quotidianosanità.it
stampa | chiudi
Mercoledì 27 MAGGIO 2020
Covid. La questione lombarda e l’ipocrisia dei distinguo
Gentile Direttore,
la competizione pubblico/privato nella sanità lombarda è un’antologia. Per anni il modello lombardo si è distinto come punta di diamante di tale competizione annientando il primato del sistema pubblico. Pur con qualche resistenza, alla fine ha prevalso negli anni l’idea che l’efficienza del privato non poteva avere rivali.
Infatti anche la sinistra si è adeguata al modello liberista del mercato, rendendosi subalterna alle imposizioni di austerity e smantellamento del welfare dettate dall’Europa. Così a partire dall’approvazione bipartisan del pareggio di bilancio in costituzione, la spesa sanitaria pubblica è stata considerata come se fosse un costo e non un investimento, con tagli e definanziamenti calcolati in 37 miliardi negli ultimi 10 anni.
La pandemia ha messo a nudo il re! In tutto il mondo: impreparati, pochi posti-letto, carenze di personale, medicina territoriale insufficiente, personale, a tutti i livelli assistenziali, a lavorare a mani nude e a volto scoperto.
Tuttavia i dati sono impietosi proprio nella Lombardia, che, pur avendo eccellenze sanitarie indiscusse, ha tristi primati nella impreparazione su questa pandemia, con pesanti ritardi nella identificazione dei focolai epidemici, o peggio, dopo averli identificati, non isolandoli prontamente.
Come ci suggerisce Gavino Maciocco vanno considerati alcuni passaggi politici avvenuti in Lombardia.
Giancarlo Giorgetti, figura primaria della Lega, ad agosto 2019 definiva, offendendoli, i medici di famiglia “quella roba lì” e ne dichiarava sostanzialmente l’inutilità.
“Quella roba lì”, i medici di famiglia, sono coloro che legge n. 833/1978, mette al centro SSN. Essi dovrebbero essere i gatekeepers qualificati nei contesti territoriali e promotori della medicina di comunità. Le politiche di esternalizzazione e privatizzazione di tutti i servizi sanitari e socio-sanitari territoriali di comunità, dall’assistenza infermieristica a quella riabilitativa hanno gravemente indebolito la medicina generale e territoriale. In Lombardia più che altrove.
Gli obiettivi di quel modello, politicamente coerente da Formigoni a Fontana, sono: limitare l’offerta di servizi da parte del sistema pubblico (che non implica profitto e deve rispondere ai bisogni e per soddisfarli, senza indurli, si deve basare su evidenze scientifiche e su approcci di comunità utili alla prevenzione) e soddisfare la domanda nel privato (che implica profitto e quindi ha necessità di indurre ancora più domanda, con evidenti rischi morali).
Tale modello profittevole non ha risparmiato nemmeno il sistema delle RSA. In Lombardia abbiamo, non a caso, il record italiano per numero di strutture e di posti letto.
Il terreno è stato così molto favorevole. Con i suoi quasi 16 mila decessi, pur rappresentando 1/6 della popolazione italiana, ha il 50% dell’intera mortalità da COVID-19 nazionale (dati sottostimati sia per ISTAT che per INPS!). Non si tratta solamente dei livelli di mortalità più alti d’Italia, ma del mondo.
‘La tempesta perfetta: il disastro dell’epidemia nella regione italiana della Lombardia è una lezione per il mondo’.
‘Alle carenze dell’assistenza sanitaria si sono aggiunti gli interessi politici e commerciali al punto di esporre 10 milioni di cittadini lombardi all’epidemia di Covid-19 in una misura mai vista altrove, in particolare i più vulnerabili nelle residenze per anziani’. (articolo pubblicato il 26 aprile sul Los Angeles Times).
Infatti le resistenze di settori industriali (anche della sanità) hanno contribuito al ritardo dell’isolamento delle zone rosse. La riduzione delle prestazioni NO-COVID ha rappresentato un danno enorme anche alla sanità, specialmente in Lombardia, con volumi d’affari di miliardi di euro (quasi 800 milioni solo per il fenomeno della migrazione sanitaria nel 2017).
Dobbiamo sottolineare che il disastro pandemico è frutto anche di una filiera insufficiente in linea verticale. Dal mancato aggiornamento del piano pandemico nazionale, agli evidenti errori e ritardi dell’Istituto superiore di sanità (e dell’OMS), con la definizione di standard minimi di protezione del personale sanitario quando era indispensabile pensare a standard massimi.
Per temi come salute e della sanità, molto tecnici, a rischio di asimmetria informativa e azzardo morale, la presenza di un gatekeeper, qualificato, che ha la fiducia degli assistiti e che a sua volta si interfaccia con specialisti e ospedali e che quindi può fare da garante indipendente è fondamentale. Significa occuparsi e preoccuparsi della salute e non del mercato.
Questo modello va ricostruito, ciascuno portando le proprie idee, che a volte non si assomigliano, ma con questa consapevolezza e con la partecipazione di tutti potremmo ridare al SSN il valore assoluto che merita.
Mi astengo volutamente dal commentare le inchieste giudiziarie e morali in corso.
Una gratitudine immensa è dovuta ai tanti operatori che hanno messo a repentaglio la propria vita, talvolta, purtroppo perdendola, e che, eroi di uno sventurato paese, non si può imputare nessuna mancanza.
Andrea Quartini
Medico-Chirurgo
Portavoce in Consiglio Regionale della Toscana MoVimento 5 Stelle
© RIPRODUZIONE RISERVATA