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14 FEBBRAIO 2021
Forum QS/5. La sanità e il Governo Draghi. Cosa aspettarsi? Intervista a Frittelli (Federsanità) e Carbone (Fials)

Per Frittelli bisogna "orientare lo sguardo al concetto di welfare di Comunità. Un sistema a carattere comunitario nel quale produrre salute/benessere diventa un compito anche della società civile e del Terzo settore, all’interno di un sistema relazionale che connette le varie dimensioni del benessere stesso: sociale, economico, ambientale, oltre che meramente sanitario". Per Carbone è "indispensabile rendere più forte il Ssn puntando sul capitale umano".

Il Governo di Mario Draghi dopo il giuramento dello scorso sabato ed il primo Consiglio dei Ministri è ormai pronto a raccogliere la fiducia del Parlamento.
 
Roberto Speranza è stato confermato alla guida della Salute ma per il resto tutto, al di là dei nomi, è cambiato, con un nuovo Governo e una maggioranza inedita che abbraccia quasi l'80% delle forze presenti in Parlamento.
 
Ma pensiamo si possa però dare per certo che la Sanità resterà uno dei temi forti anche del nuovo Esecutivo, a causa del perdurare dell’epidemia, della necessità di accelerare il piano vaccini e poi di attuare quelle riforme di sistema delle quali il nostro SSN ha certamente bisogno come già rilevato in questi mesi da moltissimi osservatori. 
 
In attesa di conoscere il programma del nuovo governo, Quotidiano Sanità prosegue il suo Forum con alcuni stakeholder della sanità per definire quale dovrebbe essere l'agenda ideale nel campo della salute.
 
Dopo la prima puntata, la seconda puntata, la terza puntata e la quarta puntata a intervenire sono la presidente di Federsanità, Tiziana Frittelli, e il segretario generale della Fials, Giuseppe Carbone.
 
La Sanità sarà uno dei temi forti del nuovo Esecutivo, a causa del perdurare dell’epidemia, della necessità di accelerare il piano vaccini e poi di attuare quelle riforme di sistema delle quali il nostro Ssn ha certamente bisogno, come già rilevato in questi mesi da moltissimi osservatori. Fatta questa premessa quali dovrebbero essere a suo avviso le priorità dell’agenda sanità dell’attuale Governo?
 Frittelli. Federsanità, attraverso la propria rete delle Federsanità ANCI regionali, è impegnata da 25 anni sul territorio, nel sostegno all’integrazione sociosanitaria sempre evocata, ma mai attuata fino in fondo. In questi mesi, abbiamo toccato con mano la necessità di fornire, sia ai nuclei familiari sia alle singole persone in quarantena, non soltanto la necessaria assistenza sanitaria, ma anche l’altrettanto necessario supporto di natura sociale. Il modello sociosanitario che costruiremo dovrà quindi partire da questi avanzamenti organizzativi, professionali e istituzionali – ma anche culturali – che hanno contraddistinto le risposte degli attori del sociale e del sanitario all’evento pandemico. Bisogna orientare lo sguardo al concetto di welfare di Comunità. Un sistema a carattere comunitario nel quale produrre salute/benessere diventa un compito anche della società civile e del Terzo settore, all’interno di un sistema relazionale che connette le varie dimensioni del benessere stesso: sociale, economico, ambientale, oltre che meramente sanitario.
 
