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Venerdì 13 DICEMBRE 2019
Rischio suicidario: una condizione troppo complessa per parlare di farmaco “salvavita”
A marzo di quest'anno la Fda ha approvato l'esketamina, un enantiomero della ketamina, per il trattamento di pazienti affetti da depressione resistente agli antidepressivi. Lo spry nasale, che è stato accolto da alcuni come un possibile salvavita, ha ricevuto l'opinione positiva del CHMP di Ema nell'ottobre scorso. Non mancano però critiche e preoccupazioni di ricercatori che considerano il farmaco non necessariamente efficace e con importanti effetti collaterali
Esketamina: un farmaco contro l’idea di suicidarsi, oppure Esketamina: il 1° farmaco contro la depressione resistente. Ma anche: Il farmaco controverso simile alla chetamina che Trump cerca di vendere ai veterani, e ancora: Il nuovo antidepressivo a base di chetamina è un furto.
Negli ultimi mesi sull’esketamina, il farmaco di Jansenn approvato a marzo dall’Fda per i casi di depressione resistente che ha avuto anche il parere favorevole del Chpm di Ema a ottobre è stato detto veramente di tutto. C’è chi lo definisce un farmaco salvavita, chi lo considera una truffa. Probabilmente non si tratta né dell’uno né dell’altro. Nonostante le diverse critiche rivolte al processo di approvazione della molecola e ai trial clinici condotti per testarne le efficacia, il farmaco potrebbe rivelarsi comunque un supporto interessante in casi “di urgenza”. Attenzione però a non attribuire ad una molecola la miracolosa capacità di guarire “la sofferenza umana”.
Un meccanismo d’azione innovativo rispetto agli altri antidepressivi, non necessariamente migliore della ketamina
Per comprendere la storia controversa dell’esketamina bisogna prima di tutto sapere di cosa stiamo parlando. Il composto è un enantiomero della ketamina. La ketamina, nota per il suo uso farmacologico come anestetico ma anche come droga stupefacente, da un punto di vista chimico è una miscela composta da due molecole (enantiomeri) che hanno la stessa struttura chimica e sono l’immagine speculare l’una dell’altra, quindi non sono sovrapponibili tra loro, proprio come le due mani di una stessa persona. L’esketamina è un composto costituito da una sola di queste due molecole.
La ketamina è stata approvata fin dagli anni ’70 come anestetico dissociativo e studi recenti hanno mostrato che potrebbe essere anche un farmaco efficace in casi di disturbi dell’umore e depressione maggiore. La molecola ha infatti la capacità di stimolare la produzione di glutammato (un neurotrasmettitore eccitatorio) e di incrementare l’attività della corteccia prefrontale, potenziando così “l’impulso nervoso che può diventare carente negli stati depressivi”, ha spiegato al nostro giornale il Professor Maurizio Pompili, Professore Ordinario di Psichiatria presso Sapienza Università di Roma, Responsabile del Servizio per la Prevenzione del Suicidio all’Ospedale Sant’Andrea di Roma. È stato osservato che l’esketamina esercita la stessa funzione, legandosi a dei recettori sulla superficie dei neuroni che inibiscono la liberazione di glutammato, con questo legame la molecola blocca l’azione inibitrice. Il risultato ottenuto con le due molecole è lo stesso, i meccanismi d’azione sono leggermente diversi e per quanto l’uno non sia necessariamente migliore dell’altro, forse quello dell’esketamina è più peculiare.
Diversi ricercatori hanno sollevato delle perplessità sulla necessità di sviluppare una molecola così simile alla ketamina e che naturalmente ha un prezzo molto più elevato della miscela racemica. L’aspetto positivo dell’esketamina al momento, ha sottolineato Pompili, è sicuramente la via di somministrazione: “l’esketamina ha il vantaggio di una somministrazione nasale, contrariamente alla somministrazione per via endovenosa della ketamina ad uso antidepressivo”.
Il meccanismo d’azione delle molecole, ketamina ed esketamina, è in effetti nuovo rispetto a quello dei farmaci antidepressivi in commercio e grazie a questo “la molecola agisce in pochissime ore, rispetto alle due settimane necessarie perché gli altri farmaci facciano effetto”.
Un'approvazione controversa, ma il rapporto rischi benefici potrebbe essere favorevole
L’efficacia e la sicurezza dell’esketamina sono stati testati in diversi trial clinici. Tra i tre studi brevi (della durata di quattro settimane) di fase tre presentati per l’approvazione all’Fda, solo uno ha mostrato una maggiore efficacia della molecola rispetto al placebo. In questo studio, randomizzato, in doppio cieco, che ha coinvolto 39 centri diversi, il farmaco è stato testato su pazienti affetti da disturbo depressivo maggiore ricorrente, o che hanno sperimentato un solo episodio negli ultimi due anni e che sono risultati “resistenti” ad almeno due farmaci antidepressivi. Ad un gruppo è stata somministrata l’esketamina intranasale, due volte a settimana per quattro settimane, in concomitanza con un antidepressivo orale, all’altro invece il placebo e l’antidepressivo orale. Al termine dello studio sono stati osservati dei miglioramenti dell’umore significativi nel gruppo a cui era stato somministrato il farmaco. I maggiori effetti collaterali osservati nel corso dello studio sono stati: dissociazione, nausea, vertigini e disgeusia (variazioni nel senso del gusto).
