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Mercoledì 25 MARZO 2020
La ragionevolezza bioetica nelle scelte del medico
Gentile Direttore,
concludevo la mia riflessione del 19 marzo scrivendo: «Che l’etica in situazione – nel qui e ora di una contingenza – non possa assicurare tutto il bene, che debba accontentarsi di un bene parziale come la scelta più logica e umana, non toglie nulla alla purezza e alla totalità del bene, del bene della vita. L’etica non sta e non s’esprime solo a livello generale e astratto dei valori e dei principi. Scende, si abbassa anche a livello situazionale e prudenziale del quid faciendum per risolverne le problematicità e le conflittualità e favorire la decisione e l’azione più umana e ragionevole possibile».
I problemi che a me teologo della morale, a me prete, a me direttore spirituale, in questa emergenza estremamente critica, sono posti da parte di medici non sono “se la vita è un valore per tutti e va curata senza disparità di persone”, ma “se sono impossibilitato a dare a tutti le cure dovute, come devo orientarmi?”
Solo per essere sceso, come fa ogni buon cultore della morale, dalle alte sfere dei valori e dei principi – primo fra tutti quello del bene inviolabile della vita umana e della cura a tutti dovuta – al livello delle situazioni complesse e conflittuali, il prof. Ivan Cavicchi mi mette sul banco degli imputati di scientismo, economicismo, utilitarismo, conseguenzialismo.
Accuse immotivate, che non entrano nel merito di una sola mia argomentazione. «La morale – scrivevo – in queste situazioni fa appello a un discernimento in scienza e coscienza, persona per persona, assumendo a criterio di valutazione e decisione il massimo di vite che si possono salvare e di vita che si può assicurare a una persona». Cosa c’è in questo criterio di cedimento a una logica economicista e utilitarista che discriminerebbe i più deboli, come gli anziani?
Logica insidiosa e diffusa – lo so bene – ma che non c’entra nulla in questo mio argomentare. Ciò che sembra non considerare o non ammettere il prof. Cavicchi è questo carattere anche concreto, situazionale, pratico della morale, dove bisogna misurarsi con i limiti e le insufficienze umane, con lo scarto tra necessità e risorse. Siamo in tempo emergenziale e drammatico per operatori sanitari impegnati in prima linea, in cui si presentano o quanto meno possono presentarsi situazioni come questa che esemplifico: cinque pazienti affetti da coronavirus necessitano di terapia intensiva; dopo aver espletato tutte le ricerche negli ospedali sul territorio, la disponibilità è di due soli posti; è extrema ratio: l’equipe medica ha il grave e urgente problema di decidere a chi assegnare i due posti.
L’unica cosa che non può fare è non decidere. Ho cercato un contributo, una risposta nell’ampio scritto del prof. Cavicchi. Ne ho trovato una sola: «i soldi per evitare l’estrema ratio ci sono».
Che è evidentemente una non risposta. Perché il problema è negato, l’extrema ratio non c’è, non può darsi. Lo dice lui. Gli anestesisti della SIAARTI se la sarebbero inventata, dominati come sono dallo scientismo e dell’economicismo, che inducono a pensare e decidere «sulla base di costi e benefici».
E se qualcuno il problema se lo pone – si pone problemi di coscienza – è tacciato di volere la selezione, la discriminazione dei malati. «Possibile mai – si domanda il Professore – che non si comprenda che la volontà di curare tutti oggi è il più gigantesco atto morale che si possa fare?». È ovvio, ma è un altissimo atto morale anche sostenere e orientare le coscienze dei medici in situazioni estreme e cruciali di decisione e azione: aiutarle a discernere il meglio. Sottrarsi è una fuga, non una soluzione.
Il discernimento morale non è posto sotto il principio del minor costo (economicismo) e del vantaggio (utilitarismo) ma della virtù cardinale della prudenza: la fronesis del Vangelo, ma già di Aristotele, la prudentia della morale classica, incluso Tommaso d’Aquino. Virtù che abilita a ponderare le situazioni e scegliere il meglio: il miglior bene o il minor male. Da questa sapienza pratica è ispirata la mia “ragionevolezza bioetica”, da cui il Prof. Cavicchi mette in guardia, preoccupato che «diventi la premessa di un cinico economicismo».
Mi preme, da ultimo, fare chiarezza circa la critica da me fatta, nella stessa riflessione, al principio di don Andrea Manto per risolvere la situazione di conflitto: principio del chi prima arriva. «Non si è trattato – scrive il Prof. Cavicchi – di difendere il principio “first come first served”… come sostiene un suo autorevole collega, don Cozzoli, che considera le affermazioni di don Manto l’espressione di una “giustizia pilatesca”… Don Manto non vuole seguire l’esempio di Pilato, tutt’altro, vuole definire una giustizia su solide basi morali e non come ci propone don Cozzoli semplicemente sulla base di semplici criteri utilitaristi».
Non contano le interpretazioni. Contano gli scripta: «Il “first come, first served” – ha scritto don Manto – è un principio di giustizia universale che regola tutti i rapporti umani, per capirci, dalla coda alla biglietteria, ai mercati azionari, fino a situazioni cruciali».
«Insomma – avevo commentato – tutti in coda, secondo l’ordine di arrivo: alla “biglietteria” come in situazione “cruciale”, quella ingenerata dalla pandemia del coronavirus, dove si tratta di salvare vite e, non potendo di fatto salvarle tutte, essere “costretti” – sottolineo costretti – a decidere quale o quali salvare. Che virtù è una giustizia incapace di discernimento delle situazioni? Una giustizia pilatesca».
Questa è ragionevolezza bioetica. Cosa c’è di economicismo e utilitarismo?
Prof. Mons. Mauro Cozzoli
Professore di Teologia Morale nella Pontificia Università Lateranense
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