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Mercoledì 03 GIUGNO 2020
Fondi Ue per la sanità. Al di là che vengano dal Mes o dai Recovery Fund, importante è come spenderli
Le domande che è naturale proporsi riguardano se a prevalere saranno le logiche autenticamente perequative. Più esattamente, quelle fondate e ridistribuite sul fabbisogno epidemiologico derivato e del danno sopportato da coronavirus oppure sulla consistenza demografica degli enti territoriali potenzialmente destinatari oppure, ancora, sugli indici di deprivazione socio-economico-culturale che le Regioni rappresentano?
«Il mondo oramai sta cambiando, e cambierà di più». E' quanto recitava una canzone dei The Rokes del 1966 (due anni prima del fatidico '68) dal titolo «E' la pioggia che va».
Una considerazione che potrebbe essere oggi più attuale di sempre, se relazionata alle difficili condizioni di vita quotidiana che ha determinato e imporrà la triste esperienza Sars-Covid 2.
La sopravvenuta diffidenza verso l'altro, a prescindere se considerato un potenziale untore, e le scadenti difese farmacologiche nei confronti delle epidemie virali hanno messo e metteranno in crisi la coesistenza sociale. Ciò almeno fino a quando non ci sarà un vaccino disponibile per tutti, difficile da costruire e da produrre in quantità sufficiente.
Signori, è la vita che cambia!
Proprio per questo motivo bisogna mettere in conto, a cominciare dalla educazione dei figli, a convivere con le nuove cautele. Tra le quali, tagliare il ricorso agli assembramenti, ridurre le attività ludiche (dalle feste patronali alle occasioni di ricreazione collettiva), scegliere i fornitori tra quelli che presentano maggiori elementi di sicurezza fisica e convivere ad oltranza con i dispositivi di difesa personale (mascherine e igienizzanti).
A ben vedere, alla vita blindata nelle nostre case succederà una socialità condizionata, con tante difficoltà per l'economia a ripartire, minacciata severamente dalla resa di tanti imprenditori convinti a non riaprire le loro attività.
Un cambiamento che dovrà trovare un sistema di protezione salutare forte, con la consapevolezza che ci sarà sempre un altro batterio o virus pronto a bussare alla porta dell'umanità.
Tutte le Istituzioni ai blocchi di partenza
In una tale situazione, le istituzioni tutte, nessuna esclusa. dovranno impegnare forti investimenti nella tutela della persona. Ciò toccherà all'UE, allo Stato e alle altre componenti della Repubblica (Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni).
Su questo terreno dovranno, pertanto, misurarsi - a monte - le politiche Ue e quelle nazionali, subordinate all'esame positivo della Commissione europea e - a valle - quelle territoriali, che hanno costituito da sempre l'eterna incompiuta nel nostro Paese. Lo ha dimostrato l'assoluta assenza di una rete delle protezioni emergenziali e la (quasi) nullità dell'assistenza distrettuale, «guadagnata» a tutto vantaggio di quella ospedaliera, peraltro dimostratasi non affatto esaltante nell'affrontare gli esiti da coronavirus.
Dunque, una bella gara in programmazione ed esecuzione degli interventi, da effettuarsi in modo tempestivo e corretto, dal momento che i tanti miliardi di euro messi a disposizione dall'UE verranno erogati a «stati di avanzamento» e revocabili in caso di assoluto inadempimento.
La tempistica occorrente
Al riguardo, ottima l'idea (almeno a quanto scrive oggi il Sole 24 Ore) del ministro Roberto Speranza di elaborare un maxi piano di venti miliardi (invero, pochini, considerato lo stato dei «luoghi»), funzionale - quanto alla metà - a potenziare la rete e le strutture ospedaliere e - per il resto - a rafforzare la rete dell'assistenza territoriale. Tutto questo mirato ad utilizzare, senza perdita di tempo, le risorse UE non appena disponibili, messe a disposizione dal Mes per rimettere in corsa la nostra organizzazione della salute, dimostratasi ad un livello non affatto entusiasmante.
Tanti gli interrogativi in attesa di certezze
Il problema che dovrà essere tuttavia risolto è quello di capire come e in quale consistenza differenziata le stesse saranno distribuite tra le Regioni per ivi costituire un indispensabile strumento di «ricostruzione» del dopo Covid-19.
In particolare, prescindendo dalla programmazione unitaria nazionale, che dovrà essere perfezionata dal Governo e dal sistema autonomistico territoriale, e l'erogazione delle risorse effettuata dall'UE, occorre comprendere, da subito, come e quando le anzidette risorse saranno ripartite e, quindi, godute dalle Regioni. Non solo quelle derivanti dal Mes, ma anche quelle che potranno rendersi utilizzabili in tale senso dalla montagna di miliardi del Recovery Fund plan (173 mld, di cui 91 a prestiti e 82 a fondo perduto)
Quali i criteri redistributivi per le Regioni?
In proposito, emergono degli interrogativi non di poco conto. Le domande che è naturale proporsi riguardano se a prevalere saranno le logiche autenticamente perequative. Più esattamente, quelle fondate e ridistribuite sul fabbisogno epidemiologico derivato e del danno sopportato da coronavirus oppure sulla consistenza demografica degli enti territoriali potenzialmente destinatari oppure, ancora, sugli indici di deprivazione socio-economico-culturale che le Regioni rappresentano?
E ancora. Nella particolarità del Mes, indispensabile per mettere in sicurezza il SSN, saranno tenuti in considerazione i recenti richiami della Corte dei conti (Rapporto 2020) sull'errato abbandono dell'assistenza territoriale a tutto vantaggio dei grandi ospedali? E di queste risorse, quante e come saranno dedicate al Sud per rimediare la sua sanità da terzo mondo, con ospedali sprovvisti dei requisiti minimi per essere considerati tali?
Dalle risposte, meglio dai criteri che saranno concretamente adottati, dipenderà l'esito della rinascita del Paese e, con essa, il rinascimento che il Sud pretende inutilmente da sempre.
Ettore Jorio
Università della Calabria
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