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Martedì 13 LUGLIO 2010
Troppi ostacoli burocratici per i farmaci innovativi

La denuncia da due studi del Karolinska Institutet, presentati  nel corso di un convegno dell'Iapg a Roma. Eppure è dimostrato che sono soprattutto i nuovi farmaci per terapie imortanti a garantire una qualità migliore di vita ai cittadini e a contenere i costi della sanità.

Meno spesa, migliore qualità di vita per i pazienti. Un risultato ottimale che i farmaci innovativi potrebbero aiutare  a raggiungere se non dovessero fare i conti con la selva di ostacoli che la burocrazia, ma le stesse norme di governo della sanità, frappongono tra loro e i cittadini.
A dimostrarlo ci sono due studi, realizzati da Bengt Jonsson e Gisela Kobelt, della Stockolm School of Economics and Karolinska Institutet, presnetati oggi a Roma  nell’ambito di un convegno – Accesso e valore dei nuovi farmaci in Italia – promosso dallo Iapg, Italian American Pharmaceutical Group, nel quale sono riunite le aziende italiane a capitale americano.
Che i farmaci innovativi – intendendo quelli frutto degli ultimi progressi della ricerca farmacologica – abbiano avuto un impatto rilevante sulla salute pubblica è un fatto incontrovertibile: lo ha rilevato Marina Panfilo, Public Affaris Director della Pfizer. A dimostrarlo c’è, innanzitutto la crescita velocissima della speranza di vita che, nell’arco di 45 anni è cresciuta di ben 12 anni. E una percentuale oscillante tra il 42 e il 59% di questa crescita è dovuta proprio all’introduzione – nel nostro Paese e in altri 51, presi in esame dallo studio presentato da Panfilo – dei farmaci innovativi.
Che, appunto, offrono soprattutto la speranza di una sopravvivenza più lunga a malattie un tempo incurabili o, comunque, con esiti fatali. Un dato positivo che però, come ha rilevato Panfilo, non ha modificato gli indici di mortalità che vedono ancora primeggiare, ad esempio, le malattie cardiovascolari, per le quali, pure, esistono oggi cure all’avanguardia.
E proprio per riferirsi alle singole patologie, Panfilo, ha preso in esame alcune di esse mostrando come e quanto l’accesso ai farmaci innovativi abbia modificato, in meglio, la situazione dei pazienti. Dai farmaci per le malattie cardiovascolari è passata a quelli per il diabete, le malattie infettive e quelle orfane. E ha concluso il proprio excursus con un appello a che il sistema di governance italiano sappia dare all’innovazione il posto che merita, incentivando e promuovendo con politiche adeguate, la ricerca e lo sviluppo.
A conclusioni nient’affatto dissimili sono giunti anche gli altri due relatori, Bengt Jonsson e Gisela Kobelt. Il primo ha affrontato le problematiche connesse alle malattie oncologiche e alla loro cura, osservando come anche in questa vastissima area, la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi dei malati sia andata crescendo. Proprio per effetto di terapie sempre più mirate ed efficaci. Il Italia, ha osservato Bengt, fino alla metà degli anni ’90 l’adozione di farmaci oncologici innovativi ha registrato trend in media con il resto d’Europa. Dal 2000 in poi, invece, i tempi si sono allungati, l’adozione “risulta lenta” e il livello di uso appare “uguale o inferiore alla media europea”. Molte le cause secondo Bengt: i ritardi per l’autorizzazione all’immissione in commercio  di farmaci già approvati dall’organismo europeo (l’Ema) vanno dai 3 ai 17 mesi. E La “rapidità di adozione dei nuovi trattamenti così come il loro uso, variano da Regione a Regione”.
Dal canto suo Kobelt ha presentato un’analisi sugli impatti economici di due patologie profondamente invalidanti (anche se a livelli e con tempi diversi): l’artrite reumatoide e la sclerosi multipla. Si tratta di patologie che incidono profondamente – e non in meglio – sulla qualità di vita  dei pazienti che sono in genere piuttosto giovani (tra i 45 e i 55 anni per l’artrite e dai 30 ai 35 anni per la sclerosi) e che quindi vedono diminuire le loro possibilità di partecipare alla forza lavoro. Allo stesso tempo i costi di queste malattie (valutati per l’Italia, rispettivamente in 11.500 euro annui e in 35.350 euro l’anno) sono imputabili per un’ampia percentuale (intorno al 30%) alle famiglie chiamate ad assistere questi malati.
Resta quindi ancora molto da fare se si considera che le differenze nel trattamento di queste patologie tra i vari Paesi della Ue sono ben evidenti. L’Italia, in particolare, spende molto più della media europea per il trattamento della sclerosi rispetto a quello dell’artrosi che, pure, mostra di reagire meglio alle terapie farmacologiche. Una situazione che determina costi per la disabilità che potrebbero, invece, essere tranquillamente contenuti.
La necessità di una diversa e più attenta politica delle terapie innovative è comunque emersa anche dalla tavola rotonda che ha seguito la presentazione degli studi. Un’occasione per ribadire – lo ha fatto l’oncologo Paolo Marchetti, in rappresentanza dell’Aiom, l’Associazione italiana di Oncologia medica – sottolineando l’“inaccettabilità delle differenze nell’accesso ai farmaci registrate tra Regione e Regione”. Differenze che, ha ricordato, “rendono a volte drammatica la nostra pratica clinica quotidiana”.  Critico verso il sistema regionale della sanità si è mostrato anche Antonio Gaudioso, vice segretario nazionale di Cittadinanzattiva: “Il processo federalista ha soltanto accentuato le differenze che già esistevano. E così a farne le spese sono stati i cittadini di tutta Italia”. Un commento “tecnico” alla situazione è venuto da Simona Montilla, del Centro studi dell’Aifa che ha ricordato come sia necessario correggere queste difformità e come presso il ministero della Salute sia in via di approvazione un provvedimento che rende l’autorizzazione all’immissione in commercio rilasciata dall’Aifa, immediatamente  esecutiva in ogni Regione.
Ma le scelte regionali – a sostenere la posizione delle Regioni è stato Loredano Giorni, responsabile del settore farmaceutico della regione Toscana –  sono quasi sempre legate alle disponibilità che offerte loro lo Stato o, meglio, al rispetto del tetto di spesa che, nel caso della farmaceutica ospedaliera, è stato fissato nel 2,4% del finanziamento per la sanità, ma ha da tempo toccato quota 4,8%. In questa situazione risulta spesso difficile garantire la sostenibilità del sistema e far sì che ai cittadini non manchi mai nulla.
La soluzione a un problema che da così tanto tempo attanaglia la sanità italiana potrebbe venire , come ha sottolineato il ministro della Salute Ferruccio Fazio nel suo intervento al convegno, dal completamento della “territorializzazione” del sistema. Un processo avviato proprio in considerazione dei mutamenti demografici – l’invecchiamento della popolazione su tutti – che impongono uno spostamento del trattamento delle “cronicità” sul territorio, riservando l’ospedale solo ai casi acuti. In questo senso vanno molte delle misure contenute nella manovra economica, anche lo stesso emendamento all’articolo 11  – contestato da Massimo Scaccabarozzi, Chairman Iapg a nome delle aziende del farmaco – che, come ha ricordato Fazio, apre una strada a una diversa forma di remunerazione delle farmacie, chiamate, insieme ai medici di medicina generale, a svolgere un nuovo ruolo di presidio sanitario sul territorio.

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