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Mercoledì 03 GIUGNO 2020
Microbioma Intestinale e rischio cardiometabolico



Gentile Direttore,
negli ultimi decenni lo stile di vita, in particolare lo squilibrio energetico dovuto all'elevato apporto calorico di alimenti, ha contribuito a preparare il terreno per l'insorgenza e la progressione di disturbi metabolici e cardiovascolari. Studi recenti, hanno evidenziato che il microbioma intestinale potrebbe contribuire alla patogenesi delle malattie metaboliche e cardiovascolari, nonché a molti altri disturbi cronici. Il microbioma intestinale interagisce costantemente ed estensivamente con l’ospite a livello di mucosa intestinale ed esercita ruoli fondamentali di regolazione di diversi aspetti della fisiologia che sono determinanti per il controllo dell’omeostasi immunitaria e metabolica.
 
Un recente documento del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita (CNBBSV), presieduto dal Prof. Andrea lenzi, intitolato “Italian microbiome initiative for improved human health and agri-food production” (http://cnbbsv.palazzochigi.it/media/1712/microbioma-2019.pdf) illustra lo stato dell’arte delle interazioni tra microbioma e salute umana e animale, nonché le possibili applicazioni cliniche e biotecnologiche di interventi mirati a rimodellare il microbioma in modo da favorirne le funzioni positive rispetto a quelle negative.
 
Alcuni studi clinico-epidemiologici hanno recentemente evidenziato che l’esposizione prolungata ad antibiotici possa aumentare il rischio di sviluppare sia diabete di tipo 2 sia malattie cardiovascolari. Questo fenomeno se da un lato conferma che le infezioni aumentano il rischio cardiometabolico dall’altro fanno ipotizzare che gli antibiotici influenzino la diversità batterica intestinale diminuendone le funzioni fisiologiche positive.
 
A questa ipotesi risponde ora uno studio da me coordinato e pubblicato in questi giorni su Molecular Metabolism.
 
In questo studio è stata ipotizzato che la disbiosi intestinale indotta da antibiotici alteri delle specifiche funzioni metaboliche che sono responsabili dello sviluppo dell’aterosclerosi. Nel modello murino ApoE -/- sottoposto ad un trattamento orale con antibiotici e combinato a diversi tipi di dieta, è stato utilizzato un approccio tipico della medicina e biologia dei sistemi cioè analizzare con tecniche “omiche”  il microbiota intestinale  e il metaboloma integrando i dati con il fenotipo clinico, in questo caso le lesioni aterosclerotiche sviluppate al termine del trattamento. A fianco dello studio sperimentale con lo stesso approccio sono stati inoltre analizzati e confrontati pazienti con lesioni aterosclerotiche carotidee e soggetti di controllo con lo stesso rischio cardiovascolare.
 
I risultati dimostrano che l'aumento dell'aterosclerosi indotta dagli antibiotici è collegata alla perdita di diversità a livello del microbiota intestinale e ad alterazioni della capacità funzionale metabolica microbica, con un impatto importante sul metaboloma del siero dell'ospite.
 
È stata inoltre osservata una riduzione del metabolismo del triptofano e un’alterazione del metabolismo lipidico, entrambi connessi con l’aterosclerosi e imputabili alla riduzione, antibiotico–mediata, di alcuni batteri intestinali appartenenti a Bacteriodetes e Clostridia. I pazienti con aterosclerosi presentavano una condizione metabolica simile a quella indotta dagli antibiotici nel nostro modello murino. Infine nel modello sperimentale il supporto terapeutico con Triptofano durante il trattamento antibiotico riduceva significativamente la formazione di placche aterosclerotiche.
 
Complessivamente, questo lavoro fornisce un approfondimento sulla complessa interazione tra microbiota intestinale e metabolismo dell'ospite. I dati evidenziano che gli effetti dannosi degli antibiotici sulla flora intestinale sono collegati a un fenotipo metabolico pro-aterogenico al di là dei classici fattori di rischio.
 
Ci sono due chiare implicazioni da questo lavoro che possono essere traslate alla pratica clinica e che si inquadrano nello scenario della medicina di precisione. La prima è che durante terapie antibiotiche prolungate e complesse, come quelle che spesso sono usate nei reparti ospedalieri ma anche a domicilio, dovremo monitorare i cambiamenti del microbioma intestinale in modo da definire quali funzioni metaboliche siano ridotte e integrare la terapia con nutrienti che possano rallentare gli effetti negativi degli antibiotici che sono ovviamente essenziali per combattere infezioni da microbi patogeni.
 
La seconda implicazione a lungo termine, che necessiterà di  molti studi, sarà classificare gli antibiotici sulla base dei loro effetti sistemici rispetto a fattori di rischio cardiovascolare in modo da personalizzare l’uso delle terapie anti-microbiche.
 
Prof. Massimo Federici
Università di Roma Tor Vergata 

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