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Martedì 28 LUGLIO 2020
Liste d’attesa. Cimo-Fesmed: “Intramoenia non si tocca. I problemi sono altri”
“Ai cittadini venga onestamente spiegato che le aziende non sono in grado di aumentare l’offerta sanitaria o recuperare i lunghi tempi di attesa con gli attuali organici; che i bilanci delle regioni e delle aziende non consentono di incrementare il personale in modo strutturale e stabile ma solo a tamponare situazioni emergenziali”, sottolinea il presidente Quici.
“L’emergenza Covid ha stravolto il mondo ma non ha cambiato la linea demagogica della politica italiana, che vuole vedere nella libera professione intramuraria la causa dei lunghi tempi di attesa nella sanità. Prevedere di vietarla, violando così i diritti professionali dei medici e ignorando che la causa dei tempi lunghi è la carenza strutturale di medici specializzati, dimostra che la politica non ha imparato nulla dalla crisi”, così in una nota CIMO-FESMED risponde all’intervento del Sottosegretario alla Salute Sandra Zampa in Parlamento in risposta ad una interrogazione sul tema delle liste di attesa ambulatoriali.
“Non è bastato l’estremo impegno del personale sanitario contro il Covid – commenta il Presidente Guido Quici - per ricordare da un lato la totale abnegazione dei medici, che hanno pagato direttamente le conseguenze della pandemia, e dall’altro la forte carenza di personale del SSN, che ha costretto il governo in fretta e furia a reclutare durante l’emergenza chiunque fosse disponibile anche se non adeguatamente formato. Non è bastato ribadire in ogni sede che i lunghi tempi di attesa dipendono dalla mancanza di personale specializzato per far fronte ai fabbisogni di cure dei cittadini e che era prevedibile “l’effetto rimbalzo” post lockdown per visite sospese e rinviate. Invece di prendere coscienza che le dinamiche sono cambiate, che il Covid ha acceso i fari su una carenza di medici ormai drammatica e sulla necessità di una profonda riforma del SSN, invece di scaricare sui medici le attuali inefficienze organizzative, invece di affrontare le questioni in modo concreto, il Ministero risponde con la retorica delle vecchie scuse”.
“Se il decreto Rilancio – aggiunge Quici - ha previsto un raddoppio delle terapie intensive senza prevedere il fabbisogno di medici specialisti delle aree intensive e sub intensive, come si intende affrontare con l’attuale dotazione organica la progressiva riapertura delle attività programmate secondo le recenti linee di indirizzo della “fase 2”? In caso di seconda ondata della pandemia con quali medici si intende affrontare le emergenze COVID e, al tempo stesso, risolvere il problema liste di attesa?”.
Per CIMO-FESMED si tratta, ora, “di essere concreti e di recuperare le lunghe liste di attesa con una concertazione tra strutture e professionisti”.
Nell’affrontare il tema per il sindacato “è necessario partire dai dati dello stesso Ministero della Salute, secondo i quali: la libera professione incide solo nella misura dello 0,36% sui ricoveri e del 6,58% sulle prestazioni ambulatoriali, con trend in continua discesa; tra il 2012 e il 2016, i medici che svolgono ALPI sono diminuiti del 13% (meno 7.570 unità); tra il 2011 e il 2016, il rapporto tra ricavi e costi aziendali ALPI è cresciuto del 34,9%, ovvero da 176,9 a 238,7 mil. di euro”.
“Ai cittadini venga onestamente spiegato che le aziende non sono in grado di aumentare l’offerta sanitaria o recuperare i lunghi tempi di attesa con gli attuali organici; che i bilanci delle regioni e delle aziende non consentono di incrementare il personale in modo strutturale e stabile ma solo a tamponare situazioni emergenziali; che gran parte delle aziende, proprio per risparmi di cassa, continua a non applicare la diretta assunzione degli oneri delle prestazioni sanitarie con sola partecipazione del ticket da parte del cittadino, indirettamente orientando il cittadino verso prestazioni in libera professione”, conclude il Presidente Quici.
CIMO-FESMED sottolinea infine “la necessità che l’offerta sanitaria sia coerentemente proporzionata alle risorse umane attualmente operanti nel SSN e, certamente, il recupero di mesi di attività non può in alcun modo risolversi adottando strumenti punitivi per azienda e professionisti quali, ad esempio, il blocco della libera professione”.
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