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Lunedì 12 LUGLIO 2010
L’Iss svela l’origine genetica di una nuova malattia

Il coordinatore dello studi: “La scoperta avrà un importante impatto nella clinica in quanto permetterà di identificare i pazienti a rischio per l’insorgenza di leucemie e disordini mieloproliferativi”.

Ricercatori dell’Istituto superiore di sanità hanno correlato alcune mutazioni del gene CBL, un soppressore tumorale, a una condizione clinica riconducibile alla sindrome di Noonan, una malattia genetica che colpisce circa un bambino su 2500 caratterizzata da bassa statura, dismorfismi facciali, difetti cardiaci congeniti e problemi dello sviluppo psicomotorio. La ricerca ha infatti evidenziato che i bambini che presentano un’alterazione di CBL mostrano un’ampia variabilità di segni clinici all’interno dello spettro fenotipico proprio della sindrome di Noonan.
Questo gene, frequentemente mutato nelle leucemie della linea mieloide, codifica per una proteina che svolge un ruolo chiave nei processi di degradazione dei recettori di membrana, la cui attivazione regola numerosi processi biologici, quali la proliferazione e il differenziamento cellulare.
"Questa scoperta - ha dichiarato il coordinatore dello studio Marco Tartaglia, del dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare dell’Iss - dimostra per la prima volta il ruolo cruciale giocato da CBL nello sviluppo. Considerato il ruolo di CBL nell’oncogenesi, questa scoperta avrà un importante impatto nella clinica in quanto permetterà di identificare i pazienti a rischio per l’insorgenza di leucemie e disordini mieloproliferativi. A oggi, abbiamo identificato molti dei geni coinvolti, ma per circa un quarto dei pazienti affetti da sindrome di Noonan e condizioni correlate la causa molecolare resta ancora sconosciuta. Il nostro impegno - ha concluso Tartaglia - è volto non solo all’identificazione di nuovi geni-malattia, ma anche alla comprensione dei meccanismi molecolari e cellulari sottostanti la patogenesi e allo sviluppo di future terapie".
Lo studio, finanziato da Telethon è stato pubblicato sull’American Journal of Human Genetics e ha visto la partecipazione di ricercatori provenienti da 13 centri di ricerca italiani e stranieri. 

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