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Venerdì 13 DICEMBRE 2019
Promuovendo le competenze avanzate gli infermieri risolvono la loro crisi d’identità?
Gentile direttore,
sono un infermiere 29enne. In questi 5 anni di esercizio della mia professione, ho cercato di analizzare la situazione degli infermieri e del sistema sanitario in cui operiamo utilizzando il pensiero del prof. Cavicchi come chiave ermeneutica per coglierne le contraddizioni intrinseche. Il prof., che ringrazio per avermi citato nel suo ultimo articolo, in questi anni di carenze di idee, di pensieri innovativi, ha fatto come i contadini che, in passato, alle carestie rispondevano con l’unica saggezza epica di cui disponevano: seminare.
In un epoca di “vacche magre”, Ivan Cavicchi ha seminato trasversalmente una nuova cultura, un nuovo modo di pensare e di essere professionisti, per ricreare speranza nel futuro. Quel futuro è oggi e i frutti stanno, pian piano, arrivando. Nel suo ultimo trittico di articoli il prof. entra in merito alla polemica sulle competenze avanzate. Innanzitutto ci tengo a tranquillizzare i miei colleghi infermieri dicendo loro che il prof. Cavicchi, pur criticando le competenze avanzate, non è contrario alla nostra evoluzione professionale. Uno dei capisaldi del suo pensiero è il concetto di CO-evoluzione: l'evoluzione di tutti i componenti della squadra di cura; Ma le competenze avanzate risolvono i problemi degli infermieri? Li fanno evolvere o soddisfano solo il bisogno di risparmio delle politiche regionali?
Gli infermieri soffrono di una “crisi di identità”. Nell’ epoca della post-ausiliarietà non abbiamo ancora capito chi siamo, di cosa ci occupiamo, qual è il nostro preciso e autonomo contributo che offriamo nella squadra di cura.
Noi di “Infermieri In Cambiamento” abbiamo sintetizzato le cause della “crisi di identità” nelle “5 I”:
• I-gnoranza: delle basi normative, metodologiche e disciplinari dell’infermieristica;
• I-nconsapevolezza: delle catene culturali che frenano il cambiamento;
•I-ncompetenza: di chi non riesce a pensare a un infermiere diverso dal passato, proiettato al futuro;
• I-ndifferenza: si preferisce un sereno e rassicurante mantenimento dell’ordine dominante delle cose, piuttosto che una percepita pericolosa rivoluzione ma che oggi non è più procastinabile;
• I-nadeguatezza: dei nostri valori, della cultura, del nostro essere professionisti rimasti fermi a 50 anni fa mentre la società cambia rapidamente; stare fermi quando il mondo va avanti vuol dire tornare indietro ed essere inadeguati.
Le conseguenze della “crisi di identità” sono le 3 “DE-“:
• DE-mansionamento: sottoutilizzazione dell’operatore rispetto alle sue competenze;
• DE-professionalizzazione: perdita lenta ed inesorabile delle competenze intellettuali, le uniche che portano ad outcomes positivi per il paziente;
• DE-capitalizzazione del lavoro: svalutazione lenta e inesorabile del nostro lavoro considerato un costo da tagliare e non un capitale su cui investire per produrre salute.
Se alla crisi di identità rispondiamo con la terapia delle “competenze avanzate” non facciamo che peggiorare gli esiti della patologia. Sarebbe come se a un paziente correggessimo l’ipoglicemia con l’insulina! Le competenze avanzate nulla fanno per rimuovere le 5 I e per curare le 3 DE-, anzi aumentano la confusione dei ruoli, ci fanno ristagnare nel nostro essere “compitieri”: bravissimi ad eseguire compiti ma impreparati ad gestire il processo assistenziale. Se la deregolamentazione dei perimetri professionali continua così come inaugurata dal Veneto, nei modelli organizzativi, tra un decennio, vigerà la stessa confusione che si verificava con il modulo 5-5-5 della Longobarda, la squadra allenata dal goffo Oronzo Canà (Lino Banfi) nel celebre film “L’allenatore nel pallone”.
Un allenatore di successo, ciò che la politica non è, invece, costruisce una squadra vincente a partire dalla fine coordinazione e dalla consapevolezza della interdipendenza dei ruoli in campo, definiti in maniera chiara e netta. Perciò prima delle competenze avanzate urge in primis recuperare e presidiare le basi normative, disciplinari e metodologiche del nostro campo di attività e responsabilità per ricontestualizzare il nostro ruolo, desumendolo dai nuovi ed emergenti bisogni di salute dei cittadini nonché dal DM 739/94.
Questo passaggio è da considerarsi un punto di partenza per livellare i bisogni formativi di una categoria molto eterogenea da un punto di vista culturale e difforme nelle sue linee di condotta professionali; pena la costruzione di una cultura clinica avanzata in una generazione di infermieri sempre più specializzati, ma su basi normative, disciplinari e metodologiche fragili. Prima si fa fare questo piccolo ma faticoso passo per un intera categoria (che doveva essere fatto già 20 anni fa), poi su queste solide basi possono impiantarsi le competenze avanzate.
Dunque colleghi la terapia è aumentare la consapevolezza dei nostri problemi, UNITI in un movimento extra-ordinistico ed extra-sindacale. “Infermieri In Cambiamento” continuerà a proporre temi e iniziative condivise per uscire dallo stallo in cui versa la nostra nobile e martoriata professione.
Dott. Mag. Raffaele Varvara
Infermiere
Dottorando presso IASSP - Istituto di Alti Studi Strategici e Politici
Fondatore di “Infermieri In Cambiamento”
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