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Giovedì 15 MARZO 2012
Pronto soccorso al collasso. Dibattito al Senato. Adesso tutti dicono di averlo sempre saputo
Al di là delle contrapposizioni politiche e delle probabili soluzioni ipotizzabili, il dato che fa riflettere del dibattito seguito all’informativa del ministro Balduzzi al Senato è che la maggior parte dei senatori intervenuti affermano che la drammatica situazione nei Ps è nota a tutti da tempo.
Ieri il ministro della Salute, Renato Balduzzi nell’Aula del Senato ha tenuto un’informativa sulla situazione delle strutture di pronto soccorso. Successivamente si è svolto un dibattito parlamentare al quale hanno partecipato tutti gli schieramenti politici. Di seguito una sintesi di tutti gli interventi.
Giuseppe Astore (Misto-Partecipazione Democratica).
“Questo Governo deve mettere in agenda la sanità”
La causa di questo dibattito è stata la vicenda del Policlinico Umberto I di Roma, dove due membri della Commissione, trasformandosi in Rambo privati, sono entrati e hanno fatto visite ispettive. Questo è un aspetto che andremo a chiarire poi ma, a seguito di questa ispezione, sono nate e si sono ribadite tante e varie considerazioni sulla nostra sanità.
Si è trattato di Rambo privati, lo ripeto, ma poi si va con i Nas e con le auto pubbliche. Il Presidente del Senato deve assolutamente chiarire questa vicenda perché, senza voler attaccare nessuno, io ritengo che l'istituzione vada rispettata fino in fondo.
La vicenda del Policlinico la conoscevamo bene, perché la situazione di questo mastodontico ospedale è alla nostra attenzione da circa sette anni. Queste vicende ci dimostrano che il malato non è al centro del sistema. Sia per certi Rambo, sia per la politica in generale, il malato non è stato mai al centro del sistema.
Apprezzo la sua relazione e ciò che ha detto è la verità, ma ha dimenticato alcune cose. Ha dimenticato di dire che nei reparti del Policlinico alcuni letti sono liberi perché a disposizione di alcuni primari, e non di chi accede al pronto soccorso; ha dimenticato di dire che alcuni letti sono riservati a parenti e altro.
Credo che un'organizzazione così mastodontica come quella che lei ha descritto meriti anche una riflessione. Possiamo migliorare il nostro sistema sanitario. Credo ci siano anche reparti del Policlinico di Roma che non sono mai stati aperti, come quello di Medicina clinica, attrezzato con tante spese e che è ancora chiuso per lotte tra baronie e primari ospedalieri. Soprattutto, signor Ministro, mi lasci dire: la verità è che c'è la lotta tra università e azienda ospedaliera, problema che una volta per tutte deve essere assolutamente risolto, sia a livello romano che periferico.
Credo che questo Governo debba mettere nella sua agenda anche la sanità.
Questo sistema sanitario credo abbia bisogno di una manutenzione per renderlo più utile, efficiente ed al servizio dei cittadini.
Credo che le forze politiche siano disponibili. Noi vogliamo la sanità pubblica con forme di collaborazione private, che poi ognuno andrà a studiare.
Signor Ministro, ognuno di noi sa bene come trovare la strada per sé e per i propri familiari per poter accedere a cure appropriate (parlo per me), ma noi ci dobbiamo preoccupare dei diritti della massa, e il Governo e il Parlamento, al di là della regionalizzazione, che per certi sensi va anche ripensata, e non avversata, devono puntare soprattutto ai diritti del malato, ai diritti della persona.
Allora ripensiamo alla sanità cominciando dall'intramoenia, tagliamo questo mastodontico malaffare che si insedia nella sanità di tante Regioni. Bisogna trovare un sistema per premiare coloro che scelgono di stare nel servizio pubblico, e premiarli economicamente, perché c'è tanta gente che se ricevesse forti incentivi potrebbe rimanere a tempo pieno nel servizio pubblico a disposizione di tutti.
Stefano Pedica (IdV)
“Ministro non guardi in faccia nessuno”
Alcuni senatori si sono recati in visita presso le strutture sanitarie per prendere visione di un malessere che è sotto gli occhi di tutti. È servito a qualcosa? Speriamo che serva per smuovere qualcosa.