Un modello di politica che, soprattutto, si muove per anticipare i bisogni sociosanitari e prevenire le patologie, abbandonando il tradizionale modello “curativo” di attesa della patologia e di erogazione di prestazioni sanitarie. Bisogna rafforzare le strutture assistenziali territoriali, colmando il divario fra le regioni italiane e riequilibrando l'offerta assistenziale alla non autosufficienza, così come supportare lo sviluppo dei servizi per la salute mentale, garantendo percorsi precoci di presa in carico a partire dall’età scolare, attraverso servizi di supporto psicologico. Infine, tra molte altre necessità di riforma, c’è definire standard di presenza infrastrutturale sulla base di n. abitanti, densità abitativa e caratteristiche orografiche del territorio. Quindi, a nostro avviso, le priorita’ sono: reti integrate di prossimità, per la presa in carico delle cronicita’ e delle persone non autosufficienti, con particolare attenzione alla salute mentale; accessibilità dei servizi differenziati, sulla base delle esigenze dei pazienti e delle caratteristiche dei territori di residenza; integrazione delle politiche sui territori, da quelle urbanistiche, ambientali, scolastiche a quelle che riguardano piu’ strettamente la salute; medicina personalizzata; politiche di prevenzione sugli stili di vita, con urgente attenzione ai disagi della fascia adolescenziale, particolarmente colpita dalla pandemia. Per arrivare a questo occorre l’elaborazione di modelli di integrazione socio-sanitaria; l’individuazione e il finanziamento di livelli essenziali di prestazioni sociali; meccanismi di programmazione condivisa con gli enti locali delle politiche della salute sui territori.
 
Tutto questo presuppone innovazione organizzativa del sistema; investimenti rilevanti sulla digitalizzazione dei servizi e sullo sviluppo di piattaforme; open data integrati, che consentano programmazione a lungo raggio; esatta valutazione dello skill mix professionale sulla base dei nuovi modelli organizzativi, elaborazione dei fabbisogni ed eliminazione degli imbuti formativi; valorizzazione differenziata del personale e carriere basate su competence e organizzazione per processi multidisciplinari; completa riforma delle cure primarie; omogeneizzazione dei linguaggi tra professionisti operanti sul territorio, attraverso investimento nella formazione; revisione dei programmi di formazione universitaria e dei modelli di rapporto tra Università e SSN. Ormai non ha senso affrontare una tornata contrattuale dei medici o della medicina convenzionata senza stabilire dove tutto il sistema debba andare, perché trattasi di tematiche interdipendenti che non possono essere affrontate in maniera parcellizzata. Idem per la programmazione universitaria delle scuole di formazione o per gli ordinamenti universitari o per la ricerca. L’auspicio è, pertanto, l’avvio di una riflessione integrale del sistema, attraverso adeguati strumenti normativi, con una sola priorità, quella della persona al centro di un sistema “one health”.
 
 Carbone. Parola d'ordine: capitale umano. La drammatica lezione della emergenza pandemica ci ha confermato che è indispensabile rendere più forte il Servizio Sanitario Nazionale, pubblico e universale, e che priorità assoluta sono il potenziamento e la ristrutturazione dell’assistenza integrata sociosanitaria territoriale, avendo ben presente che la sua risorsa principale, come si è visto, è il personale. Infermieri, medici, oss, assistenti sanitari e altre professioni sanitarie hanno fatto la differenza, ci hanno traghettato fuori dal tunnel e ancora oggi sono la prima linea che combatte contro questo virus insidiosissimo, che muta e ci ha costretto a cambiare stili di vita e abitudini, modelli culturali ed economici. La scommessa che abbiamo davanti è: sì procedere verso l'immunità di gregge promessa dai vaccini, ma anche recuperare tutte le patologie lasciate indietro dalle infinite liste d'attesa e nel frattempo intensificare la prevenzione e il tracciamento. E per farlo, servono professionisti della salute, operatori sanitari e personale qualificato: una rete di contenimento che non ci colga mai più impreparati.
 
A loro dobbiamo molto, come società civile, ed è giunto il momento di ascoltarli e riconoscere loro un inquadramento stipendiale adeguato e in linea con gli altri paesi europei. Ciò significa dare impulso a tutta una serie di iniziative dal punto di vista contrattuale aprendo al più presto la concertazione in Aran. Dopo un anno la stanchezza si fa sentire e ci vuole un'iniezione di fiducia, in grado di galvanizzare le truppe e avviarle verso il rush finale. É il minimo che un nuovo Governo possa fare nei confronti di chi si è speso di più e ha lasciato sul campo centinaia di vittime e decine di migliaia di contagiati e di reduci che soffrono di gravi strascichi della malattia. Senza lasciare indietro nessuno. Neppure coloro che, tra infermieri e medici dei reparti Covid, patiscono ogni giorno le ferite invisibili che l'emergenza lascia tatuate nell'anima e mai verranno dimenticate.

