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Mercoledì 10 MARZO 2021
Covid. C’è spazio per una migliore comunicazione del rischio?
Gentile Direttore,
tutto sommato un tema abbastanza trascurato in tema di risposta alla pandemia è quello della comunicazione del (o sul) rischio, che in teoria dovrebbe svolgere un ruolo fondamentale. Qui con il termine di comunicazione del rischio (risk communication) intendo una cosa “vecchissima” in sanità pubblica la cui definizione tradizionale la ricaviamo anche da Epicentro dell’Istituto superiore di sanità: la risk communication è un processo interattivo di scambio di informazioni e opinioni tra individui, gruppi e istituzioni, tra soggetti coinvolti in merito alla valutazione e alla gestione di un rischio per la salute. Persone con interessi spesso diversi e ruoli diversi e competenze diverse (Stakeholder) e percezioni diverse…”. Fra l’altro uno dei più tipici campi di applicazione della comunicazione sul rischio è rappresentato proprio dalle emergenze di natura infettiva.
In attesa di un vaccino prima e di una efficiente campagna vaccinale poi le uniche armi sono la identificazione delle aree a maggior rischio e la previsione di misure di contenimento sempre più strette in funzione del livello di rischio. Ma al fondo esercitano un peso rilevantissimo i “banali” comportamenti individuali e collettivi in risposta al rischio di contagio. Talmente banali che nemmeno li ripeto. Ma non così banali da diventare “davvero” pratica corrente come testimoniato dai milioni di esempi di cronaca che documentano comportamenti insensati in piena rapidissima ascesa della curva epidemica.
E qui entrerebbe in gioco la comunicazione sul rischio se non fosse che, come dicevo all’inizio della lettera, della sua esistenza come metodologia con le sue regole se ne sono ricordati in pochissimi, anche negli ambienti più attenti alla dimensione epidemiologica e di sanità pubblica della pandemia. Un problema che ha riguardato la comunicazione sulla pandemia in generale, come bene è stato ricordato qui su QS dalla Consulta delle Società Scientifiche per la riduzione del rischio cardiovascolare.
E sì che i rischi della comunicazione del rischio sono ben noti, come ricordato alcuni anni da in un articolo di Scienza in rete di commento ad un libro di Giancarlo Sturloni, cui l’articolo attribuisce questa frase di straordinaria attualità: "L'aspetto forse più interessante nella comunicazione del rischio è proprio l'aver capito che, senza una partecipazione attiva e consapevole di tutti gli attori coinvolti, non è possibile fare prevenzione o gestire un'emergenza in modo efficace, mentre è più facile che nascano controversie sulla gestione del rischio stesso. La compartecipazione è quindi diventata una parte fondamentale della comunicazione del rischio, anche se nella pratica quotidiana ha un'evoluzione necessariamente graduale. Rappresenta un aspetto legato al cambiamento del rapporto tra scienza e società: le indicazioni date dall'alto su come comportarsi nella prevenzione o nell'emergenza non possono funzionare se, oltre a essere spiegate e comprese, non sono anche condivise".
Di tutto questo nella gestione della pandemia mi pare ci si sia dimenticati tanto più, come si trova scritto nella definizione riportata all’inizio, di una comunicazione in presenza di “persone con interessi spesso diversi e ruoli diversi e competenze diverse (Stakeholder) e percezioni diverse…”. La pandemia di Covid-19 sarebbe davvero un drammatico caso di scuola per l’applicazione di una “buona” comunicazione del rischio visto che a fronte di poche evidenze e tante opinioni sulla prevenzione del contagio la efficacia dei provvedimenti che contano sulla responsabilità delle persone risulta nei fatti limitata.
Lascio ad altri che ne hanno la competenza ed il ruolo il compito di declinare quale possano essere le migliori strategie di comunicazione sul rischio a livello nazionale, per sottolineare l’importanza di dotarsi di tali strategie anche a livello regionale e locale. Sempre più spesso la pandemia ha andamenti diversi tra Regione e Regione e tra Provincia e Provincia, come ho evidenziato qui pochi giorni fa descrivendo il caso Ancona. In molti casi ormai a livello locale si sceglie da parte della politica un atteggiamento attendistico che rimanda fino a quando diventano inevitabili le misure da “zona rossa”. In questa logica che trova le sue motivazioni nella drammaticità dei risvolti economici e sociali di questa pandemia che sembra non finire mai la attenzione verso la comunicazione del rischio è nulla ed è come se fossero una disciplina ed una metodologia che non esistono.
E i risultati si vedono nell’andamento di alcune curve epidemiche in vertiginosa impennata che vengono vissute come una sorta di calamità naturale. Calamità lo sono, naturale un po’ meno.
Claudio Maria Maffei
Coordinatore scientifico Chronic-On
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