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Mercoledì 19 MAGGIO 2021
Ma noi sanitari, siamo “ignoranti”?



Gentile Direttore,
abbracciando l’idea di discussione proposta dal dott. Maffei, a giudicare da come sono andate le cose per il fenomeno pandemico non ancora conclusosi, forse bisognerebbe arrendersi all’evidenza di una relativa ma diffusa ignoranza sanitaria, senza particolari distinzioni tra ambienti ospedalieri e non, e nemmeno limitatamente al tema delle “infezioni correlate all’assistenza” o come altro dir si voglia e, per quanto riguarda lo stretto ambito sanitario, bisognerebbe anche aggiungere: malgrado l’obbligatorietà di una ECM regolamentata – almeno formalmente – sin dal 2002 con svariati interventi normativi (dd. lgss. 502/92; 229/99; l.244/07).
 
Nel merito, visto che si tratta di tematiche così fondamentali e riguardanti tutti i livelli assistenziali, argomenti che, giusto caso, sono «tradizionalmente un indicatore importante di qualità dell’assistenza», sono molteplici i motivi di una indotta incertezza: da una parte, perché il ruolo delle istituzioni e delle società scientifiche non dovrebbe limitarsi alla pubblicazione di pagine internet, e dall’altra perché risultano particolarmente contraddittori alcuni svelati atteggiamenti (vedi il fenomeno “antivaccinismo” in ambiente sanitario).
 
Pertanto una eventuale discussione dovrebbe focalizzarsi non solo sull’impatto economico di qualsivoglia progetto formativo, e, non me ne voglia alcuno, sulle risultanze di taluni studi che non vogliono dare altro che analisi “indirette” della problematica, ma principalmente sugli esiti formativi effettivamente conseguiti e sulle situazioni che abbiano condotto a tali considerevoli conseguenti bisogni formativi.
 
Un’idea è forse rinvenibile in una riflessione “aggregata” tra gli esiti della DAD recentemente sperimentati nella scuola, fenomeno impattante al punto da far emergere una condizione denominata da un noto telegiornale come “ragazzi interrotti”, e gli esiti, per diversi motivi anch’essi non troppo positivi, proprio delle dinamiche introdotte dalla similare (ma non altrettanto “inquisita”) FAD.
 
La mia esperienza di FAD – pur all’interno di serissimi programmi formativi Universitari post laurea – mi riporta ad alcuni iconici episodi di lezioni online di svariate ore ridotte a letture:
- di un file edito dal ministero della salute: «Risk management in Sanità - Il problema degli errori» (tutt’ora online);
- di brani tratti da un testo (per s-fortuna) già nelle mie personali disponibilità;
- di una tesi di dottorato già liberamente reperibile su web.
 
Episodi ascrivibili a violazioni dell’art. 603 del c.p. Italiano …
 
Ma gli andazzi sono comunque trasversali: l’ECM in modalità FAD ha di fatto agevolato comportamenti di superficialità anche dei discenti, più indirizzati all’ottenimento dei crediti formativi che ad un reale apprendimento; situazione ormai così diffusa da essere accettata come prassi di normalità.
 
Per contro i provider dei corsi hanno sviluppato algoritmi di verifica dell’apprendimento basati su un sequenziamento dei test finali ad ogni tentativo successivo a quello fallito: sistema che però per varie ragioni si rivela uniformemente inefficace, giustificando anche ripetizioni non sempre utili (classico il caso dei corsi di radioprotezione quinquennali).
 
Sarà forse per queste collaudate, discutibili varie dinamiche – che senza la pandemia sarebbe stato più arduo evidenziare – che ci siamo ritrovati in uno stato – mi si consenta la variante di uno dei neologismi tratti dal ricco paniere Maffeiano – di “ignoranza di gregge”?
 
A mio modesto parere tutto ciò non può non costituire oggetto di una assai seria presa di coscienza: se la formazione “ante-FAD” comunque arrancava, ora però occorre ridefinire ex novo le modalità FAD in ogni ambito, sia di ECM che di Studi Universitari in modalità telematica.
 
Per quanto invece alle varie brame indotte dalla prossima ampia disponibilità economica che il Pnrr sulla salute ha indotto, se lo stesso è effettivamente «indirizzato allo sviluppo delle competenze tecniche, professionali, digitali e manageriali del personale del sistema sanitario», allora bisognerebbe pensare all’altro nevralgico tema emergente della formazione: quello di decine di migliaia di professionisti laureati non medici muniti di laurea specialistica (conseguita in presenza), di master di primo e di secondo livello, in attesa di una più consona collocazione; professionisti preparati proprio per rendere effettive le istanze di servizi sanitari ad alto valore aggiunto, di innovazione, ricerca e digitalizzazione del SSN, ma che al tempo presente – a causa di un sistema generale (anche concorsuale) forse non proprio meritocratico – sono ancora inquadrati come laureati triennali.
 
Dr. Calogero Spada
Dottore Magistrale
Abilitato alle funzioni Direettive
Abilitato alla Direzione e Management AASS

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