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Lunedì 02 DICEMBRE 2019
Un’occasione da non perdere per riformare la sanità
Pur trovandomi d’accordo, senza se e senza ma, sulla necessità di rifinanziare la sanità non mi convince una indistinta politica di rifinanziamento cioè il lanciare semplicemente i confetti tra la folla. Non penso che, per difendere la sanità basti rifinanziarla. Credo che a noi serva prima di tutto una nuova definizione di sostenibilità, una definizione non compatibilista con la quale si stabilisca una regola: a meno limiti finanziari si risponde con più valori, con altri valori, con nuovi contro valori
Un miracolo
In seguito al 4 marzo 2018, ultime elezioni politiche, quindi al subentrante cambio dei governi multicolori, è avvenuto un miracolo: dopo anni, almeno 30, di duri vincoli finanziari, la sanità diventa magicamente “sostenibile”, tutti vogliono finanziarla, il super ticket viene abolito, si trovano soldi per tutto e il ministro Speranza addirittura torna a teorizzare il diritto alla salute incondizionato (QS, 25 novembre 2019).
In giro, dappertutto, si parla di una “nuova governance” cioè di una sanità senza tetti, senza commissariamenti, dove le regioni sono libere come se limiti non ce ne fossero più.
E ancora, il ministro Speranza, sempre “coltello tra i denti” ci spiega che la spending review “non va bene” e che in suo nome si sono consumati molti tagli alla sanità (Vivere sani e belli, n. 48 22/28 novembre).
Troppa grazia S. Antonio, mi gira persino un po’ la testa, e, vedendo il ministro Speranza che getta soldi tra la folla come se fossero confetti ad una festa di matrimonio, mi viene da chiedergli: “signor ministro per difendere davvero la sanità pubblica, basta rifinanziarla?”
Contro l’eccesso
Venerdì scorso a Firenze, ad un bel convegno organizzato dalla Cisl medici, ho spiegato che le elezioni del 4 marzo di fatto, in sanità, hanno segnato, la crisi di quei partiti di governo che hanno fatto del paradigma compatibilista, il proprio tratto distintivo, quindi, del limite economico il proprio feticcio e del tema della sostenibilità, un’autentica metafisica.
Oggi questi partiti, dicevo, ci propongono senza nessun imbarazzo esattamente il contrario di quello che hanno fatto per 40 anni, cioè ci propongono una sfacciata politica di decompatibilizzazione della sanità.
Pur consapevole della nostra situazione economica e delle sue incognite eviterò di ricorrere al ragionamento facile “che succede alla sanità se…” (si vedrà…) vorrei invece rimarcare tuttavia quanto poco sia credibile e affidabile una qualsiasi politica che sia tutto e il suo contrario cioè una politica che per proprie clamorose incapacità i conti veri con la sanità reale non li fa mai.
Come non ero d’accordo con chi esagerava negando alla sanità l’indispensabile, non sono d’accordo con chi esagerando la fa facile nel negarne i gravi problemi.
Passato il temporale gli ombrelli è meglio non buttarli
Per anni, come tutti sanno, mi sono battuto su questo giornale contro il de-finanziamento della sanità, contro la sua de-capitalizzazione, contro le politiche ottuse del PD, contro il “costo zero”, contro i finti “cambiamenti” teorizzati da finti ministri.
Ora, pur trovandomi d’accordo, senza se e senza ma, sulla necessità di rifinanziare la sanità non mi convince una indistinta politica di rifinanziamento cioè il lanciare semplicemente i confetti tra la folla
Cosa non mi convince? E’ giusto, dopo tanti sacrifici, rivalutare il ruolo della sanità pubblica, ma questo non vuol dire che in sanità:
• non esista più la questione sostenibilità,
• la spesa sanitaria abbia perduto come per magia la sua natura irriducibilmente incrementale,
• che non ci sia un problema serio di regressività del sistema rispetto alla società che cambia.
Per cui non mi convince l’idea che passato il temporale gli ombrelli si debbano buttare via.
E poi resto convinto di due cose:
• che i soldi pubblici debbano essere sempre comunque ben amministrati,
• se i soldi sono spesi male è difficile difendere per davvero la sanità pubblica.