Come Fials, riteniamo dunque priorità dell'agenda sanità del futuro esecutivo: aumentare i fondi destinati alla sanità e gli investimenti in tecnologie sanitarie, digitali e di telemedicina; potenziare gli organici assumendo nuovi operatori e stabilizzando il precariato; potenziare la rete di professionisti che si occupano della prevenzione e delle cure primarie sul territorio; investire nell’adeguamento delle competenze all’uso dei nuovi dispositivi tecnologici da parte di operatori, clinici e manager della sanità. Serve una svolta sullo stato sociale e sulla non autosufficienza. Un'accelerazione sulla reale universalità dei servizi essenziali e l'esigibilità dei diritti di cittadinanza. Va potenziata la presa in carico da parte del sistema sociale di prossimità e messe in campo risposte strutturali di sostegno al reddito e conciliazione per le famiglie numerose con pesanti carichi di cura. Per quanto riguarda la sanità digitale, auspichiamo che non rimanga un libro dei sogni avulso dal reale, soprattutto per telemedicina, formazione continua e fascicolo sanitario elettronico, che rappresenta il vero strumento della sanità del futuro, e non può e non deve tardare ancora nel vedere la luce.
 
Pensa che i progetti attualmente inseriti nella Mission 6 del Recovery Plan con un finanziamento complessivo di circa 20 miliardi siano quelli giusti o servirebbe altro? E pensa che le risorse siano sufficienti?
 Frittelli. Al di là del quantum la parola chiave è “orientare” bene investimenti e risorse. E per far questo dobbiamo elaborare subito i modelli sanitari di riferimento e capire le interrelazioni tra le varie Mission del Recovery Plan. Un conto e’ disegnare un fabbisogno strutturale, di personale e attrezzature per una sanita’ ospedalocentrica, un conto per una sanita’ che si sviluppi sul territorio, in team multidisciplinari, sempre piu’ vicina al domicilio del paziente, anche attraverso la teleassistenza. Quindi, il modello non puo’ che precedere la programmazione delle risorse. Quanto alle interrelazioni, si pensi, ad esempio, al legame tra la Missione 1, relativa alla digitalizzazione, con gli interventi di coesione territoriale della Missione 5, rispetto alla strategia nazionale per le aree interne.
 
 Carbone. Noi della Fials pensiamo che l'attuale situazione del Paese possa essere fronteggiata soltanto attraverso l'utilizzo rapido ed efficace delle grandi risorse predisposte dall'Ue, ma nessuno ancora ha capito dal Recovery Plan come saranno utilizzate e il giocattolo rischia di restare inutilizzato. Occorre urgentemente rafforzare il disegno complessivo delle politiche della salute e ragioni di efficacia richiederebbero verosimilmente di rinunciare a qualche linea di intervento e concentrare le risorse su un numero minore di priorità, per avere un impatto maggiormente visibile su quelle prescelte. Il Next Generation Eu riteniamo che sia uno strumento che non può valere soltanto per il futuro, ma anche e soprattutto per il presente, vista la drammatica emergenza pandemica ancora in atto, la mancanza di una sanità territoriale più prossima al cittadino e la forte carenza di professionisti sanitari specie medici ed infermieri.

