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Venerdì 02 OTTOBRE 2020
La leadership delle donne in sanità dovrebbe essere priorità per tutti
Gnetile Direttore,
“Un'altra malattia è diventata un’epidemia: la questione della donna in relazione alla medicina è una delle forme in cui la pestis mulieribis infastidisce il mondo.” Si inaugurava così il congresso annuale dell’American Medical Association nel 1871. Erano gli anni delle prime grandi chirurghe: Garrett Andersson nel Regno Unito e Mary Edwards Walker negli USA. Ben un secolo prima nasceva James Barry, soprannominata la “beardless lady”, che passò alla storia per la sua scelta di intraprendere la strada di chirurga, negando il suo genere e travestendosi da uomo.
Molte sono le donne che si sono succedute fino ai giorni nostri nel panorama medico italiano, prima tra tutte Ernestina Paper, la prima laureata in Medicina nel 1877 a Firenze; Maria Montessori, prima medica a rivestire un ruolo nel sistema pubblico nel 1893; e infine Rita Levi Montalcini, Nobel per la Medicina nel 1986. Di chirurghe ne ricordiamo di meno, sarà forse che il numero delle chirurghe in posizione di vertice nella storia del nostro Paese è più basso del numero degli uomini con i baffi a rivestire il medesimo ruolo?
Cosa vuol dire essere medica oggi? Secondo il più recente report sul Bilancio di genere dell’Università di Padova, tra le più virtuose realtà italiane, il numero delle iscritte a Medicina corrisponde al 53% del totale. Le donne inoltre sembrano laurearsi con voti più alti e prima dei colleghi maschi. Il 58% del totale degli specializzandi è donna e si arriva al 66% quando si valutano i dottorandi e al 70% gli assegnisti. Il 64% dei ricercatori a tempo determinato di tipo A, posizione senza sicura progressione di carriera, è donna.
Purtroppo, la forbice inizia a delinearsi quando il posto da ricercatore diventa di tipo B (pur sempre a tempo determinato, ma con sicura progressione di carriera a Professore Associato), in cui le donne raggiungono appena il 25% del totale in Area Sanitaria. La percentuale dei Professori Associati di sesso femminile non sembra superare di molto quello degli RTDb e tantomeno dicasi per la percentuale dei Professori Ordinari, che in alcuni dipartimenti è pari a zero. Possiamo parlare di un glass ceiling index alto o di un rapporto di femminilità basso, ma rimane pur sempre un elemento su cui riflettere e da cui partire per elaborare la politica sanitaria di domani.
Diventerebbe a questo punto essenziale vedere un impegno da parte delle Istituzioni sul bilanciamento vita-lavoro, con potenziamento dello smart working, laddove possibile, e sulla collaborazione con scuole ed asili, elementi imprescindibili per un rientro al lavoro più agevole di madri e padri. Attenzione: poco importa se l’asilo accetta i bambini dalle 8:30 alle 16, perché i nostri turni richiedono maggiore flessibilità e copertura in orari poco affini all’attuale orario scolastico.
L’impegno delle Istituzioni dovrebbe garantire il controllo della progressione di carriera mediante bonus a dipartimenti virtuosi in termine di gender balance, commissioni con adeguata presenza femminile e programmi di mentoring. Il o la mentore dovrebbe quindi diventare una figura essenziale al fine della crescita professionale e umana degli esperti del sistema sanitario, dovrebbe servire da riferimento nei molti momenti di passaggio e da modello nelle difficoltà, che possono essere molte nel nostro lavoro, a prescindere dal sesso e dalla genitorialità.
Le istituzioni dovrebbero sentire il peso della lotta allo stereotipo e della tutela contro l’harassment. Dovrebbero favorire la possibilità di denunciare le molestie e mettere in atto un sistema di controllo e di gestione delle stesse, al fine di evitare ripercussioni.
Le associazioni di categoria, tra tutte Women in Surgery Italia e Women for Oncology dovrebbero servire da punto di aggregazione e di contatto per le molte colleghe del Sistema Sanitario, non per ghettizzarsi, ma per esaltarsi e lavorare insieme contro la “social isolation”. L’integrazione delle diverse associazioni di mediche non potrà che esaltare la potenza dei numeri e servire da interlocutore forte con le Istituzioni.
Infine, la sensibilizzazione nei confronti del pregiudizi di genere dovrebbe essere responsabilità di tutti, l’equità dovrebbe essere una priorità per uomini e donne. Non si possono tollerare eccezioni, uomini e donne dovrebbero essere uniti nella lotta allo stereotipo e nell’esaltazione delle peculiarità del singolo, a prescindere dal genere, al fine di volgere insieme all’investimento sull’altro 50% del capitale umano.
Rifacendomi a quanto già descritto ampliamente da altre colleghe su Quotidiano Sanità, la rappresentanza delle donne in posizione di leadership nei diversi organi amministrativi e di governance in ambiente sanitario dovrebbe diventare priorità di ognuno di noi.
Gaya Spolverato
Chirurga Oncologa
Ricercatrice Universitaria di tipo B, DiSCOG Università di Padova
Clinica Chirurgica I, Azienda Ospedale Università di Padova
Presidente e co-fondatrice di Women in Surgery Italia
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