quotidianosanità.it
stampa | chiudi
Lunedì 06 LUGLIO 2020
Pandemia e resilienza: il ruolo della comunità
Un esperimento sociale inedito, quello cui siamo stati sopposti come esseri umani durante il periodo del distanziamento fisico e sociale e del lockdown, con cui mai avremmo pensato di dover fare i conti. Ne parla il documento “Pandemia e resilienza: persona, comunità e modello di sviluppo dopo la Covid-19”
Dopo lo tsunami sanitario e dopo quello economico, è ora la dimensione sociale e socio-sanitaria quella che desta particolari preoccupazioni rispetto all’impatto della pandemia sulla società. Una dimensione sociale che si è trovata confrontata con un vissuto del tutto nuovo rispetto al passato, da diversi punti di vista: quello delle relazioni umane e familiari, quello del rapporto tra giovani, famiglia e scuola, quello del rapporto con il pianeta e l’ambiente naturale ed animale e quello della salute come obiettivo strategico di tipo comunitario.
Un esperimento sociale inedito, quello cui siamo stati sopposti come esseri umani durante il periodo del distanziamento fisico e sociale e del lockdown, con cui mai avremmo pensato di dover fare i conti.
Per quanto riguarda le relazioni umane e familiari, ci siamo trovati confrontati con un esperimento di solitudine totale per alcuni, di distacco da molti affetti importanti per altri, di convivenza forzata e continua in spazi ristretti con i membri della propria famiglia per altri ancora. Si è riproposto cioè in maniera drammatica il tema del rapporto tra individuo e comunità di vita, nelle sue varie sfaccettature.
Da questo punto di vista è stato possibile apprezzare i segnali positivi emersi in una parte della società rispetto alle opportunità offerte dalla solitudine e dal silenzio che si è creato intorno a noi, non solo in termini di alleggerimento del traffico da trasporto e dell’inquinamento, ma anche e soprattutto in termini sociali e umani. Per molte persone si è presentata infatti, a volte per la prima volta, l’occasione di riflettere in maniera tranquilla ed estesa sulla propria vita e sul proprio mondo di esperienze, di selezionare i momenti di scambio e colloquio con gli altri, di approfondire le relazioni significative all’interno della propria cerchia di conoscenze, di vivere forme varie di spiritualità, concentrazione e rilassamento e momenti di religiosità, magari a distanza, ma con particolare intensità.
Ma al tempo stesso abbiamo constatato il peso dell’isolamento e il dramma del silenzio e del vuoto che si sono evidenziati nella vita di tante altre persone, giovani e meno giovani. Molti infatti in questa situazione si sono sentiti spaesati, drammaticamente soli con sé stessi e con quello che per alcuni è un vero “caos interiore”: sia un “caos emozionale” rispetto ai drammi della sofferenza psichica e relazionale e della solitudine interiore, che un “caos della razionalità” rispetto ai problemi esistenziali, economici e valoriali che si acuiscono nella crisi e diffondono insicurezze e dubbi sulla propria esistenza. Molti si sono ritrovati impreparati di fronte al venire meno delle infinite e variegate forme di intrattenimento e occupazione del cosiddetto “tempo libero”, centrate in gran parte su forme di svago e di consumo precluse durante il lockdown.
È il tema della solitudine dell’uomo moderno, calato in una realtà sociale densa e massificata, che ci vede in gran parte soli nella moltitudine. È quindi anche il tema della necessità di ricostruire spazi adeguati di silenzio, di consumi culturali di buon livello e qualità, di relazioni umane significative che non confliggano con le esigenze della sicurezza e della salute.
I genitori e le fasce dell’infanzia e della adolescenza, poi, hanno sofferto in modo particolare della perdita di risorse e di segmenti di vita attiva, e per quanto riguarda i bambini in particolare dell’allontanamento dalla scuola, del non poter giocare con i coetanei, del non poter abbracciare i nonni. Le famiglie si sono trovate in grande difficoltà sia laddove genitori attrezzati culturalmente ed economicamente hanno dovuto e potuto trasformare la casa in una scuola e in un parco giochi, sia laddove le risorse umane e materiali non erano presenti in misura adeguata nella famiglia, con il rischio di gravi ripercussioni sull’equilibrio psicologico e sociale dei soggetti più deboli.
