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Martedì 22 SETTEMBRE 2020
Le evidenze scientifiche in medicina. Apriamo il dibattito
Con queto articolo di Gensini, Rasoini e Alderighi dell'Ircc Multimedica, apriamo su QS un forum aperto di discussione sul ruolo delle evidenze scientifiche in medicina. Un confronto che prende il via dalla pubblicazione dell'ultimo libro di Ivan Cavicchi e che pensiamo possa essere di stimolo a quanti ricercano la “verità”, nel bene e nel male, anche in medicina
A seguito della pubblicazione dell'ultimo libro di Ivan Cavicchi intitolato “L’evidenza scientifica in medicina, l’uso pragmatico della verità”, abbiamo pensato, d'accordo con l'autore, di promuovere un dibattito su Quotidiano Sanità sui temi trattati dal volume.
Il primo contributo che abbiamo il piacere di pubblicare ci giunge da Gianfranco Gensini, Raffaele Rasoini e Camilla Alderighi dell'Irccs Multimedica di Milano.
C.F.
Già prima che l’Evidence Based Medicine (EBM), nei primi anni ’90, diventasse di dominio collettivo, per poi imporsi come il paradigma - tuttora vigente - in medicina, i suoi antesignani, come Archibald Cochrane, si sono trovati a gestire le critiche ben motivate di tutti coloro che trovavano difficoltoso conciliare la pratica di una medicina individualizzata con l’esigenza di aderire a raccomandazioni desunte da grandi studi clinici. Molto spesso ingatti , il “paziente medio” degli studi clinici non coincide con il paziente che i medici hanno di fronte tutti i giorni.
L’osservazione dell’aumento della complessità in medicina, derivato dal prolungamento dell’età media e quindi dalle numerose comorbilità e fragilità nella popolazione anziana, ma anche dall’aumento netto delle informazioni mediche, più o meno di valore, e dalle maggiori possibilità di intervento da parte dei medici, hanno reso sempre più attuale e palpabile questo conflitto; negli ultimi 20 anni, quest’ultimo è andato di pari passo con l’esigenza di aderire, in maniera sempre più “normativa” a protocolli e linee guida, sviluppate allo scopo di indirizzare i medici verso cure appropriate e sostenibili, ma che risultano talvolta strumenti poco flessibili e non adatti a favorire la cura del singolo paziente in contesti di complessità e incertezza.
In mezzo a questa tensione si sono collocati, negli ultimi anni fino anche all’epoca del tutto recente, voci critiche nei confronti del movimento dell’EBM, talora provenienti persino dai suoi ideatori e sostenitori. La necessità di una adesione troppo rigida a protocolli e linee guida, il “dirottamento” dell’agenda dei trial da parte delle aziende farmaceutiche, la multimorbidità crescente, sono alcuni dei punti critici sollevati.
L’esigenza di un cambiamento o forse di una estensione dell’attuale paradigma è stata anche sollecitata da parte di quegli Autori che hanno di recente riconosciuto l’incertezza come un elemento connaturato e inevitabile della scienza medica, e che hanno sottolineato la necessità di convivere e saper convivere con l’incertezza senza nasconderla “sotto il tappeto”.
Anche i tentativi di valorizzare lo “shared decision making”, e, più recentemente, lo “shared understanding of medicine” si configurano come parte di questo filone che intende far pendere la bilancia anche dalla parte del malato e del medico, oltre che dalla parte della ricerca scientifica. In modo diverso, lo stesso cerca di fare la medicina narrativa in tutte le sue declinazioni. Inoltre, anche da un punto di vista metodologico, diversi Autori hanno cercato e cercano costantemente di lavorare a favore di una evidenza di cui ci si possa fidare, e che possa scendere dall’empireo calandosi negli specifici contesti di cura (come ad esempio il metodo di valutazione GRADE).
Il nuovo libro di Ivan Cavicchi si colloca nel filone di coloro che tentano di immaginare una nuova medicina, che non butti via il bambino con l’acqua sporca, ma che si riappropri di elementi dimenticati, seppur essenziali, come il rapporto essenzialmente umano tra medico e paziente, e ne costruisca di nuovi, il tutto attraverso una percorso filosofico che approda ad una forte necessità di pragmatismo.
A differenza di sostenitori del positivismo contemporaneo, che sembrano voler trovare una soluzione ai limiti della scienza medica contemporanea attraverso l’elogio dei dati e della loro elaborazione con metodiche di intelligenza artificiale, la visione di Cavicchi, senza essere “luddista” nel senso di non essere incline alla rinuncia alle tecnologie, ripropone la medicina come una scienza umana e colloca quindi il medico e il paziente come filtri principali di ogni “verità scientifica”.
Per Cavicchi, se le evidenze scientifiche, come abbiamo sperimentato durante la attuale pandemia, hanno il potere di cambiare le abitudini e le attitudini di intere popolazioni, dobbiamo stare attenti alla loro intrinseca correttezza sul piano metodologico, ma anche alla loro applicazione pragmatica e contestuale.
Per l’Autore, quindi, l’evidenza scientifica in sé ha poco valore se non viene applicata nel contesto individuale e rimodulata e declinata attraverso le variabili di contesto necessarie per rendere l’evidenza, cruda in sé, uno strumento di cura.
“L’evidenza scientifica in medicina, l’uso pragmatico della verità” è un libro di cui si sentiva la necessità. Suona pedestre dire, anzi scrivere così, ma non è affatto pedestre quello che Ivan oggi ci offre come strumento di studio, di riflessione, di analisi. In fondo il concetto dominante della medicina è sempre stato quello di emulare azioni di successo clinico, oserei dire comunque individuate, perché la necessità di muoversi fra verità di diversa natura avendo sempre presente la “ground truth”, la verità empirica la cui stessa definizione rappresenta un ulteriore significativo cimento, come acutamente argomentato da Ivan, rendono qualsiasi decisione clinica una sorta di “Giudizio Universale”
Siamo convinti che si tratti dell’inizio di un percorso virtuoso, a cui mi auguro molti vorranno aderire e contribuire. Potrebbe essere uno dei primi casi di “crowd sourcing” in cui gli stimoli intellettuali e operativi posti con decisione da Ivan trovano, anche per la crescente consuetudine a confrontarsi in modalità digitale, risposte di singolarità clinica derivanti da una ampia intelligenza collettiva e connettiva.
Gianfranco Gensini, Raffaele Rasoini, Camilla Alderighi
Multimedica IRCCS, Milano
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