Lei, Ministro, ha inviato degli ispettori che hanno assegnato 12 punti di criticità, ma questi punti di criticità sono la scoperta dell'acqua calda. Per chi vive e ha vissuto da medico (è il caso del senatore Marino) la realtà sanitaria, leggere questi 12 punti di criticità serve a descrivere una situazione che tutti noi conoscevamo. È la soluzione che ancora non si conosce.
E la soluzione che manca, da decenni, alla sanità ha prodotto la malasanità, collegata alla malapolitica, che ha gestito tale malasanità, producendo quello che oggi è sotto i nostri occhi. Questi senatori si sono recati presso le strutture del pronto soccorso per denunciare, per l'ennesima volta, una situazione grave. Non imputo a lei la responsabilità della malasanità però la invito a non guardare in faccia nessuno, di andare diritto per la sua strada nel tentativo di rendere centrale quella persona che finora non lo è mai stata, il malato nonché quelle persone che sono centrali per gli ospedali e che sono stati sempre vessati: i medici e gli infermieri.
Vi sono medici che stanno diventando precari, che non hanno più un contratto a tempo indeterminato, ma addirittura contratti a tempo determinato, che vengono spostati in più ospedali o cliniche private, perché non c'è più quel coraggio di mettere a disposizione persone che salvano le vite umane.
Lei afferma che gli ispettori hanno offerto due proposte: attivare un'area di osservazione breve ed intensiva e far crescere il personale medico ed infermieristico. È su questo che voglio un Ministro che non guardi in faccia nessuno, che chieda con fermezza l'assunzione di più medici e di più infermieri e non tagli alla sanità, ai pronto soccorso o agli ospedali di eccellenza, come è accaduto non solo qui, a Roma, ma - come poc'anzi sottolineato - in tutta Italia.
Vorrei sapere allora perché non si spendono soldi sulla sanità, perché i soldi si spendono sulla TAV o sugli aerei da caccia F-35. Voi siete il Governo che sta approvando le leggi con cui si decide di spendere soldi per questi due argomenti che sono di morte, e non per quelli della vita, cioè per quelli volti a salvare la gente.
Signor Ministro abbia il coraggio – lo ripeto – di non guardare gli interessi di quelli che si fanno pagare per una siringa un diverso prezzo nelle varie Regioni d'Italia. C'è qualcosa che non va: forse c'è qualche appalto di troppo che finisce nelle mani o nelle tasche dei politici, e poi la politica mette le mani nella tasca dei poveri disgraziati, e magari muore anche qualcuno. All'indifferenza di quelle morti io non ci sto, non ci sta nessuno di noi e non ci sta il Paese.
Signor Ministro, dimostri di avere quel coraggio, ma dimostri anche di saper tagliare le spese per costruire morte e, invece, spenda per salvare vite umane.
Maria Pia Castiglione (CN:GS-SI-PID-IB-FI).
“I Pronto soccorso non possono soddisfare le esigenze di tutti i pazienti”
Penso che questa sia l'occasione per poter svolgere anche delle riflessioni di ordine più generale sulla sanità, piuttosto che farsi prendere la mano o la lingua da considerazioni solo populistiche e propagandistiche. Il problema non è l'accertamento che i colleghi senatori hanno fatto al Policlinico. Ciò non è assolutamente una novità. Sappiamo purtroppo che negli ultimi anni, esattamente dal 2000 al 2009, i posti letto sono stati ridotti di ben il 17 per cento, nelle strutture private invece la riduzione dei posti è stata solo del 5 per cento
Il pronto soccorso è la struttura di immediato accesso di tutte le patologie e di tutte le urgenze sanitarie. Il pronto soccorso diventa quindi una struttura di immediata assistenza sanitaria, che sicuramente non può soddisfare le esigenze di tutti i pazienti. Questo naturalmente è un grosso limite, perché è chiaro che, con la riduzione dei posti letto, non ci sono stati in contemporanea un'integrazione o un rafforzamento delle strutture sul territorio. È evidente che si è creato un vuoto di tipo assistenziale, per cui, dal malato acuto al malato cronico, tutti arrivano al pronto soccorso e vanno ad intasare una struttura deputata per l'emergenza, che diventa così una struttura d'ausilio per tutti, dal vecchietto con una patologia cronica al malato acuto che ha realmente un'emergenza.
