quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Martedì 16 GIUGNO 2020
Quando avremo il vaccino Covid a chi lo daremo prioritariamente?



Gentile direttore,
COVID 19 ha portato alla luce uno dei temi più caldi e complessi della sanità pubblica italiana, quello delle scelte di allocazione e prioritizzazione in contesti di risorse limitate. Si tratta di un problema piuttosto noto agli addetti ai lavori, a coloro che operano nelle terapie intensive, ai trapiantologi, a chi tra i bioeticisti si occupa di allocazione delle risorse. Eppure è un tema che nella coscienza di un paese con un sistema sanitario universalistico è rimasto a lungo nell’ombra, occultato da un più o meno cosciente bisogno di negare l’esistenza del problema.
 
Ormai più di tre mesi fa le Raccomandazioni SIAARTI per l’ammissione ai trattamenti intensivi hanno con brutalità portato questo tema al centro del dibattito, ma di fatto una riflessione approfondita in Italia sul triage in condizione di carenza di risorse è stata appena avviata, e ci auguriamo che possa dare l’avvio a un serio approfondimento dei temi di etica di salute pubblica, un filone troppo poco indagato ancora nel nostro paese, che si estende ben oltre i reparti di terapia intensiva e interessa il mondo dei trapianti e i farmaci ad alto costo.
 
COVID 19 però non attende e dobbiamo già guardare avanti, per non farci trovare ancora una volta impreparati. La prossima importante sfida in termini di accesso e prioritizzazione per risorse limitate sarà quella dell’accesso universale al/ai vaccino/i per SARS-CoV-2.
 
È stato appena pubblicato su The Lancet il risultato del primo studio di fase 1 di un vaccino a vettore adenovirale, e già si prospettano ipotesi di completamento dei test e di distribuzione del vaccino entro l’anno. Naturalmente un iter così complesso di sperimentazione, valutazione e produzione non può portare a una immediata disponibilità delle dosi sufficienti a un programma di vaccinazione universale; a ciò si aggiungono i problemi relativi alla logistica di acquisto e di distribuzione e ai costi inerenti.
 
Di fatto, l’accesso ai vaccini andrà considerato sia come un problema dei singoli Paesi, connesso a specifiche esigenze sanitarie ed economiche, sia come un grande tema di salute globale. In tal senso una delle sfide più grandi sarà quella di garantire la simultaneità nell’accesso ai paesi low income e soprattutto a quelli middle income – che sembrano allo stato attuale i grandi esclusi dalle iniziative di sostegno internazionali –.
 
Per quanto concerne la situazione italiana, il contratto sottoscritto con Astrazeneca dal nostro paese, insieme con altri paesi europei, rappresenta un primo importante passo avanti per garantire l’approvvigionamento futuro delle dosi vaccinali. È evidente però che qualunque sia l’approvvigionamento che l’Italia riuscirà a garantirsi, per questioni di produzione, distribuzione e organizzazione non sarà possibile vaccinare l’intera popolazione simultaneamente.
 
Le dichiarazioni del ministro Speranza in merito a futuri criteri di prioritizzazione sono abbastanza semplici, condivisibili e rassicuranti, perché i criteri adottati saranno saldamente ancorati al principio del medical need: dare prima ai soggetti che corrono un maggiore rischio per la propria salute.
 
Tuttavia la concreta applicazione di questi criteri potrebbe sollevare molti più problemi di quelli che immaginiamo, specie se i limiti di produzione imporranno un processo di ampliamento nell’accesso con tempi lunghi.
 
In particolare la possibilità di accesso per il personale sanitario potrebbe rappresentare una fonte di dibattito, poiché potrebbero confondersi criteri di bisogno (dare il vaccino in via prioritaria a tutto il personale sanitario o solo a quello più esposto al rischio di infezione?) con criteri di merito (il personale sanitario merita di ricevere prima il vaccino perché si sacrifica per la comunità) o di utilità (è più utile per la collettività che il personale sanitario non contragga l’infezione e possa continuare a lavorare).
 
Altrettanto importante sarà delineare con chiarezza i criteri di prioritizzazione nell’ambito della popolazione generale in base alla presenza di comorbidità e alle fasce di età, stratificando il rischio di un esito grave o fatale di COVID-19, ma tenendo conto dei margini ampi di incertezza che connotano ancora questa patologia.
 
Ultimo ma non meno importante: se anche i criteri di prioritizzazione per l’accesso ai vaccini dovessero essere impeccabili, il rischio più grande è che ancora una volta in Italia vi siano gravi iniquità nell’accesso dovute ai limiti organizzativi e alle profonde differenze in termini strutturali ed economici tra le diverse sanità regionali.
 
Come è già avvenuto ripetutamente in passato vi è una più che concreta possibilità che, sebbene le indicazioni siano uniformi a livello nazionale, la loro declinazione pratica vari notevolmente da regione a regione. Per dirla in poche parole, a parità di condizione di rischio, i settantenni della Calabria potrebbero ricevere il vaccino mesi dopo quelli del Trentino Alto Adige.
 
Forse questa volta potremmo provare a riflettere, discutere, condividere e soprattutto ad organizzarci per tempo, prima che il problema si presenti.
 
Lucia Craxì
Bioeticista, Università degli Studi di Palermo

© RIPRODUZIONE RISERVATA