L’approvazione dell’Fda è dunque per l’esketamina, somministrata “in associazione a un antidepressivo orale, per il trattamento della depressione negli adulti” affetti da depressione resistente ad altri antidepressivi. “A causa del rischio di gravi esiti avversi derivanti dalla sedazione e dalla dissociazione causati dalla somministrazione e dal potenziale abuso e uso improprio del farmaco, esso è disponibile solo attraverso un sistema di distribuzione limitato, nell'ambito di una strategia di valutazione e mitigazione del rischio (REMS)”. Può essere somministrato solo “in uno studio medico certificato dove l'operatore sanitario può monitorare il paziente”.
Tutto ciò solleva sicuramente degli interrogativi. Come mai la Fda ha approvato il farmaco se solo un trial su tre ha dato un risultato positivo, quando in genere ne vengono richiesti due su tre? Visto che la terapia può essere somministrata solo in centri medici, quali sono i risultati a lungo termine? Interrogativi che al momento restano senza risposta.
Secondo Pompili comunque, “il rapporto costi benefici va a favore dei benefici perché si risponde a un bisogno insoddisfatto del paziente”. Il Professore definisce l’esketamina come “un farmaco ad uso ospedaliero nei casi in cui vi sia depressione maggiore con intenzionalità suicidaria e dunque un’urgenza”, per fare in modo che le persone in pericolo tornino ad essere in sicurezza, la terapia deve poi proseguire con il farmaco orale.
Nonostante il fatto che molti abbiamo parlato di un farmaco salvavita contro i pensieri suicidari, al momento l’indicazione terapeutica dell’Fda non è estesa ai pazienti ad alto rischio di suicidio. Potrebbe diventarlo, visto che Janssen ha sottoposto ad ottobre la richiesta per estendere l'indicazione terapeutica ai pazienti a rischio di suicidio. La domanda si basa su due studi di fase 3 attualmente in corso che hanno incluso selettivamente i pazienti ad elevato rischio di suicidio. Essi suggeriscono che il farmaco possa portare ad una riduzione dei sintomi depressivi nelle ore seguenti alla somministrazione, con un effetto che dura per 25 giorni, senza però una diminuzione del rischio misurato in termini di Clinical Global Impression of Severity of Suicidality.
Per gestire la depressione bisogna capire la sofferenza del paziente
In ogni caso, per una gestione a lungo termine della depressione maggiore o di pazienti ad alto rischio di suicidio non ci si può affidare ad un farmaco credendo che sia risolutivo: “i medici dovrebbero creare un background per il futuro e cercare di capire cosa ha portato il paziente a volersi suicidare”, ha sottolineato Pompili. “È importante entrare in sintonia con la sofferenza delle persone, che è il vero motore del voler morire, è questa la chiave di lettura anche per il dopo”. E non bisogna considerare il suicidio “semplicemente un sintomo della depressione”.
La Dottoressa Wilma Di Napoli, CoResponsabile territoriale del Servizio di salute mentale di Trento e coordinatrice per l'Azienda Provinciale Servizi Sanitari del progetto provinciale di prevenzione del suicidio "Invito alla Vita", concorda con questa visione. “La sofferenza umana e il comportamento suicidario sono degli aspetti estremamente complessi”, ha osservato. In caso di rischio suicidario bisogna prima di tutto mettere la persona in sicurezza, e poi inserirla in un contesto relazionale, costruire una rete di supporto.
Anche perché, secondo la dottoressa, “il suicidio non è una malattia”. È una condizione che può essere sicuramente legata a un disturbo depressivo, ma anche a fattori ambientali. Basti pensare ai dati che iniziano ad arrivare ora dai Paesi in via di sviluppo, da cui emerge che “in condizioni sociali di disagio i tassi di suicidio sono molto elevati”. Naturalmente bisogna prevenire e trattare il disturbo psichiatrico, ben vengano lo sviluppo di nuove molecole e i trial clinici, “ma per gestire la depressione resistente bisogna capire chi abbiamo di fronte”. Le connotazioni legate alla cultura, al background religioso e sociale, la dimensione individuale, la storia personale, una fragilità del paziente, sono tutti elementi da prendere in considerazione, ha precisato la Di Napoli. “È un lavoro molto complesso”.
Camilla de Fazio
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