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Giovedì 25 FEBBRAIO 2021
Bullismo. Un software in aiuto alle vittime, a Cagliari parte il progetto
Si chiama “BullyBuster” il progetto seguito dal team di ricerca dell’Università di Cagliari guidato dal Professore di ingegneria Gian Luca Marcialis, che concorre alla formulazione di soluzioni concrete contro il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo. L’obiettivo è realizzare uno o più software che, identificando i diversi scenari di bullismo sia di natura fisica che virtuale, sia in grado di emettere segnali di allerta e aiutare la vittima ad uscire dalla situazione a rischio.
Da ormai un anno il team di ricerca del Professor Gian Luca Marcialis, 47 anni, del Dipartimento di Ingegneria Elettrica ed Elettronica dell’Università di Cagliari, insieme ad altri tre gruppi di studio di altre tre università italiane, la “Federico II” di Napoli, l’Università di Foggia e l’Università di Bari, è al lavoro per lo sviluppo di misure ci contrasto al bullismo e al cyberbullismo. Uno studio di ricerca che ha avuto il riconoscimento del MUR e finanziamento nell’ambito dei Progetti di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN).
In questa intervista approfondiamo con Marcialis, responsabile dell’unità operativa nel progetto PRIN "BullyBuster", il fenomeno del bullismo con l’attività di ricerca ad oggi intrapresa.
Professor Marcialis, in cosa consiste, dal punto di vista funzionale, il progetto BullyBuster ?
“BullyBuster” è il primo progetto in cui quattro gruppi interdisciplinari concorrono alla formulazione di soluzioni concrete contro il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo. L’obiettivo finale è la realizzazione di uno o più software che possano coprire diversi scenari di rilevamento di atti di bullismo sia di natura fisica (violenza, accerchiamento) che virtuale (molestia ed aggressione verbale, invio di materiale offensivo). Una volta riconosciuto il rischio, il software emetterà opportuni segnali di allerta che possano aiutare la vittima ad uscire dalla situazione di aggressione.
Il sistema potrà essere usato anche dalle autorità preposte alla prevenzione/repressione di questi atti, ad esempio prevedendo l’installazione del software sui telefonini, se a farne uso dovessero essere persone che intendano “proteggersi” (come con gli anti-virus), oppure su sistemi di videosorveglianza di massa che, in futuro, potrebbero essere agganciati a stazioni di controllo predisposte negli stessi istituti scolastici, per esempio, o comunicanti con le forze dell’ordine.
A che punto siete, dopo un anno di ricerca dall’approvazione del progetto?
La pandemia purtroppo ha gravemente rallentato il percorso di ricerca e validazione dei modelli, che prevedevano il coinvolgimento di volontari provenienti da istituti scolastici informati del progetto che fornissero, mediante opportuni test preparati dall’unità giuridico-psicologica, importanti informazioni sulla tipologia più adeguata di comportamenti da rilevare.
Le applicazioni finora sviluppate sono state realizzate dalla nostra unità, così come dalle altre, appoggiandosi a dati preesistenti e pubblicamente disponibili. Nel caso di Cagliari, finalizzati al rilevamento di aggressioni e comportamenti anomali in luoghi affollati. Ma stiamo lentamente recuperando e contiamo di iniziare la fase menzionata realizzandola o in remoto oppure non appena la situazione pandemica sarà più tranquilla.
Quali sono i primi riscontri?
Come dicevo, tutti gli algoritmi finora sviluppati sono stati posti sotto test mediante simulazioni “in vitro” (di laboratorio) di azioni di molestia o violenza, sia fisica che virtuale. Fortunatamente la comunità scientifica che si interessa di queste problematiche ha potuto mettere a disposizione, prima che l’emergenza covid limitasse le attività, diversi scenari di studio.
Per quanto riguarda Cagliari, in particolare, stiamo lavorando su due fronti: il raffinamento di un sistema di rilevamento di comportamenti aggressivi, orientandolo in particolare ad azioni tipiche del bullo verso la vittima, e un sistema di rilevamento di video contraffatti, oggi noti al gran pubblico con il termine di “deep fake”. Questi video sono estremamente minacciosi perché un cyberbullo potrebbe non esitare a diffonderli dopo aver artatamente montato il volto della vittima nel compimento di azioni come “revenge porn” e altro.
Pensando ai comportamenti di cyberbullismo e cyberstalking, qual è la situazione attuale di protezione degli adolescenti online?
Come sempre, la prima fondamentale protezione viene dalla conoscenza del fenomeno e dalla consapevolezza della vittima che è sotto attacco. Ciò le permette di rivolgersi tempestivamente alla famiglia e, quando necessario, alle forze dell’ordine per porre fine all’aggressione.
Esistono app di denuncia diretta alla polizia, ma sistemi che allertino un adolescente sotto attacco o che effettuino un controllo comportamentale via telecamera non ce ne sono. Per questo esiste il progetto BullyBuster.
Cosa possono fare i genitori oggi per proteggere i figli dal cyberbullismo e cyberstalking?
Posso abbozzare una risposta proprio grazie al fatto che, con il BullyBuster, ho potuto confrontarmi con psicologi impegnati nel problema. I genitori rivestono senza dubbio un ruolo essenziale: il dialogo in famiglia si alimenta senza mai far passare messaggi che spingano i giovani a non confidarsi, sottovalutando il fenomeno. Ma su questo è meglio si pronunzino esperti del settore; rimandiamo ad un momento in cui tutti i miei colleghi coinvolti nel progetto potranno esprimere un’opinione definita. E’ la ragione per cui il progetto BullyByster non è composto da “tecnologi” soltanto, ma anche da psicologi e giuristi che hanno dedicato la loro ricerca al problema. Stiamo caricando sul sito del progetto (http://www.bullybuster.unina.it/) video e informazioni che permettano di capire gli avanzamenti su entrambi gli aspetti, sia tecnologici che psicologico-giuridici, con pubblicazioni internazionalmente rilevanti.
Si tende alcune volte a ridimensionare determinati atteggiamenti, sia in famiglia che a scuola, come “bravate” perché sono ragazzi. Quale osservazione, in tal senso, si sente di dare a genitori e insegnanti?
Che nulla vada tralasciato al caso, creando i presupposti perché i ragazzi si confidino. Molta attenzione all’uso consapevole e corretto della tecnologia.
Un messaggio rivolto ai ragazzi?
Voi siete i primi a poter contribuire al successo del progetto BullyBuster. Non appena possibile, vi faremo visita. Non mancate di aiutarci. L’efficacia dei sistemi che stiamo sviluppando sarà prima di tutto merito vostro. Ci auguriamo col nostro lavoro di rendervi più “liberi” e un po’ più sereni
Elisabetta Caredda
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