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Venerdì 04 SETTEMBRE 2020
Sars-CoV-2, occhio all’ospite, non solo al virus
Gentile Direttore,
tante sono le lezioni che abbiamo appreso dallo studio di una serie d'infezioni pandemiche che hanno preceduto, nel tempo, quella da SARS-CoV-2, il nuovo temibile coronavirus che ha oramai mietuto oltre 850.000 vittime, causando piu' di 25 milioni di casi d'infezione su scala globale.
Grazie agli autorevoli studi condotti dal Professor Sergio Romagnani, insigne immunologo dell'Ateneo fiorentino, noi oggi disponiamo, ad esempio, di consolidate evidenze scientifiche sul decorso dell'infezione da HIV (Human Immunodeficiency Virus) - il virus responsabile dell'AIDS - nei pazienti con "immunofenotipo dominante Th1" rispetto agli individui con "immunofenotipo dominante Th2". Saranno questi ultimi infatti, in presenza di un medesimo isolato virale, a "sperimentare" le conseguenze più negative dell'infezione da HIV, con conseguente progressione della stessa verso l'AIDS conclamato. Nei pazienti "Th1-dominanti", di contro, l'infezione evolverà in maniera più benevola non progredendo, di regola, in malattia clinico-patologicamente manifesta.
Le ricerche del Prof. Romagnani hanno letteralmente aperto una nuova strada nella comprensione delle (complesse) dinamiche d'interazione virus-ospite o, per meglio dire, agente patogeno-ospite. Prova ne siano i numerosi studi pubblicati nel corso degli ultimi 15-20 anni su molti agenti biologici, virali e non, responsabili d'infezioni sia nella nostra specie sia in svariate specie animali domestiche e/o selvatiche, così come di "malattie infettive emergenti", il 70% e più delle quali avrebbero una comprovata o presunta origine da "serbatoi animali" (come nel caso del virus SARS-CoV-2, per l'appunto).
Da queste indagini si evince chiaramente che non solo l'agente patogeno "di turno" (virus, batterio, fungo, protozoo, etc.) svolgerebbe un ruolo decisivo nel condizionare il decorso evolutivo-patogenetico dell'infezione dallo stesso prodotta in questo o in quell'individuo, ma che "l'assetto immunologico" dell'ospite (Th1 vs Th2) rappresenterebbe "l'altra faccia della medaglia", potremmo parafrasare "il 50% della storia"!
Traslando queste fondamentali nozioni nello specifico contesto delle conoscenze relative alla patogenesi ed all'immunità nei confronti dell'infezione da SARS-CoV-2, conoscenze che a tutt'oggi appaiono oltremodo lacunose e frammentarie (abbiamo contezza di questo nuovo coronavirus da soli 8 mesi, teniamolo bene a mente!), secondo uno studio di Colleghi cinesi pubblicato su Nature Medicine il 100% dei pazienti infetti produrrebbero anticorpi anti-SARS-CoV-2 entro i primi 19 giorni dalla comparsa dei sintomi ascrivibili alla CoViD-19.
Ciononostante, non è dato ancora sapere quale sia il livello di protezione nei riguardi dell'infezione virale conferito dai succitati anticorpi (neutralizzanti) e, nondimeno, quale sia l'effettiva durata della stessa, elementi questi ultimi di cruciale rilevanza propedeutica (anche) ai fini della risposta immunitaria verso i vaccini anti-SARS-CoV-2, allorquando uno o più di questi saranno disponibili sul mercato.
A ciò si aggiunge il fatto che alla genesi ed al successivo sviluppo dell'immunità antivirale concorrerebbero sia la via "Th1-dipendente" (immunita' cellulo-mediata) che quella "Th2-dipendente" (immunita' umorale), mentre un recentissimo studio di matrice svedese avrebbe documentato un consistente ruolo difensivo svolto dall'immunità cellulo-mediata negli individui affetti da forme lievi di CoViD-19, che risulterebbero in tal modo protetti dalla comparsa di forme particolarmente gravi di malattia, i cui minimi comuni denominatori patogenetici sarebbero costituiti dalla "tempesta citochinica" e dalla "coagulazione intravasale disseminata".
Ne deriverebbe pertanto, secondo il mio modesto parere, l'impellente necessità di valutare con la massima attenzione e, nondimeno, mediante il ricorso ad opportuni modelli sperimentali, il decorso evolutivo-patogenetico dell'infezione da SARS-CoV-2 in pazienti sia "Th1-dominanti" sia "Th-2-dominanti", come ho scritto peraltro, alcune settimane orsono, in una "Lettera all'Editore" pubblicata sul "British Medical Journal".
Prof. Giovanni Di Guardo
Docente di Patologia Generale e
Fisiopatologia Veterinaria,
Università di Teramo,
Facoltà di Medicina Veterinaria
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