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Venerdì 11 SETTEMBRE 2020
Uno spettro si aggira nella sanità pubblica italiana: il DM 70
Gentile Direttore,
che il DM 70 non piacesse a molte Regioni si sapeva da tempo. Basti pensare alla sua scarsa applicazione che ha portato anche alla costituzione di una apposito Tavolo ministeriale di Monitoraggio ai sensi di una Intesa Stato-Regioni del 24 luglio 2015.
Poi è arrivato il Covid-19 che ha fatto in molte realtà “resuscitare” la ipotesi di una riapertura dei piccoli ospedali(laddove la chiusura o riconversione sia avvenuta) vista la ridotta capacità della rete ospedaliera di molte Regioni a far fronte al picco epidemico. La stessa circolare ministeriale sulla riorganizzazione della rete ospedaliera in applicazione del Decreto Rilancio di maggionon nomina mai il DM 70. Il che non è segnale, per quanto indiretto, da poco.
A far capire quanto poco sia gradito il DM 70 ha ulteriormente contribuito la campagna elettorale in corso in alcune Regioni. Nelle Marche, ad esempio, tra i candidati è unanime il giudizio negativo sul Decreto di cui si evoca la revisione, giudizio non a caso fatto proprio da entrambi i maggiori candidati.
Ma cos’ha che non piace alla politica del DM 70? Per quel che si riesce a capire è che “taglierebbe ” troppo, troppi ospedali e troppi posti letto. Quel che la politica non dice (perché forsenon lo sa) è che il DM 70 applicato per intero aumenta la razionalità, la efficienza e la presumibile efficacia e sicurezza della assistenza ospedaliera e consente un più razionale utilizzo delle risorse specie umane da reinvestire nel potenziamento dei servizi territoriali. Se invece, come è avvenuto in molte Regioni, alla trasformazione dei piccoli ospedali non si accompagna una crescita dei servizi territoriali la logica conseguenza sarà la spinta a richiedere di restituire “ciò che è stato tolto”.
Purtroppo se abbastanza spesso i piccoli ospedali sono stati trasformati, a non essere toccati sono stati gli ospedali di piccole-medie dimensioni generatori di sicure diseconomie che nelle Marche si traducono ad esempio in almeno due-tre ospedali di primo livello di troppo. E quindi di due-tre cardiologie, terapie intensive e medicine d’urgenza di troppo, per rimanere ad alcune delle discipline più “critiche”. Quindi del DM 70 andrebbe prima verificata criticamente l’applicazione e poi fatto un ragionamento sulle modifiche da apportare. A meno che alcuneRegioni non vogliano un “tana libera tutti” che farebbe riarretrare ancora di più la qualità dell’assistenza territoriale che tutti dicono di voler potenziare.
Il DM 70 è vecchio come impostazione di quasi 10 anni e quindi va certamente rivisto, ma in modo selettivo salvandone l’impostazione generale che ancora regge e soprattutto usandolo come strumento di riorientamento delle risorse verso il territorio e non come lama con cui tagliare servizi poi non sostituiti.
Il DM 70 va innanzitutto rivisto per togliere privilegi non più giustificati al privato.Infatti, da una parte tutte le strutture pubbliche o sono ospedali di base, oppure ospedali di primo o di secondo livello oppure vengono riconvertiti, a meno di non diventare in pochi casi limitati ospedali di area particolarmente disagiata. In tutti i casi gli ospedali pubblici debbono svolgere una attività in urgenza con una funzione di Pronto Soccorso.
Dall’altra parte alle Case di Cura per sopravvivere basta e bastava poco, pochissimo: alle Case di Cura per essere accreditate basta avere almeno 40 posti letto per acuti e far parte di una Rete d’Impresa che le riunisca fino a raggiungere il numero di almeno 80 posti letto. Poi di fatto non sono quasi coinvolte nell’emergenza-urgenza, ma sono col linguaggio del DM 70 “strutture con compiti complementari e di integrazione all’interno della rete ospedaliera”. Il che consente loro di scegliersi la fetta di mercato più conveniente di fatto facendo concorrenza alle strutture pubbliche nelle stesse discipline .
Vogliamo parlare dell’ortopedia? Non è il caso di rivedere questi assurdi privilegi, tanto più assurdi alla luce dell’esperienza Covid? Per rivederli bisogna da una parte lasciare anche al pubblico in situazioni definite la possibilità di avere ospedali coinvolti nella sola attività programmata e dall’altra porre vincoli molto più severi all’accreditamento delle Case di Cura Private innalzando il numero minimo di posti letto per struttura e prevedendoun loro maggior coinvolgimento sia nell’area dell’urgenza che della acuzie internistica e geriatrica.
Altro punto rivedibile nel DM 70 è la struttura troppo rigida come elenco di discipline previste per ciascuna tipologia di ospedale. Ne risulta, ad esempio, qualche ortopedia ed urologia di troppo specie se si continua a lasciare la briglia sciolta al privato.
Ed è indispensabile immettere nel “nuovo” DM 70 la logica della organizzazione dipartimentale, per intensità di cure, e quella delle reti cliniche, da non limitare a quelle tempo-dipendenti. Fissare alcuni riferimenti cogenti su questi due punti (intensità di cure e reti cliniche) è sicuramente necessario per evitare che si continuino, ad esempio, a chiamare reti aggregazioni generiche di reparti della stessa disciplina.
Per concludere, il DM 70 con le opportune correzioni deve cambiare la politica e non viceversa, com’è invece negli auspici di alcuni aspiranti Presidenti delle Regioni ; infine è necessaria una forte discontinuità nella gestione dell’ assistenza territoriale e in questo senso suscita qualche speranza per il futuro la lettera aperta firmata da quasi 150 giovani medici di medicina generale pubblicata qualche giorno fa.
Fulvio Moirano
Presidente del Comitato di Indirizzo del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna
Claudio Maria Maffei
Coordinatore Scientifico di Chronic-on
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