E sarebbe stato più opportuno e necessario tentare di evitare di chiudere completamente gli edifici scolastici, e di organizzare attività ludiche e formative per i soggetti in età evolutiva - magari a rotazione e in forma di contingentamento -. Lo sforzo enorme prodotto da molti insegnanti in termini di didattica a distanza è encomiabile e deve farci capir quanto sia importante un uso intelligente delle tecnologie informatiche nel periodo attuale. Non dobbiamo però dimenticare, al di là della necessaria prudenza per quanto riguarda i contatti fisici in una crisi pandemica, che la vita umana è fatta di relazioni, che le relazioni sono la linfa della crescita, dello sviluppo e dell’equilibrio psico-fisico delle persone e delle comunità, e che le relazioni hanno bisogno di condivisione, scambio ravvicinato e dialogo profondo.
Da un punto di vista più generale e rispetto al rapporto della condizione umana con quella del globo e delle diverse forme di vita, per la prima volta l’umanità ha preso consapevolezza in maniera chiara ed estesa della circolarità della vita sul pianeta, e del fatto che, come anticipato dalla Enciclica Laudato Si’ e dall’Agenda ONU per lo sviluppo sostenibile al 2030 nel 2015, le emergenze virali sono il portato della rottura di un equilibrio tra uomo, natura ed altre specie animali. Da cui le riflessioni sulla salute come processo sistemico che include il benessere della natura e del mondo animale: un “sistema psico-somato-ambientale”, secondo la formulazione del Censis alla fine del secolo scorso.
Per quanto riguarda il rapporto tra umanità e pianeta, in particolare, vengono a galla in maniera drammatica ed esplosiva i temi sollevati da Papa Francesco nella “Laudato Si’”, e segnalati non da oggi da molti studiosi degli ambiti biologico, biomedico e biosociale, che da tempo indicano i rischi insiti in uno stravolgimento degli equilibri naturali all’interno del pianeta. È il dibattito sul cosiddetto Antropocene, termine poco conosciuto fino a poco tempo fa, benché coniato già nel secolo scorso in ambito biologico e chimico, e che oggi ci appare in tutta la sua pregnanza.
Il modello di sviluppo che va sotto il nome di sviluppo sostenibile, delineato dall’Agenda ONU non può continuare ad essere considerato solo un elegante modello di riflessione, ma deve dar vita a strategie ed interventi che siano davvero circolari in un’ottica di salvaguardia del capitale umano, di quello sociale e di quello naturale insieme, evitando gli sprechi e producendo equilibri virtuosi tra i fattori. La sostenibilità della salute e della sanità sarà data solo se si metterà al primo posto nelle agende dei governi il rispetto degli equilibri generazionali e di quelli naturali. L’approccio One Health, varato e lanciato nel 2004 nella conferenza indetta dalla Wild Conservation Society, è stato fino ad oggi applicato principalmente alla salute animale, alla sicurezza degli alimenti, alle epidemie zoonotiche ed all’antibiotico resistenza.
Va ora preso in più attenta considerazione per quanto riguarda anche altri aspetti importanti, come l’inquinamento (recenti studi ipotizzano che il virus viaggi con le polveri sottili), la trasformazione dei territori e la distruzione degli equilibri naturali, la progettazione urbana, quella del sistema produttivo e quella dei trasporti, e non ultima la messa a frutto delle potenzialità tecnologiche e informatiche per il controllo delle pandemie.
Infine per quanto riguarda la tutela e la promozione della salute, la pandemia ha messo a nudo la debolezza dei sistemi di welfare e sanità per quanto riguarda proprio l’approccio comunitario. Il già noto “doppio carico di malattia” (double burden of desaese), e cioè la crescita rapida, e densa di criticità, delle patologie croniche accanto a quelle acute, è stato soppiantato ora da una situazione di carico di malattia triplo o quadruplo, dato in primis dalla recrudescenza delle patologie da virus - di cui Covid-19 è l’esempio vivo e attuale -, ed in secondo luogo dalla sovrapposizione tra patologie infettive vecchie e nuove e patologie croniche, come si è evidenziato nella drammaticità di molti decessi da coronavirus, in particolare nelle regioni più colpite, ed in particolare tra anziani e malati cronici, ma anche in alcuni intrecci patologici relativi a individui appartenenti a fasce di età più giovani.
E ciò ci ha posto di fronte ai limiti dell’organizzazione attuale dei servizi sanitari, anche in paesi avanzati come il nostro, sulla necessità di attrezzarsi in maniera preventiva rispetto a simili eventi, ma anche e soprattutto sulla necessità di ripensare il ruolo della medicina di comunità e della sorveglianza del territorio. Come hanno scritto i medici dell’Ospedale Papa Giovanni di Bergamo il 21 marzo 2020, non abbiamo capito ancora a fondo quanto sia importante la dimensione della comunità in sanità, e non solo per le patologie croniche e le disabilità, come è ormai abbastanza chiaro a tutti, ma anche di fronte ad una crisi pandemica di tipo infettivo, che è soprattutto una crisi umanitaria, che tocca tutta la popolazione e richiede un approccio comunitario di popolazione e di territorio.