L'emergenza sanitaria da Covid-19, e le gravi conseguenze sociali ed economiche che ha provocato, hanno spinto i governi dell’Unione Europea a riconsiderare le politiche di austerity e a mettere a disposizione ingenti risorse per il rilancio dei Paesi colpiti dall'epidemia. Il Recovery Fund e il Next Generation Eu rappresentano una straordinaria opportunità e per questo motivo non possiamo non coglierla nella sua capacità di risposta alla crisi e alla ripresa. Si tratta di un'occasione imperdibile per riformulare e rilanciare il nostro welfare socio sanitario. Sul fronte salute è necessario destinare più fondi al settore, spendere molto di più perché la pandemia ha evidenziato l'importanza di avere buone strutture di assistenza e un sistema robusto. Gli investimenti delle due componenti della missione salute, attualmente, sono divisi in quattro progetti per un ammontare di 18,01 mld di euro a cui si aggiungono risorse React Ue per 1,71 mld, per complessivi 19,72 mld. Li consideriamo del tutto insufficienti per una sanità di prossimità.
 
Tra le riforme auspicate c’è in primis quella della medicina e dell’assistenza del territorio di cui si parla da anni ma senza molto costrutto. Perché a suo avviso finora non si è riusciti a cambiare e innovare questo settore? Quali sono gli ostacoli che ne hanno impedito la riforma?
 Frittelli. La crisi ci ha insegnato che non si può fare buona salute senza una strettissima integrazione e collaborazione tra distretti, dipartimenti di prevenzione, farmacie, medici di medicina generale, professionisti presenti sul territorio, servizi sociali dei comuni e volontariato. Lo abbiamo imparato e adesso dobbiamo organizzarlo concretamente. Occorre una governance chiara ma anche una facilità di accesso definito per i cittadini. Quindi, riteniamo sia da superare la visione del medico di medicina generale che lavora da solo. Per fare questo bisogna affrontare e risolvere alcuni temi, a partire dall’assetto contrattuale. Senza entrare nel merito di dipendenza si o dipendenza no, è evidente che la solo quota capitaria non basta alla nuova medicina generale.
 
E’ necessario che la remunerazione sia legata in maniera consistente a premiare chi fa medicina di comunità, chi sa prendere in carico i propri assistiti, chi garantisce esiti di salute, chi fa medicina di iniziativa e offre servizi diagnostici in sede o a domicilio, chi lavora in team multidisciplinari. Bisogna, inoltre, progettare forme di équipes flessibili in base alla caratteristiche della popolazione e del territorio di riferimento. Equipes che potrebbero essere concentrare in un luogo (case della salute, medicina di gruppo, UCCP o altro) o sparse in un territorio, ma comunque dovrebbero avere due caratteristiche comuni: avere una popolazione definita di cui occuparsi ed essere multidisciplinari. Bisogna anche incidere sul modello di formazione dei MMG e uscire da quello attuale del triennio autogestito.
 
E’ necessario costruire un percorso specialistico universitario sulle cure primarie, che metta insieme le necessarie competenze cliniche, indirizzandole però all’assistenza a domicilio e nella comunità. Essenziale e’, inoltre, la telemedicina, e ancor prima, il Fse, che consenta la condivisone dei dati di salute del paziente. Nelle cure primarie la telemedicina ha tre aree di applicazione: il teleconsulto, vale a dire la possibilità di interrogare a distanza specialisti e di trasmettere esami e immagini, telecontrollo, cioè gli strumenti per poter sorvegliare la salute dei pazienti senza spostarli dal loro domicilio, raccolta di big data, per mettere assieme le informazioni per prendersi cura delle persone e delle comunità. E’ però evidente che se gli strumenti tecnici ci sono, manca ancora l’organizzazione in grado di gestire la telemedicina in maniera adeguata, e questo richiede molti cambiamenti. E’ altresi’, urgente, superare l’urban-rural divide. In Italia oltre 13 milioni di persone (4.261 Comuni) vivono nelle aree interne che coprono il 63% del territorio del Paese.
 
