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Venerdì 30 OTTOBRE 2020
Per la medicina generale serve un salto di “qualità”
Gentile Direttore,
da mesi tutti gli organi di informazione riportano la volontà del governo di cambiare la Sanità. Leggiamo che l’epidemia Covid ha messo in evidenza deficit strutturali e organizzativi del nostro sistema di erogazione delle cure. Questi problemi vanno “approfonditi” dice il ministro della Salute Roberto Speranza, le risorse del Recovery Fund ed eventualmente del Mes devono servire al “rilancio del territorio” e fare della casa il “primo luogo di cura”.
Il ministro ha presentato cinque livelli di riforma: tre assi verticali costituiti da territorio e sanità di prossimità, ospedali in rete e salute e ambiente; due assi trasversali composti da conoscenza della salute e innovazione digitale per il Sistema Sanitario. Ma tutto questo cosa può significare per la medicina generale?
Leggiamo proposte di vari modelli organizzativi: case della salute, aggregazioni di vario tipo per i medici di famiglia, aggregazioni pluri-specialistiche territoriali, telemedicina, passaggio alla dipendenza ecc.
Ma siamo sicuri che il miglioramento delle cure primarie dipenda soltanto dai modelli organizzativi o dall’aumento delle risorse? Il cittadino italiano già ora può accedere liberamente alla medicina generale, alla continuità assistenziale e al pronto soccorso, ha a disposizione uno squadernamento di specialità che non ha pari in qualsivoglia altro paese.
Allora perché molte domande non vengono soddisfatte? Perché un ricorso frequente e massivo alla medicina di secondo livello? A mio avviso esiste una sola causa di tutto ciò: la scarsa qualità media della medicina generale italiana. I medici di famiglia italiani si sono trovati, nel corso degli ultimi decenni, ad esercitare una professione sempre più espropriata di autonomia, di indipendenza, di abilità e di competenze.
La burocrazia ha raggiunto dimensioni elefantiache, al medico è stata impedita la prescrizione di farmaci per patologie frequenti come il diabete, lo scompenso cardiaco, la broncopatia cronica ostruttiva, le aritmie, le psicosi ecc. Questo non è avvenuto in nessun altro paese del mondo.
Piani terapeutici, note prescrittive, prestazioni indotte da ambulatori specialisti hanno creato una sorta di fabbrica della visita specialistica che lavora a pieno ritmo. Nell’immaginario collettivo il medico di medicina generale non è lo specialista esercitante una disciplina fondamentale ma è il “medico di base” che deve fare quello che lo specialista gli dice di fare e, purtroppo, spesso questo è quanto avviene. Qualsiasi modello organizzativo venga posto in atto in atto sarà un fallimento se non si restituirà alla medicina generale la qualità. Il territorio è già sufficientemente coperto, abbiamo bisogno di competenze.
Esiste un solo modo per migliorare significativamente la medicina territoriale e le cure primarie in generale: istituire i Dipartimenti Universitari di Medicina Generale. La medicina generale deve entrare nel curriculum under graduate della formazione medica e deve essere specialità accademica. Solo così potremmo definire le competenze e le abilità di questa disciplina, solo così non sarà espropriata di professione perché il campo di azione sarà chiaro e definito.
Solo così avremo medici preparati, potrà essere definito un iter di carriera e potrà essere riconosciuto il merito. Solo così i giovani laureati potranno essere orgogliosi di scegliere questa professione.
Non c’è bisogno di riorganizzare, qualsiasi organizzazione, se necessaria, nascerà spontanea. Abbiamo bisogno di competenze e abilità, merito e carriera. I fondi del Recovery Fund o del Mes, se saranno investiti nella creazione di Dipartimenti Universitari di Medicina Generale, riformeranno profondamente il nostro Sistema Sanitario Nazionale rendendolo più equo ed efficace.
Giuseppe Maso
Presidente SIICP - Società Italiana Interdisciplinare Cure Primarie
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