Su questi ed altri temi si è concentrato il documento prodotto dalla Consulta Scientifica del Cortile dei Gentili, struttura del Pontificio Consiglio della Cultura costituita per favorire l’incontro e il dialogo tra credenti e non credenti. Nel corso del lockdown dei mesi di marzo e aprile 2020 la Consulta scientifica del Cortile dei Gentili ha realizzato un’analisi multidisciplinare della situazione sociale ed economica determinatasi a seguito della diffusione del Coronavirus, soffermandosi in modo particolare sulle carenze del sistema di welfare, sulla scarsità crescente delle risorse a disposizione dell’umanità e del pianeta, sul peso delle vulnerabilità e delle diseguaglianze economiche e sociali in tempo di crisi, sui rapporti della pandemia con gli equilibri ecologici globali, l’inquinamento e la riduzione della biodiversità.
Il documento “Pandemia e resilienza: persona, comunità e modello di sviluppo dopo la Covid-19”, disponibile on line attraverso il sito del Cortile dei Gentili, e pubblicato da CNR Edizioni a giugno 2020, oltre agli elementi di analisi, offre alcune indicazioni propositive di valenza interdisciplinare, dalla prevenzione dei rischi secondo un principio di equità sociale, alla costruzione di una welfare society, che conti sui cittadini e le imprese responsabili non meno che sullo Stato e sul mercato, alla promozione di un modello di sviluppo sostenibile, ambientale e sociale, basato sull’economia circolare, agli investimenti nella ricerca scientifica, a partire dalla ricerca di base, alla individuazione di sistemi di governo orientati verso programmi lungimiranti per il futuro.
L’indicazione cui si arriva nel lavoro è che è necessario operare per una “resilienza trasformativa”, vale a dire per la ripresa della vita umana, sociale e lavorativa sotto l’egida in un approccio di tipo nuovo, ripensando le scelte, i valori e gli obiettivi da porre alla base dello sviluppo futuro, piuttosto che tornare ad un modello “business as usual”, destinato con ogni probabilità a condurci verso derive problematiche, e sarebbe importante farlo in particolare a partire da tre argomenti: sussidiarietà, cultura, connessioni.
Una buona sussidiarietà può evitare o mitigare le difficoltà, che si sono presentate in maniera così eclatante nella pandemia, e relative alla mancanza di coordinamento tra territori, gruppi sociali, livelli di governo, ma anche all’abbandono dei fragili, alla debole considerazione dei bisogni dei disabili, di quelli delle famiglie e delle famiglie con bambini, degli anziani, delle persone sole.
La cultura merita, in secondo luogo, di essere posta al centro delle strategie future della “resilienza trasformativa” di cui stiamo parlando. Cultura di qualità nel mondo dei media, rispetto alla Infodemia che si è sviluppata , e rispetto all’offerta culturale nelle sue varie forme. Ma soprattutto cultura nella scuola, nelle università e nella formazione degli adulti.
Ma dovrebbe essere evidente ormai che troppe sono le separatezze tra culture, discipline, ideologie e territori, che mettono a dura prova lo sviluppo globale nel quale siamo tutti immersi. Per cui occorre porre all’ordine del giorno delle strategie di uscita dalla crisi in cui siamo immersi innanzitutto la connessione tra governanti e governi per una definizione comune degli obiettivi da raggiungere, e la creazione di una piattaforma comune di valori condivisi che costituisca il punto di riferimento pe le decisioni da prendere in Italia (tra Regioni), in Europa (tra paesi) e nel mondo (tra continenti ed aree geopolitiche).
E le connessioni vanno cercate anche nei livelli di collaborazione necessari tra le tre anime dell’economia e della società contemporanee, la statualità, la socialità ed il mercato, superando anacronistiche contrapposizioni tra pubblico e privato, tra sfera della vita privata e vita lavorativa, tra primo, secondo e terzo settore. Infine, ma non ultimo per importanza, le connessioni vanno promosse tra discipline scientifiche e relativi ambiti applicativi. In quanto è’ apparso evidente in questo frangente che economia, scienza sociale e politica hanno sottovalutato il portato di molte analisi di ambito biomedico e biosociale, che avevano previsto e messo in guardia rispetto alla esplosione di pandemie virali sempre più numerose mano a mano che procedeva la distruzione degli equilibri naturali e lo sviluppo di una convivenza umana fortemente urbanizzata e basata sullo sfruttamento del pianeta, animali compresi.
Carla Collicelli
© RIPRODUZIONE RISERVATA