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Martedì 22 DICEMBRE 2020
Cultura dell’incertezza e paura dei vaccini
Gentile Direttore,
gli operatori sanitari stanno aderendo alla campagna vaccinale e ci auguriamo che sempre di più se ne facciano promotori, in linea con le basi culturali della nostra società tecnologica (knowledge-based) e con gli inviti plurimi a ricordare che la salute rappresenta un “diritto collaborativo”, come sottolinea Mariachiara Tallacchini in un recente editoriale su Epidemiologia & Prevenzione.
Nonostante questi inviti, permangono posizioni decisamente o più flebilmente no-vax e ciò desta riflessione.
Innanzitutto si nota che questo atteggiamento diffidente nei confronti dei vaccini si pone in controtendenza con l’“etica della pandemia” (pandethics) delineata già nel 2009 dal filosofo dell’epidemiologia Michael Selgelid, che invita a declinare l’autonomia in modo relazionale perché la salute implica responsabilità condivise ed esorta la bioetica a porre più attenzione sulla salute pubblica.
In seconda battuta si può evidenziare che c’è una crisi di credibilità della scienza, si teme che sia politicizzata o, peggio, sfruttata dalla politica. Proprio perché la scienza ha un forte potere, che deriva dal fatto che può cambiare il mondo, c’è il pericolo delle strumentalizzazioni, pertanto è fondamentale strutturare le istituzioni che utilizzano il suo sapere in modo trasparente, accessibile e affidabile. In linea di principio ciò è possibile perché scienza e democrazia si basano sugli stessi valori: uso dell’argomentazione, trasparenza sui criteri di giudizio e decisione, apertura alle critiche, volontà di dare spazio, valutandole, alle voci dissenzienti.
Un terzo punto rilevante è l’impoverimento del dibattito democratico: nel timore di generare reazioni irrazionali si semplifica troppo e si minimizza l’incertezza o incompletezza delle conoscenze. Così si dice che andrà tutto bene, che c’è stata una svolta epocale, che nessuno è stato escluso dalle cure…
Dobbiamo imparare a gestire l’incertezza che c’è anche in una società altamente tecnologica. La scienza post-normale del nostro mondo globalizzato si confronta con fatti incerti e con valori controversi, nell’urgenza delle decisioni.
A questa scienza è connessa un’educazione scientifico-civica che insegna sia a convivere con l’incertezza, nel rispetto dei diritti individuali e collettivi, sia ad affidarsi a quanto è stato validato chiaramente come efficace.
Prima ancora di obbligare a vaccinarsi, che può essere necessario, o di persuadere gentilmente (paternalisticamente o subliminalmente), occorre promuovere – soprattutto da parte degli operatori sanitari – la consapevolezza dei cittadini, far leva sul consenso informato.
La cultura dell’incertezza, rispettosa della complessità, non è relativista.
Palma Sgreccia
Docente di Filosofia morale e Bioetica
Master in “Bioetica, Pluralismo e Consulenza etica” dell’Università di Torino
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