Vi è la necessità di rinforzare la struttura del territorio, ad iniziare dall'attività di continuità assistenziale, dalla famosa guardia medica, che non può sicuramente continuare a svolgere lo stesso tipo di ruolo perché non viene utilizzata nel pieno della sua prestazione sanitaria. Analogamente deve essere migliorata e completamente ristrutturata la funzione del medico di base, così come delle attività dei poliambulatori presenti nel territorio. Infatti, una struttura che funziona solo nelle ore diurne chiaramente è meno appetibile rispetto ad un pronto soccorso dove specialisti e infermieri, sanitari e parasanitari, lavorano «h 24».
Antonio Fosson (UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI).
“I Pronto soccorso sono diventati dei coli di bottiglia”
Credo che il cattivo funzionamento e l'intasamento dei pronto soccorso italiani debba essere affrontato in tempi brevi. Ciò in quanto non si tratta di un caso isolato, ma di un indicatore importante di un disservizio del nostro sistema sanitari: una di quelle difficoltà che proprio perché segnale di problematiche più grandi non può essere differito nelle sue soluzioni.
Il problema dei pronto soccorso affollati nasce quando si è deciso di riservare i posti letti ospedalieri solo per i pazienti acuti e si è detto che la cronicità, la diagnosi e la terapia debbono essere fatti in altre sedi. Di qui, la riduzione significativa di posti letto in ospedale: decisione e indicazione che, soprattutto in questi periodi, deve essere mantenuta. Ma cosa fare, allora, di tutti malati a gravità intermedia, se così possiamo definirli? Spesso non esiste ancora una soluzione per tutti, e così i nostri pronto soccorso sono diventati il collo della bottiglia, una porta stretta a cui molti pazienti si affacciano, ma attraverso la quale pochi riescono ad entrare.
L'appropriatezza del ricovero diventa esclusione di tutti quei casi sociali, che pure esistono: quelli con difficoltà soggettive per farsi curare in altre sedi. Inoltre, come prima e preoccupante considerazione vorrei dire che il grave rischio di un pronto soccorso affollato è il non riconoscere i casi veramente urgenti: bisogna essere molto bravi in questa confusione per capire, prima degli esami e prima degli accertamenti, chi ha veramente bisogno di essere curato. E una diagnosi ritardata diventa veramente un problema e può portare anche a gravi conseguenze.
Ma, soprattutto, il problema - come è già stato rilevato dai colleghi - indica una non adeguatezza della sanità sul territorio, i rapporti difficili, non esistenti, tra territorio e ospedale. Certo, la possibilità per il paziente di fare in pronto soccorso esami diagnostici evitando lunghe attese e addirittura non pagando tali esami è un fattore condizionante, a maggior ragione in una cultura come la nostra, che pensa che la malattia possa essere scoperta solo dalla tecnologia e non dalla capacità del medico che visita il paziente.
La medicina di base deve essere riformata, ma soprattutto nella sua organizzazione: non è il singolo medico su cui si può intervenire. Quando si affronta il discorso delle liberalizzazioni per le farmacie e per i tassisti, forse si dovrebbe liberalizzare anche questo rapporto riportandolo com'era all'inizio, per cui un medico apriva uno studio e cominciava a lavorare e a seconda delle proprie capacità aveva più o meno clienti.
Bisognerebbe quindi organizzare l'associazionismo tra medici; alcuni propongono di passare alla dipendenza degli stessi, come in altri Stati, con dilatazione degli orari, ma con possibilità anche di fare piccoli esami diagnostici, come un emocromo o un elettrocardiogramma, e fare in modo che in questa organizzazione vi siano anche infermieri.
Bisognerebbe portare tutti i medici di base in rete con il pronto soccorso, con possibilità di accedere a dati ed esami e di confrontarsi.
