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Giovedì 27 MAGGIO 2021
Sui Mmg di nuovo “venti di guerra”
Gentile Direttore,
dopo il Dataroom di Milena Gabanelli si è ancor più scatenata la guerra dei non medici di famiglia intorno al rapporto di lavoro dei medici di famiglia, tra esternazioni veterosindacali, per cui o si è pubblici dipendenti o si è di per sé immorali, e entrate a gamba tesa e alquanto scomposte come quella di Vergallo che sostiene (a nome degli anestesisti?) che il cittadino ha fiducia negli ospedali, ed è vero, ma noi vorremmo che avesse fiducia nel suo medico personale.
Ieri Direttore si è sentita la sua voce che ha rammentato agli immemori le tante norme vigenti e non applicate e che disegnano soluzioni attualissime e soltanto da attuare; una voce di ragionevole tolleranza che par sollecitare tutti a non inventare l’ombrello ovvero l’acqua calda.
Cerco di sintetizzare quello che vo dicendo da tempo in base alla mia lunga esperienza; la medicina generale è rimasta ferma, e il resto del SSN non si è mosso gran che negli ultimi anni quando già i problemi si manifestavano nella loro complessità: la pandemia ha solo acuito questioni vecchie e risapute e oggi dobbiamo imparare a affrontare insieme la doppia epidemia della cronicità e delle future zoonosi, frutto della pessima gestione del pianeta. Ci serve una buona medicina di base.
La risposta alla sua domanda, perché il territorio non ha avuto una dignità e una configurazione che rispondesse realmente ai bisogni della gente a mio avviso è duplice. Da un lato la politica non ha più fatto aggio sulla cultura della salute come sicurezza umana. I politici, affascinati dalle costosissime e sofisticate innovazioni tecnologiche, hanno trascurato la parte più importante del servizio sanitario. I distretti esistono e anche le case della salute o di comunità, ma non si è pensato al personale, trasformando la soddisfazione del lavoro in disagio. Negli ultimi vent’anni è completamente mancato l’interlocutore politico.
Dall’altro lato anche i medici, lo riconosco, hanno mostrato timidezza nel proporre la modernizzazione del territorio, quelle che tu chiami “regole d’ingaggio” e cioè le integrazioni contrattuali. Fin dagli anni 70 la FIMMG aveva individuato i pilastri del rapporto di lavoro dei medici generali che fosse autonomo ma inserito nel servizio, per quanto allora assai lontano.
Pensammo al ciclo di fiducia e alla quota capitaria proprio per garantire quel “rapporto speciale” con i cittadini che già si andava perdendo nel moloch delle grandi istituzioni sanitarie. Pensammo che la promozione e la prevenzione fossero dirimenti per la tutela della salute e che la relazione fosse la base del prendersi cura oltre che del curare. Ecco il rapporto ottimale, il massimale, le regole d’accesso, le incompatibilità, il riferimento alla dimensione delle comunità locali. Avevamo già chiarissimo in mente la medicina generale come disciplina da insegnare, scienza e arte olistica, sociale e individuale. Queste norme resistono da oltre 40 anni. Ma non bastano più.
Cosa manca? Non possono più esistere prestazioni volontarie, cioè non può accadere che si vaccina in un quartiere e in un altro no. Le prestazioni concordate sono obbligatorie altrimenti nessuno può programmare. Inoltre il lavoro individuale non ha più senso. Il medico si inserisce in un gruppo (in Toscana esistono già le Aggregazioni Funzionali Territoriali o AFT) e il gruppo garantisce in un’area geografica l’assistenza H24 in modo che siano ancora possibili ambulatori anche nelle frazioni più sperdute che certamente la dipendenza avrebbe difficoltà a sopperire. Serve una maggiore assistenza domiciliare offerta dai medici del gruppo articolando il lavoro.
Allora i medici possono lavorare nelle Case della Salute (CDS) ma è bene che operino anche in altri studi per periferizzare al massimo l’assistenza (gli ambulatori dei medici generali son o già considerati strutture del SSN). Ovvio, come lei sostiene, che la CDS abbia un responsabile organizzativo che deve essere un medico generale; una sorta di carriera gestionale come in Toscana il capo dipartimento della medicina generale della ASL, figura di cui abbiamo sperimentato la grandissima utilità. Aggiungo che sarebbe utile un’articolazione di competenze professionali all’interno della AFT.
Queste soluzioni, con tutte le articolazioni del caso, nascono dalle normative vigenti ma non attuate. Proviamo a metterle in pratica? Sono più preoccupato della gestione amministrativa delle CDS perché non vorrei che fossero affidate al privato ripetendo la soluzione già fallita in Lombardia. Se questa viene riproposta vuol dire che c’è chi fiuta un affare in tutti questi miliardi del PNRR.
Credo, in conclusione, che i medici dovrebbero trovare unità, insieme alla FNOMCeO, su alcune questioni comuni: la governance del servizio, il ruolo del pubblico e, propongo, una sorta di statuto dei professionisti della sanità. Anche la recentissima legge sulla responsabilità nella pandemia dimostra come il diritto non abbia riflettuto a sufficienza sulle questioni poste dalla scienza moderna.
Infine, in anni passati, ho assistito alla formazione di ben due intersindacali mediche, fallite per diffidenze, piccinerie, per quella che Eolo Parodi chiamava “gestione dell’invidia”. Non è cambiato nulla. Qualcuno, su QS, si meravigliava, assai ragionevolmente, che i sindacati medici fossero andati da Speranza con due proposte diverse. Quis vult perdere Deus dementat.
Antonio Panti
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