quotidianosanità.it
stampa | chiudi
Giovedì 01 OTTOBRE 2020
Il dibattito sull’Ebm. Le evidenze scientifiche e il medico di medicina generale
Proseguiamo il dibattito sollevato dall'ultimo libro di Ivan Cavicchi sulle evidenze scientifiche in medicina con Saffi Giustini. “Molti anni fa era stato calcolato che un Medico di MG dovrebbe poter studiare circa 20 articoli originali al giorno per 365 giorni all’anno, per mantenersi aggiornato nella sua disciplina ed è cosa nota che i programmi didattici tradizionali di formazione non sono in grado di modificare sostanzialmente il nostro comportamento clinico e non migliorano i risultati clinici nei nostri pazienti. E allora come possiamo ovviare a questo problema?”
Covell e coll. nel lontano 1995, scrissero che ai medici occorrono dati obiettivi e clinicamente importanti in almeno due pazienti su tre e in più di otto decisioni cliniche al giorno. Una osservazione ancora oggi valida che pone alcune riflessioni.
Le riviste indicizzate e di una qualche utilità sono numerose e la differenza fra il tempo a disposizione per leggere e la quantità di letture cui dovremmo dedicarci é scoraggiante. Davidoff e coll. molti anni or sono hanno calcolato che un Medico di MG dovrebbe poter studiare circa 20 articoli originali al giorno per 365 giorni all’anno, per mantenersi aggiornato nella sua disciplina ed è cosa nota che i programmi didattici tradizionali di formazione non sono in grado di modificare sostanzialmente il nostro comportamento clinico e non migliorano i risultati clinici nei nostri pazienti. E allora come possiamo ovviare a questo problema?
Attraverso alcune strategie che consistono: nell’autoaddestramento alla pratica della medicina basata sulle prove e nell’adozione di Linee Guida diagnostico - terapeutiche che possono migliorare la nostra condotta pratica.
La “medicina basata sulle prove” ha come scopo essenziale la valutazione della reale efficacia degli strumenti di cura per proporre le strategie terapeutiche più appropriate al contesto clinico. L’uso di determinati farmaci in conformità a corrette premesse di fisiopatologia e di farmacologia è l’inizio per una proposta terapeutica, ma solo la verifica, attraverso studi clinici controllati e randomizzati, consente di dimostrarne l’efficacia.
La facilità d’accesso alle informazioni sull’efficacia scientificamente provata degli atti medici ne consente la valutazione quantitativa, complessiva e comparativa, non solo in termini clinici ma anche economici e quindi di appropriatezza dell’utilizzo delle risorse.
Come hanno scritto David Sackett e Brian Haynes nel 1977 nell’editoriale di saluto del primo numero della Rivista EBM, testata della British Medical Association, la “medicina basata sulle prove” consiste in un processo di apprendimento continuo basato su casi specifici: il prendersi cura dei nostri pazienti rende, infatti, necessaria l’obiettività di diagnosi, prognosi e terapia.
L’EBM consente di convertire la necessità d’informazioni direttamente in domande, formulare tali quesiti nel modo più obiettivo ed efficiente possibile, sia che emergano dall’esame clinico, dal laboratorio, dalle pubblicazioni scientifiche o da altre fonti, stimare criticamente l’obiettività delle prove sperimentali in base alla loro validità e applicabilità clinica, impiegare i risultati di tale stima nella nostra pratica clinica, per poi valutare il nostro operato.
Parma e Caimi, nel capitolo “Medicina delle prove di efficacia e Medicina Generale”, contenuto nel volume di Alessandro Liberati «La medicina delle prove di efficacia», hanno analizzato in modo convincente la questione centrale dei rapporti fra l’EBM e l’area delle cure primarie.
Ne riportiamo alcuni brani, che giudico significativi: «… Siamo poi sicuri, che i nostri pazienti siano equiparabili e si comportino come i loro simili che hanno contribuito a produrre “evidenza” in quello studio clinico controllato e randomizzato? E’ esperienza comune constatare che al singolo paziente poco importa dei risultati “medi” ottenuti sui grandi numeri di un certo intervento in un trial; il malato cerca e pretende che siano positivi per se stesso. Nella nostra realtà operativa, dove sono predominanti le aree d’incertezza e le situazioni non sono mai così nette come accade in modo “artificioso” per i pazienti arruolati negli studi clinici controllati, dove cosa il paziente pensa è un elemento di rilievo nell’intero processo decisionale e per la riuscita della strategia terapeutica, quale trasferibilità di conoscenze, può avvenire dall’EBM? Poiché la dimensione temporale è peculiare nell’esercizio della Medicina Generale e non termina la sua relazione con un singolo episodio di malattia, è di fondamentale importanza definire “la prova” in base a quale esito e a quale “end-point».
Esempio: nel campo dell’ipertensione arteriosa é differente se si assume come parametro di evidenza la riduzione dei valori pressori (end point surrogato) o la riduzione della mortalità cardiovascolare (end point vero) ma sappiamo che, nella pratica, tutto ruota su eventi verificabile nel breve periodo come la riduzione della pressione, del colesterolo, della glicemia.
«La valorizzazione della Medicina basata sulle Prove come metodologia dell’approccio clinico, come strumento - mezzo di lavoro e non fine, e non come semplice trasferimento e applicazione di contenuti probanti, può consentire di superare le giuste critiche alla sua scarsa capacità di dare risposte nelle aree di incertezza e di dubbio, dove le conoscenze sono incomplete o contraddittorie. In sintesi il problema che abbiamo di fronte è quello di vedere se e quanto il Medico di Medicina Generale utilizza la Medicina Basata sulle Prove di Efficacia come strumento nel proprio lavoro cioè quanto entra nel processo decisionale».
In un articolo apparso su Ricerca & Pratica sempre molti anni or sono dal titolo “La ricerca come strumento di gestione ottimale della routine”, Gianni Tognoni espone in modo acuto lo scenario che si apre alla Medicina Generale: «… In un possibile modello, la ricerca sarebbe in grado di fornire elementi documentati di conoscenza, mentre al medico spetterebbe il compito di adattare e modulare questa conoscenza alla pratica attraverso l’analisi del contesto entro cui si muove e lavora».
In questo tempo di trasformazione del sistema sanitario siamo di fronte ad uno snodo determinante: fino ad oggi la Medicina Generale è stata oggetto delle scelte decisionali in tema di gestione delle risorse. Sono necessarie modifiche del quadro legislativo e normativo che tuttavia non sono sufficienti da sole a cambiare lo scenario della sanità territoriale e a ridare autorevolezza ai Medici di Famiglia, a meno che non si attui un rinnovamento culturale che consenta alla Medicina Generale di essere parte attiva nelle scelte gestionali.
Saffi Giustini
Commissione Farmaco Regione Toscana già medico MG e coordinatore AFT
Leggi gli articoli precedenti di Gensini et al., Manfellotto, Mantegazza, Maria Teresa Iannone, Giuseppe Familiari e Ornella Mancin.
© RIPRODUZIONE RISERVATA