Fabio Rizzi (LNP).
“È ora di finirla”
È vero che la mala sanità fa parlare, che episodi come quello dell'Umberto I riempiono le prime pagine dei giornali, fanno scalpore e suscitano dibattiti, ma questo non fa bene al nostro sistema, e dobbiamo essere tutti in grado di far emergere le valenze del sistema. Pertanto, da un lato, vale sicuramente la metodologia repressiva nei confronti di coloro che non si organizzano e che continuano a far scendere il livello della nostra sanità, dall'altro, occorre avere il coraggio di continuare ad andare avanti nell'opera riformatrice.
I numeri che lei ha citato li conoscevamo già. Sono certamente molto importanti e quindi vorrei ripeterli, perché ci devono far riflettere: 23 milioni di accessi nei pronto soccorso gestiti da 103 centrali operative sono numeri importanti. Se ogni tanto c'è una piccola percentuale di difficoltà, di mala sanità, di disorganizzazione, qualche risacca di cattiva sanità, giustissimo procedere con le sanzioni. La grande scommessa, però, deve essere quella di difendere le eccellenze e migliorarle attraverso la manutenzione di un sistema ormai ventennale che sta dimostrando la propria valenza.
Certamente esistono delle difficoltà, questo è fuori discussione. Occorre omogeneizzare la risposta del soccorso, soprattutto quello extraospedaliero, uniformandolo sia dal punto di vista territoriale che delle professionalità preposte al soccorso primario. Non possiamo, anche all'interno della stessa provincia, azienda ospedaliera o sanitaria, avere equipaggi con rianimatori, chirurghi o cardiologi di notevole esperienza, a fianco a neolaureati senza alcuna esperienza nel settore.
Stesso discorso vale per i pronto soccorso, sempre considerati la «Cenerentola» dell'ospedale, dove viene messo l'ultimo dei colleghi che deve fare esperienza. È necessaria un'inversione di tendenza: in pronto soccorso deve stare chi ha più esperienza e maggiori capacità di decidere in brevissimo tempo per dare davvero una risposta efficace ed efficiente al paziente.
Concordo perfettamente che l'anello debole della catena è il pronto soccorso, ma questo dipende da una situazione territoriale in cui manca assolutamente la capacità di drenaggio della patologia sul territorio per evitare quegli accessi incongrui che, da un lato, intasano i pronto soccorso rendendo difficoltoso l'accesso a chi davvero ne ha necessità e, dall'altro, utilizzano il presidio come uno strumento per ottenere in breve tempo diagnosi ed esami strumentali.
È ora di finirla. Non so se la strada giusta sarà quella della medicina collettiva, dell'unione dei medici di base o di un modello tipo country hospital. Si tratta sicuramente di una scommessa. Occorre prendere in mano la situazione implementando la medicina del territorio con quella ospedaliera, implementando tra loro i livelli di DEA e collegandoli sul territorio. Solo così riusciremo davvero ad avere una catena di soccorso importante.
Ignazio Marino (PD).
“Nei fine settimana il picco di criticità nei Pronto soccorso”
Ci troviamo in situazioni - come, ad esempio, i fine settimana - in cui, all'interno dei nostri ospedali, il numero di dimissioni scende al di sotto del 5 per cento, comprendendo anche i decessi (ossia le persone che muoiono in ospedale): meno del 5 per cento delle dimissioni avvengono dunque nel fine settimana. Ciò comporta una riduzione del numero dei posti letto e una intensità di persone che non avendo altri luoghi dove potersi recare vanno giustamente e naturalmente al pronto soccorso. È chiaro che in tal modo si verifica un sovraffollamento che richiede delle soluzioni, le quali devono però essere prese con urgenza. Le situazioni che abbiamo davanti agli occhi, al di là delle emozioni che possono causare certe immagini o certi racconti, sono state ben documentate da una indagine compiuta dalla Commissione sanità sotto la presidenza Tomassini in questa legislatura, la quale ha dimostrato quali siano le carenze dei pronto soccorso in tutto il territorio nazionale.
