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Lunedì 25 GENNAIO 2021
Se il Covid diventa un inaspettabile (e inconsapevole) alleato

Oggi grazie (è qui la teoria dell'assurdo) ai danni irreparabili alle persone e al sistema produttivo provocati dal Sars-Cov-2 si avverte il dovere di tutti di pretendere il cambiamento, cui aspirerebbero le più recenti idee del ministro Speranza. Queste ultime votate al rafforzamento dell'assistenza di prima istanza  e all'idea di portare, comunque, l'erogazione salutare (anche attraverso il potenziamento della telemedicina) verso la residenza dei cittadini

La teoria dell'assurdo (ma non molto): il Covid-19 è, da una parte, un temibile nemico; dall'altra, un «buon alleato». Per un verso, ha fatto tanti morti, da sottrarre alla nazione un numero di abitanti pari a quelli di una città media capoluogo di provincia, e ha distrutto l'economia del Paese. Per un altro, ha fatto emergere (finalmente) con forza l'esigenza di rivedere il sistema sanitario, dimostratosi nell'occasione ordinariamente obsoleto, inadatto e insufficiente a fronteggiare non solo gli attacchi pandemici.
 
E ancora. Ha dato prova di quanto sia divenuto sempre di più squilibrato, quasi schizofrenico, rispetto alla sua mission. Ciò perché si è via via caratterizzato per una ratio che separa il più possibile il pensiero utile (progetto) dai problemi di salute reale delle persone, che rimangono sempre tali con una innegabile tendenza al peggioramento progressivo in termini di erogazione delle prestazioni occorrenti.

Insomma, c'è tanto da fare
Dunque, un sistema della salute che ha fatto a pugni con ciò che occorreva per fronteggiare il coronavirus, dimostrando una inadeguatezza del sistema ospedaliero specificatamente occorrente (di posti letto di terapia intensiva, semi intensiva e di malattie infettive) e una assistenza distrettuale e di prossimità oramai da rivedere dalle fondamenta.
 
Non solo. Un servizio nazionale della salute che ha litigato sulla esistenza di un piano dell'emergenza che, quando andava bene, era vecchio di circa 15 anni; che arricchisce da tempo gli erogatori privati con i DRG a più alto valore aggiunto; che favorisce l'inseguimento dell'offerta ospedaliera pubblica verso le retribuzioni ROD a maggiore utile, che disdegna conseguentemente le specialistiche «povere» ma che sarebbero invece occorse in tempi di epidemia (pneumologia e malattie infettive, in primis); che distrugge l'assistenza territoriale, offrendo eccessi di garanzia a quella convenzionata, e disattende alle cure che occorrono agli anziani sempre di più numerosi. Il tutto, governato secondo una metodologia aziendalistica che, considerati gli esiti dell'aggressione del Covid-19, va messa da parte, stando però bene attenti a non buttare l'acqua con il bambino.

E dire che avevamo il migliore impianto legislativo
Il servizio sanitario nazionale, così come concepito nel 1978 dal migliore legislatore di sempre, rappresenta da 43 anni un prodotto geniale del Parlamento e una soluzione ai più generali malanni vissuti ai tempi delle differenziazioni prodotte dalle casse mutue. Le esigenze economiche degli inizi degli anni '90, che sono in tanti a ricordare per il prelievo notturno sui conti correnti degli italiani disposti dal governo Amato, ne hanno modificato i principi e criteri gestori, deturpandone così i connotati e la qualità del prodotto reso.
 
Oggi grazie (è qui la teoria dell'assurdo) ai danni irreparabili alle persone e al sistema produttivo provocati dal Sars-Cov-2 si avverte il dovere di tutti di pretendere il cambiamento, cui aspirerebbero le più recenti idee del ministro Speranza. Queste ultime votate al rafforzamento dell'assistenza di prima istanza (case - ben diverse fortunatamente dalla c.d. case della salute - e ospedali di comunità) e all'idea di portare, comunque, l'erogazione salutare (anche attraverso il potenziamento della telemedicina) verso la residenza dei cittadini.

L'occasione delle risorse europee
Sono, pertanto, da condividersi gli obiettivi generali e le ragioni posti, dal Governo, alla base del progetto del Recovery plan. Più esattamente, della missione 6, intestata per l'appunto alla salute.
 
Buoni i traguardi cui ispirare, soprattutto quello del consistente rafforzamento della rete di assistenza territoriale, funzionale - unitamente ad un intelligente riordino del sistema ospedaliero, nel senso di privilegiare i nuovi fabbisogni in tal senso - a garantire omogeneità e integrazione sociosanitaria. Il tutto, collaborato da una sanità digitalizzata indispensabile per favorire una efficiente ed efficace presa in carico multidisciplinare e multiprofessionale delle persone. Nondimeno dovrà essere ripensato l'organico professionale della salute, bisognoso di una assunzione massiva ma programmata sulle nuove e future esigenze. Non da ultimo quelle necessarie a fronteggiare gli esiti invalidanti del post-Covid, che verosimilmente peseranno tanto sia in termini di assistenza specifica che sotto il profilo previdenziale, contributivo e non.
 
Insufficienti però le risorse previste, a valere sul Recovery plan, per realizzare quanto occorre per cambiare concretamente passo: 18 miliardi in tutto, con 7,5 miliardi investiti in assistenza di prossimità e telemedicina e 10,5 miliardi su innovazione, ricerca e digitalizzazione.

Senza il Mes il progetto si trasforma in sogno
Dunque, buoni i progetti e le aspettative ma difficili, per non dire impossibili, da realizzare senza fare ricorso al Mes, che con i suoi 37 miliardi assicurerebbe la traduzione di ciò che occorre in realizzazione concreta. Determinerebbe l'occasione per eliminare i tanti deficit strutturali e organizzativi che caratterizzano l'attuale sistema della salute, fatto di differenze inaccettabili.
 
Nel Mezzogiorno alcune delle cose programmate appaiono fantascienza. Ciò perché il punto di partenza, dal quale innestare la marcia per materializzare la «rivoluzione salutare», è affetto da una precarietà strutturale (e culturale) tale da impedire ogni traguardo. Forse qui, una perequazione infrastrutturale e sociale non sarebbe di troppo, solo che si voglia anche ivi rendere esigibile il diritto alla tutela della salute, sconosciuto ad una siffatta latitudine.
 
Ettore Jorio
Università della Calabria

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