E’ noto che in queste aree l’accesso ai servizi, l’incidenza della malattie e l’aspettativa di vita mostrano dati negativi. E’ altrettanto noto che sono luoghi in cui è sempre più difficile trovare medici di medicina generale disponibili a prendere servizio. E’ qui che probabilmente bisogna progettare a forme organizzative completamente nuove mettendo assieme tutte le risorse: mmg, infermieri di comunita’, assistenti sociali, personale dipendente, farmacie, Comuni e volontariato, puntando anche sulle equipes itineranti. E’ forse arrivato il momento di pensare anche allo psicologo di comunità, che presidi i plessi scolastici, per interventi precoci che intercettino dipendenze, fragilità della fascia giovanile, cyberbullismo. In altre parole, occorre recuperare la responsabilità di sanità pubblica della medicina del territorio, con modelli di responsabilità sulla salute di gruppi di popolazione, avviando veramente una vera medicina di iniziativa, anche qui in stretto collegamento con gli Enti Locali. E infine, ha ancora senso la medicina di continuita’ assistenziale cosi’ come è? Probabilmente no, con la necessita’ di ripensare i percorsi formativi e organizzativi di questi professionisti.
 
 Carbone. Diversamente dal piano proposto dal Governo uscente, occorre investire in progetti dedicati a una forte infrastrutturazione dei servizi territoriali, una loro solida organizzazione, ragionevolmente omogenea su tutto il territorio nazionale. Una ben più robusta attenzione ai determinanti sociali della salute, dopo dieci anni di tagli lineari che hanno lasciato sul campo il doppio dei soldi che ora verranno investiti. Un buon inizio. Ma ciò implica un utilizzo delle risorse per progetti strategici, superando distribuzioni “a pioggia” o a quota capitaria, per evitare dispersioni e duplicazioni e, soprattutto, per evitare il perpetuarsi dei divari preesistenti, a lungo denunciati ma poco contrastati. I singoli progetti dovranno indicare anche percorsi di convergenza finalizzati al superamento delle disuguaglianze di salute tra la popolazione e territori, Nord e Sud in specie, e al loro interno. Per una maggiore uniformità nel Paese nell'accesso a servizi e prestazioni di qualità, come prevede la nostra Costituzione, e per raggiungere un’effettiva universalità nel godimento dei diritti sociali. Le risorse dovranno essere destinate non solo a spese in conto capitale, ma anche a spese correnti per progetti “start up” e per l’acquisto di beni. Non solo “muri e attrezzature tecnologiche”, peraltro importanti, ma formazione e ricerca, progetti personalizzati di presa in carico, assistenza domiciliare, assunzione specifica di professionisti sanitari senza dei quali i vari progetti specifici diverrebbero solo “cattedrali incompiute”.

Ed ancora, coprogettazione intersettoriale e partecipazione democratica dei sindacati, di tutte le forze sociali e dei cittadini, senza i quali il progetto di infrastrutturazione sarebbe incompiuto. Per questo cambio di passo c'è bisogno di un ripensamento profondo della formazione dei professionisti della salute e del sociale, a partire dalle università, per superare l'attuale imbuto formativo che vede una forte carenza di medici specialistici ed infermieri in particolare. Via il numero chiuso nelle università. É necessario un ripensamento sulla diffusa carenza di competenze su temi quali la sanità pubblica, i determinanti di salute, il lavoro in rete, l'integrazione fra settori, istituzioni e professionisti, il ruolo delle comunità. Occorre definire il “Piano Nazionale per l'Assistenza socio sanitaria territoriale” (PNT) e i relativi Progetti specifici nazionali, da attuare a livello regionale e locale. La Fials è convinta che per una solida infrastrutturazione della sola rete territoriale, che sia in grado di assicurare qualità e appropriatezza dell’assistenza ospedaliera e la continuità assistenziale, necessitano non meno di 30 miliardi distribuiti su 3-4 anni.
 