Allora con semplicità avrei alcuni suggerimenti da avanzare che credo debbano essere davvero portati su un tavolo di lavoro e materializzati in tempi rapidi.
In primo luogo, chi conduce una autoambulanza, e soccorre una persona, non sa dove sia libero in quel momento un letto per salvare quella vita umana. Ricordo che in una città come Roma si usa uno strumento inventato nel 1986, il fax, tre volte al giorno. Credo che forse un passo tecnologico in avanti, almeno per salvare le vite umane, si possa fare.
Il secondo punto che davvero va al di là della mia capacità di comprensione è il seguente. Mi domando come mai in un pronto soccorso non abbiamo quella figura che altri hanno - lei lo sa bene, Ministro, avendo visitato molti ospedali nel mondo anglosassone - che si chiama gate-keeper, il quale, attraverso lo schermo di un computer, sa dire dove si trova un letto libero e quindi ha l'autorità di poter trasferire il malato e di non lasciarlo quattro giorni su una barella.
Infine, credo sia davvero rilevante riorganizzare, supportare e valorizzare i medici di famiglia. È evidente che si riallaccia al punto che in qualche modo ho brevemente analizzato all'inizio: nei fine settimana, senza alcun riferimento ai territori, il super afflusso nei pronto soccorso può essere risolto soltanto con una riorganizzazione e valorizzazione del lavoro dei medici di famiglia, i quali potrebbero essere almeno dodici ore al giorno, sei giorni alla settimana, un punto di riferimento e diventare, tra l'altro, anche un volto amico.
Vorrei infine rivolgere al Ministro un'ultima e accorata preghiera. La questione dei piani di rientro non può gravare sull'organizzazione delle strutture di pronto soccorso; non può chi organizza un pronto soccorso avere una limitazione così grande, come ad esempio nella città di Roma, dove se vanno in pensione dieci operatori sanitari se ne può riassumere soltanto uno.
Domenico Gramazio (PdL).
“Il problema sono le Regioni commissariate”
Il problema è la riorganizzazione del servizio. Come va posto tale problema? Come sappiamo tutti, si fa una grande polemica sui pronto soccorso. È il sistema che va rivisto. C'è un imbuto nei policlinici e nelle strutture ospedaliere: l'imbuto è l'arrivo nei pronto soccorso di chi non avrebbe nessun bisogno del pronto soccorso.
Nella legge n. 833 del 1978 si parlava di aprire le strutture sul territorio, ma quanti sono stati assessori alla sanità sanno perfettamente che ciò non è stato fatto e che quindi si va all'ospedale non come ultima, ma come prima richiesta.
Il problema sono le Regioni commissariate, le Regioni che hanno sfondato il tetto di spesa sanitaria e nelle quali non è più possibile assumere nessuno: non si possono assumere i medici, che quindi sono in carenza; non si possono assumere gli infermieri professionali, che nelle strutture sono in carenza. Tutte le Regioni che sotto il commissariamento ormai non sono più governate dal sistema sanitario, ma dal sistema amministrativo; non più dall'assessorato o dagli assessorati alla sanità, ma da coloro che devono fare i conti, e sulla base di tali conti operano tagli che vengono fatti sul territorio di quelle Regioni che hanno sopportato questo sistema di spesa sanitaria.
Bisogna quindi riorganizzare il servizio delle strutture di pronto soccorso.
Se facciamo la critica ai pronto soccorso, dobbiamo pensare che cosa è avvenuto a Genova, alle denunce fatte per quella struttura ospedaliera, alle altre strutture ospedaliere degli altri pronto soccorso dei grandi ospedali italiani, che hanno lo stesso sistema inadeguato degli ospedali di questa città e di questa Regione.
Quindi il confronto, signor Ministro, è tra lo Stato e le Regioni; i suoi consigli devono essere confrontati tra lo Stato e le Regioni e non possono rimanere all'interno del suo Ministero, perché il confronto, la gestione diretta è delle Regioni, che hanno precise responsabilità, non dovute a passaggi di carte ma perché lo statuto, ma anche la Costituzione dà alle Regioni il compito di gestire il sistema sanitario ad ogni livello.
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