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Giovedì 15 LUGLIO 2021
E io insisto, per fortuna che abbiamo il DM 70. Il probema è non averlo applicato
Gentile Direttore,
si è concluso il forum su QS su “Quale ospedale per l’Italia” e dalla sintesi finale di Ivan Cavicchi pare che il DM 70 sia non solo da superare, ma da abrogare. Ovviamente prendo atto di questa sintesi e non riavvio un dibattito che avrà modo di essere ripreso sia qui che in altre sedi. Oltretutto sul DM 70 ho già scritto qui tante volte che tra un po’ quel DM rischia di diventare Decreto Maffei, il che mi farebbe un onore che non merito.
Con la autorizzazione del Direttore vorrei solo esemplificare i danni che ha già fatto e che ancor di più farà alla rete degli ospedali pubblici il mancato governo di quella degli ospedali privati multispecialistici proprio per una mancata applicazione del DM 70. Il che mi consentirebbe di raggiungere un duplice obiettivo: quello di richiamare l’attenzione sulle assurda competizione in atto tra ospedalità pubblica e privata (con regole in alcune Regioni spesso sbilanciate a favore della seconda) e di ricordare che il DM 70 se non ci fosse lo dovresti riscrivere.
Delle regole a favore dell’ospedalità privata e delle sue conseguenze ho appena scritto qui su QS e quindi rimando alla precedente lettera sull’argomento. Mi limito solo a ricordare il dato preoccupante della fuga di medici specialisti nel privato. Vediamo invece cosa prevedeva al riguardo il DM 70 e ragioniamo su come è stato applicato. Il DM 70 prevedeva cose molto precise (mi limito alla parte sulle Case di Cura Multispecialistiche) e cioè che:
1. a partire dal 1° gennaio 2016 entrasse in vigore e diventasse operativa una soglia di accreditabilità e di sottoscrivibilità degli accordi contrattuali annuali, non inferiore a 60 p.l. per acuti;
2. al fine di realizzare l'efficientamento della rete ospedaliera, per le strutture accreditate già esistenti alla data del 1° gennaio 2014, che non raggiungevano la soglia dei 60 posti accreditati per acuti, anche se dislocate in siti diversi all'interno della stessa regione, fossero favoriti i processi di riconversione e/o di fusione attraverso la costituzione di un unico soggetto giuridico ai fini dell'accreditamento da realizzarsi entro il 30 settembre 2016 in modo da consentirne la piena operatività dal 1° gennaio 2017;
3. in questi casi, con riferimento al nuovo soggetto giuridico ai fini dell'accreditamento, la soglia dei p.l. complessivi non potesse essere inferiore a 80 p.l. per acuti e che le preesistenti strutture sanitarie che vi confluivano dovessero assicurare attività affini e complementari. Di norma, il processo di fusione delle suddette strutture doveva privilegiare l'aggregazione delle stesse in unica sede e, preliminarmente, ciascuna struttura oggetto di aggregazione finalizzata alla costituzione del nuovo soggetto accreditato doveva possedere una dotazione di p.l. autorizzati e accreditati non inferiore a 40 posti letto per acuti;
4. dal 1° gennaio 2017 non potessero essere sottoscritti contratti con le strutture accreditate con posti letto ricompresi tra 40 e 60 posti letto per acuti che non fossero state interessate dalle aggregazioni di cui al precedente punto.
Fino a qui ci siamo (o meglio ci dovremmo essere perché una verifica ufficiale sistematica di queste disposizioni non è stata fatta), ma poi il DM 70 prevedeva anche altro e cioè che il provvedimento regionale con cui si riclassificavano le strutture ospedaliere private le accreditasse o come ospedali di base, di primo o secondo livello o come strutture con compiti complementari e di integrazione all'interno della rete ospedaliera. Con specifica Intesa in Conferenza Stato-regioni, da sottoscriversi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, andavano definite le attività affini e complementari relative all'assistenza sanitaria ospedaliera per acuti.
Questa definizione non c’è stata e cosa è successo “nei fatti”? Che le aggregazioni sono state spesso formali prevedendo l’aggregazione di strutture che sono rimaste “ognuna a casa propria” mantenendo il più delle volte la loro attività originale duplicata o moltiplicata su più sedi della stessa rete d’impresa. Ed è successo che l’attività svolta da queste case di Cura è molto spesso la stessa svolta dalla rete delle strutture pubbliche della stessa area. Con la differenza che quelle pubbliche hanno una operatività condizionata dalle urgenze compresa quella pandemica e quelle private questo condizionamento non ce l’hanno.
Una semplice verifica a livello di ciascuna Regione di pochi item ci farebbe capire le dimensioni del problema ed i correttivi da adottare. Andrebbe in particolare verificato se:
1. sono stati effettivamente sospesi i contratti con le strutture che non raggiungevano al 1 gennaio 2014 i 40 posti letto per acuti;
2. sono stati effettivamente sospesi i contratti con le strutture che non raggiungono i 60 posti letto per acuti e che non sono entrate a far parte di una rete d’impresa con almeno 80 posti letto per acuti;
3. le neonate reti d’impresa concentrano le strutture in una unica sede o in ogni caso le differenziano per tipologia di attività;
4. c’è un ragionevole equilibrio tra la proporzione di strutture pubbliche impegnate nel sistema di emergenza- urgenza e la stessa proporzione di strutture private (la pandemia è stato un buon banco di prova);
5. le Case di Cura competono con la rete pubblica o sono rispetto a questa effettivamente complementari e integrative (valutazione da fare in base a criteri espliciti).
Ho già evidenziato come nelle Marche la verifica evidenzi una situazione di svantaggio della rete pubblica rispetto alla privata. Sono quasi certo che non è l’unica Regione ad avere questo problema e che non è quella che il problema ce l’ha più grande.
Per concludere una domanda ed un timore. La domanda: se non ci fosse stato e non ci fosse il DM 70 questa partita con che regole andrebbe giocata? Il timore: se non sarà il SSN a fare queste verifiche, specie nelle Regioni con Piano di Rientro, la farà quel giornalismo d’inchiesta cui troppo spesso si affida il lavaggio dei panni sporchi di casa anche nella nostra sanità.
Claudio Maria Maffei
Coordinatore scientifico Chronic-On
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