Un tema al centro di molte polemiche in quest’anno di pandemia ma anche prima, è senz’altro quello dell’autonomia regionale in materia sanitaria. Pensa che l’occasione di un Governo con una potenziale maggioranza parlamentare attorno all’80% possa prendere in mano la questione e riscrivere il Titolo V della Costituzione rivedendo l’attuale equilibrio dei poteri in materia di tutela della Salute? O, al contrario, ritiene che la “differenza” regionale nelle modalità di organizzazione e gestione della sanità vada salvaguardata?
 Frittelli. Siamo entrati nella pandemia, mentre era ancora fervido il dibattito sul regionalismo differenziato. Durante la pandemia e’ ritornato in auge il dibattito su una nuova forma di centralismo. Credo che ambedue i temi meritino approfondimenti. Il dibattito sul regionalismo differenziato aveva messo in luce criticita’ da non sottovalutare, ma ritengo che sia ineliminabile pensare a livelli di autonomia regionale differenziata, purche’ si delineino esattamente gli ambiti di responsabilita’ nel confronti dell’intero SSN, anche perche’, come la pandemia ha messo in luce, la globalizzazione del sistema salute/malattie non risparmia nessuna isola felice. Per questo motivo e’ urgente ridefinire il perimetro degli interventi statali, per affidare ad un livello centrale posizioni di garanzia, controllo e intervento in caso di pericolo. Va sicuramente rivista la normativa dei piani di rientro e commissariamenti regionali.
 
 Carbone. Il problema è politico e riguarda l'assunzione di responsabilità: ciò a cui abbiamo spesso assistito negli ultimi mesi ci amareggia, ma si tratta di un problema preesistente che ha creato negli anni contenziosi a non finire in materia di sanità e molto altro (oltre 1800 ricorsi alla Corte Costituzionale e altri ancora davanti al Tar). E temo che neanche Draghi riuscirà a risolverlo con un colpo di bacchetta magica. Ricordo che vari schieramenti hanno già tentato l'impresa di inserire modifiche per riportare alcune materie sotto l'esclusiva competenza dello Stato, ma sono state bocciate dagli elettori. É chiaro che la pandemia ha evidenziato l'inadeguatezza di avere 21 sistemi sanitari diversificati tra loro, eterogenei e spesso iniqui, sotto un ombrello comune che fatica a farsi rispettare.
 
É chiaro che il rimpallo tra Regioni e Stato centrale, tra imbarazzanti botta e risposta, ha aggravato lo stato di necessità in cui la collettività tutta versava facendo sobbalzare sulla sedia i cittadini stremati dai lockdown e dalla crisi economica conseguente. Un momento così drammatico avrebbe richiesto unità di intenti e dichiarazioni unanimi, invece alcune Regioni hanno preso delle decisioni in modo autonomo, più che altro per questioni di bandiera partitica, facendo saltare il presupposto della “leale collaborazione” tra centro e periferie, e rendendo necessario l'intervento della magistratura. Uno spettacolo poco edificante, che comunque non ci sorprende, in quanto rappresentativo di problemi gestionali e organizzativi che, come sindacato dei lavoratori della sanità, abbiamo visto perpetuarsi da tempo nei servizi sanitari. Un esempio su tutti: i fondi per le prestazioni aggiuntive previsti in Legge di bilancio 2021 per rendere possibili le vaccinazioni e le attività per l'abbattimento delle liste di attesa per ricoveri e prestazioni specialistiche bloccate a causa della pandemia in corso.
 
Che fine hanno fatto? Il bando Arcuri non ha reperito un numero sufficiente di infermieri da inserire velocemente nei contingenti e occorre far riferimento ai pubblici dipendenti. Che aspettiamo a incentivarli? Invece le Regioni lasciano passare il tempo, così le Aziende tirano fuori dal cappello dei bandi rivolti ai volontari. Un film già visto ma che proprio ora che serve sbrigarsi mai ci saremmo aspettati di rivedere: nessuno vuole spendere neanche le risorse che ci sono. E allora se l’articolo 117 fa rientrare la tutela della salute tra le materie concorrenti, sale la rabbia persino a quelli che abbiamo chiamato eroi, che non capiscono perché debbano essere penalizzati a oltranza da un sistema miope e irrispettoso della loro professionalità e abnegazione.
 
