosa: In realtà nessun tema essenziale è mai stato affrontato e cambiato.
La base dei lavoratori della sanità, non scende mai veramente in piazza, primo perché i medici lavorano in solitudine e non hanno mai fatto corporazione, secondo per deontologia: non incroceremo mai veramente i fonendoscopi. Vogliamo veramente abbandonare i malati al loro destino? E poi ci sono i condor, tutti quei colleghi a cui conviene che la sanità pubblica non funzioni. Se le liste di attesa diventano troppo lunghe e le visite specialistiche hanno tempi biblici, ci sarà sempre uno specialista che: signora venga domani che la visito.
Poi c’è la facile ricattabilità dei professionisti più deboli, quelli giovani in cerca di inserimento a cui è possibile chiedere qualsiasi cosa per guadagnarsi un posto al sole: dalle borse di studio da fame, ai turni raddoppiati o lavorare gratis in cambio di punteggio. Quanti giovani mandati a fare il caffè o con un pacco di fotocopie in vista di un brillante futuro?…, tranne essere figli di…, allora il futuro è assicurato. In questa palude in cui è sommerso un sistema di servizio pubblico, la necessità di cambiare le cose diventa la punta di un iceberg con in cima poche voci che vogliono un cambiamento e alla base una larga maggioranza che tira a campare e sogna la pensione.
Un cambiamento radicale con una riforma sostanziale della medicina del territorio ha bisogno di una mentalità nuova e una vera volontà di cambiamento. È un processo culturale che può essere acquisito da menti nuove e giovani e richiede una forza di convinzione che non abbiamo mai avuto in questi quaranta anni. Per questo falliremo.
Sento ancora mille voci che propongono mediazione, soluzioni condivise, patti con il governo, discussioni di bilancio, accozzaglie cooperativistiche di medici associati per sbarcare il lunario e, soprattutto, mille voci che non superano il nostro ambito. Ce la cantiamo tra noi senza che a livello governativo qualcuno si scomodi e mostri di capire finalmente con i fatti che la centralità del SSN è proprio la medicina del territorio. A troppi fa ancora comodo che il medico di base resti nella sua palude, solo e disgustato. Non interessa neppure alla gente, perché grazie a Dio, dei medici è meglio non aver bisogno. Per questo falliremo. Ancora una volta.
Enzo Bozza
Medico di base
Vodo di Cadore
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