quotidianosanità.it
stampa | chiudi
Lunedì 05 OTTOBRE 2020
Fondi Mes. Cosa stiamo aspettando?
Gent.mo Direttore,
come medici in pensione abbiamo aiutato nel periodo più difficile il nostro Paese, abbiamo lavorato al fianco di giovani specializzandi e colleghi e colleghe e oggi ci ritroviamo ancora una volta sminuiti del nostro ruolo, mentre il nostro contributo sia come know how che come pensionati è rilevante sia per la società, per i cittadini, ma anche per i nostri figli e nipoti, visto che le nostre pensioni e il nostro aiuto consentono loro di far fronte alla crisi post-lockdown.
Nel corso di questi ultimi mesi, siamo venuti a conoscenza di parecchie relazioni, elaborate da illustre Fondazioni e da illustri Gruppi di lavoro, per rilanciare le infrastrutture sociali e sanitarie in Italia, anche alla luce della vicenda covid 19. Come FEDER.S.P.eV. e come CONFEDIR, abbiamo altresì contribuito ad inviare al CNEL un documento di idee relativo alla riforma del Servizio Sanitario Nazionale, tenuto conto delle criticità emerse durante la pandemia.
Del tutto recentemente, siamo venuti in possesso di una bozza di rapporto (“rilanciare le infrastrutture Sociali in Italia”) promosso dalle Fondazioni Astrid e Collegio Carlo Alberto (Compagnia San Paolo) e abbiamo presentato al Governo un nostro Piano di rilancio e tutela del nostro Sistema Sanitario Nazionale. Vorremmo che la nostra voce fosse ascoltata.
La nostra storia personale di Primari Medici, Dirigenti Sanitari prima e di Manager poi, all’interno del mondo sanitario non ci esime, anzi ci obbliga, per onestà intellettuale, a chiarire un concetto basilare per l’organizzazione funzionale di questo settore.
In Sanità le gerarchie dei tre fattori in campo – quale ordine di importanza per il suo efficiente ed efficace funzionamento – sono le seguenti: risorse umane; risorse tecnologiche; risorse edilizie. Quindi – sulla scorta del nostro vissuto professionale – i “muri” sono sì importanti, ma i primi due fattori sono di gran lunga più importanti del terzo.
Inoltre l’Ospedale del futuro sarà sempre più un Centro Servizi ad alta tecnologia quale necessaria evoluzione del Centro Degenze che ancora oggi lo caratterizza, e ciò per ottenere una elevata dinamicità funzionale contro l’attuale staticità dell’organizzazione ospedaliera. In futuro la “farmacogenomica” renderà disponibili farmaci avanzati che offriranno la possibilità di attivare terapie così mirate che consentiranno cure a domicilio o al massimo in strutture protette diffuse sul territorio per monitorarne per qualche ora gli effetti, cure sostitutive di quelle oggi erogate in regime ospedaliero.
Per quanto attiene alle strutture outpatient, da prevedere e costituire per un bacino di utenza di circa 20.000 abitanti, viene stimata una spesa specialistica totale di 17,6-18,3 miliardi di euro/anno pari al 15,4%-16% della spesa sanitaria pubblica totale. L’indicazione di simile bacino di utenza, a nostro parere, costituisce il primo fondamentale e inevitabile cambiamento del modus operandi, cioè dell’approccio della c.d. nuova Sanità “amica” del cittadino. E ciò in quanto, al di là del nomen juris (“Casa della Comunità” o “Sanità di iniziativa” esperimento della Regione Toscana in essere dal 2010), disporre di 12-15 medici uniti in studi aggregati ubicati in una sede di servizio/struttura territoriale unitaria/unica, con la presenza di 12-15 infermieri, di 6-8 terapisti della riabilitazione e di 3-4 unità amministrative, significa dare finalmente concreta attuazione alla indispensabile “continuità assistenziale”, condizione basilare per contrastare con successo – anche in termini di sostenibilità economica – la sfida dei prossimi decenni: la “Long Term Care” (L.T.C.).
Questo cambiamento induce, con riferimento a 100.000 abitanti, la disponibilità/l’impiego territoriale di un target di risorse adeguato ed organizzato, in grado di operare con le tecnologie più avanzate e connesso in rete con i data base sia delle strutture distrettuali che ospedaliere. Il secondo fondamentale e inevitabile cambiamento è quello di percorrere virtuosamente la strada della “appropriatezza” delle prestazioni per far sì che il cittadino-utente stia nella struttura – o segua la cura – adeguata in relazione al proprio bisogno sanitario.
Occorre attuare un radicale ed effettivo cambiamento attraverso due passaggi fondamentali: “fuori” dagli Ospedali le cure delle patologie croniche, “fuori” dagli Ospedali l’assistenza specialistica ambulatoriale. Passaggi fondamentali che troveranno tanto più condizioni realizzative quanto più verranno costituite le strutture oupatient.
Il terzo fondamentale e inevitabile cambiamento (terzo non certo in ordine decrescente di importanza, anzi!) riguarda il potenziamento dell’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), realtà ancora in stato di arretrata attuazione, atteso che tratta mediamente 47 pazienti ogni 1.000 anziani residenti > 65 anni, un target che va aumentato gradualmente sì, ma senza ulteriori tentennamenti ed indugi, verso i livelli assicurati nelle due regioni (Emilia Romagna e Toscana) che esprimono il modello più virtuoso con 101 e 103 casi per 1.000 anziani residenti > 65 anni. Inoltre occorre potenziare la sanità per gli anziani: i posti letto delle RSA in Italia sono 21 ogni 1.000 persone di età superiore a 65 anni, a fronte del target di 50 raccomandato dalla Commissione europea. Concludiamo rappresentando che è sui temi della Salute Mentale e della Non Autosufficienza che viene e verrà misurato il livello di “civiltà” di una comunità nazionale.
E l’Italia non può non farsi carico del fatto che è sempre più impellente l’esigenza di una risposta strutturata di natura e carattere “universalistici” da realizzare con l’istituzione del Fondo Nazionale per la Non Autosufficienza (FNNA).
Inoltre occorre richiedere subito l'attivazione del MES sanitario (linea di credito di 37 miliardi circa, con interesse annuale allo 0,11%),che non copre neanche i tagli e i sottofinanziamenti subiti dalla sanità negli ultimi 20-25 anni da parte di tutti i governi di centro-destra,centro-sinistra e giallo – verde-rosso.
Questi denari servirebbero, senza alcun dubbio e si tratta, per essere precisi, del Pandemic Crisis Support (Sostegno alla Crisi pandemica), basato sulla sua linea di credito Enhanced Conditions (ECCL) disponibile per tutti gli Stati dell’area euro. Ogni Stato membro può chiedere prestiti fino a un massimo del 2% del proprio Prodotto interno lordo, calcolato alla fine del 2019. Cosa stiamo aspettando?
Michele Poerio
Presidente Nazionale FEDERSPeV e Segretario Generale CONFEDI
© RIPRODUZIONE RISERVATA