Tra le prime questioni sul tavolo del nuovo Governo ci sarà certamente il Piano vaccini anti Covid. Cosa servirebbe secondo lei per accelerare le vaccinazioni?
 Frittelli. Ribadisco il concetto iniziale ovvero l’importanza del valore della rete integrata tra Comuni, Asl, AO, medici di medicina generale. Il valore aggiunto di questo modello organizzativo è dato dall’utilizzo di una condivisione, tesa ad ottimizzare l’utilizzo delle risorse umane e strutturali nei confronti della disponibilità dei vaccini che, purtroppo, resta l’unico fattore limitante al momento nella campagna vaccinale, sul quale chiediamo il massimo impegno del Governo. Bisogna fare rete ed essere pronti, con la massima rapidita’ e flessibilita’ ed aprire il piu’ alto numero di punti vaccinali compatibili con i vaccini a disposizione.
 
 Carbone. Mentre parliamo i reparti ospedalieri sono sguarniti di personale, dal momento che la carenza pregressa si è sommata a quella attuale, essendo stati attivati per l'emergenza rapporti di lavoro per la maggior parte a tempo determinato, mentre un terzo è andato a sostituire chi è andato in pensione. Se prima ad esempio mancavano all'appello 60mila infermieri, adesso quanti ne mancano? Ora che i bisogni di salute sono cresciuti, ho il sospetto che questo numero vada triplicato. Abbiamo di fronte la gigantesca sfida della vaccinazione massiva della popolazione e ancora le dosi dei vaccini non bastano. Sembra che, salvo nuovi ritardi di consegne, il nostro Paese avrà a disposizione oltre 16 mln di dosi entro la fine di marzo, ma chi le somministrerà, Arcuri e Bertolaso?
 
Fermo restando la veridicità di questa previsione, chiediamo alle istituzioni chi effettuerà il piano vaccinale se ad oggi, lo ribadisco di nuovo, manca il personale e il bando del Commissario Unico non ha funzionato, investendo milioni di euro in agenzie interinali, che nulla hanno a che vedere con contratti di lavoro non precarizzanti. In questi mesi, giorni, ore, osserviamo una macchina organizzativa che differisce notevolmente da Regione a Regione: tutte si muovono in ordine sparso. È stato compiuto un grande sforzo ma la fatica si sente ovunque e in alcune aree del Paese la sanità è alla deriva. Come Fials, riscontriamo evidenti falle: dove sono le indicazioni per procedere spediti? Mancano ancora strumenti e cronoprogramma ma il tempo stringe e l'emergenza incalza.
 
Altra questione, riguarda l’azione di contrasto all’epidemia. Secondo lei il sistema a zone colorate funziona o va cambiato?
 Frittelli. Credo che un sistema di “semafori” sia ancora necessario, ma, aldilà delle zone e delle fasce di colore, credo che le coordinate su cui muoversi siano quella del massimo rigore e del senso di responsabilità di ciascuno.  
 
 Carbone. I modelli sin qui seguiti hanno avuto efficacia, certo è che non si poteva andare avanti ancora a lungo con chiusure generalizzate e ci appare ragionevole che il colore delle Regioni, che comporta le relative restrizioni, venga rimesso a ordinanze del ministro della Salute, che si muove a seconda di quanto emerge dalle indicazioni del Comitato Tecnico Scientifico. E altrettanto ragionevole è il fatto di richiedere il parere, seppur non vincolante, dei presidenti di Regione. Adeguare poi le decisioni sulle misure limitative alle evoluzioni della pandemia è sacrosanto. D'altronde ormai è passato un anno e si dovrà pur riprendere a vivere. Ora si tratta di trovare un giusto compromesso tra la difesa della salute e l'esigenza di assicurare la ripresa economica del Paese. Ma in questo uno come Draghi la sa lunga e confidiamo che, come ha già fatto durante le consultazioni, coinvolga le parti sociali anche nell'approntare le nuove misure.

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