Per avere meno limiti finanziari bisogna avere ben altri limiti
Non penso quindi signor ministro, che, per difendere la sanità come lei dice, coltello tra i denti, basti rifinanziarla. Credo che a noi serva prima di tutto una nuova definizione di sostenibilità, una definizione non compatibilista con la quale si stabilisca una regola: a meno limiti finanziari si risponde con più valori, con altri valori, con nuovi contro valori
Cioè credo che, proprio per non avere limiti finanziari di un certo tipo, quindi per continuare ad avere nel tempo più soldi, dobbiamo avere più “limiti” di un altro tipo.
A maggiore spesa devono corrispondere maggiori contro valori.
Se non sarà così, per come conosco i difficili e incerti rapporti tra sanità e economia, per noi potrebbe essere pericoloso.
I controvalori, sono quelli che, in sanità, dovrebbero indicare a fronte del valore materiale delle risorse finanziarie impiegate i valori misurabili delle utilità prodotte. La teoria del value based, di cui si sta discutendo in questi giorni su questo giornale, rientra in questo ordine di idee.
Ripeto il concetto: più soldi ma anche più controvalori.
Signor ministro se considero le sue politiche, di controvalori, ne vedo pochi, anzi vedo una pericolosa voglia di laissez faire e questo me lo lasci dire puzza di nuovo per l’ennesima volta di neoliberismo.
La logica emiliana
Mi ha molto colpito che lei, signor ministro, nell’intervista al settimanale prima citato, abbia liquidato in modo assai sbrigativo la questione della spending review. Come sanno anche i sassi, in sanità vi è un mare di costi parassiti per cui la spending review, ovviamente se intesa non alla Cottarelli, come semplice misura amministrativa, ma nel modo riformatore giusto, dovrebbe essere quasi obbligatoria.
Non penso che, nel tempo, lei possa continuare a finanziare senza limiti un sistema tanto diseconomico. Ma poi non lo riterrei giusto.
Al contrario penso che le sue possibilità di rifinanziarlo in futuro dipendano direttamente dalle sue possibilità di bonificarlo dalle diseconomie. Fare la spending review non è un problema amministrativo ma è primariamente un problema di riforme finalizzate ad un grado di equità superiore.
Lei, nella sua intervista riassume sinteticamente la vecchia ricetta emiliana nel classico ordine logico:
• intervenire su sprechi e inefficienze,
• razionalizzare la spesa e fare appropriatezza,
• fornire alle regioni strumenti per risparmiare.
Un ragionamento tanto frustro quanto superato che, dati i tempi neanche per l’Emilia Romagna ormai funziona più, tant’è che è alla ricerca dei fondi integrative per arrotondare il finanziamento, figurarsi per la Calabria e per il resto del paese. Mi permetta quindi di farle notare delle aporie. Volesse il cielo se riuscissi a farle venire qualche piccolo dubbio.
Sprechi e inefficienze
Gli sprechi e le inefficienze, a sistema e a organizzazioni di servizi invariante sono la parte più piccola dei costi parassiti e, peraltro, quella più facilmente aggredibile, oltre ad essi esistono le vere diseconomie e le vere anti economie del sistema, cioè quelle di tipo strutturale legate a come è organizzato il sistema, a come funziona, a come si comporta, a come è gestito, alla qualità delle professioni e delle prassi.
Non sono d’accordo con gli amici dei fondi integrativi che dicono che ormai non c’è più niente da razionalizzare e che quello che si poteva fare è stato fatto. Quindi che si deve privatizzare e basta. Non è vero, c’è ancora molto da fare.
In un ospedale ad esempio, come si può vedere dal bilancio del policlinico di Tor Vergata di Roma, semplicemente lavorando sugli acquisti si sono risparmiati molti soldi, ma ammesso ciò io pongo un’altra questione: rispetto ad una strategia di sostenibilità, che senso ha risparmiare sugli acquisti e sprecare soldi con il contenzioso legale? O con la crescita della spesa privata? O con la crescita della sfiducia sociale accentuando il grado di regressività culturale dell’ospedale anche se super tecnologico?
Che senso ha garantire appropriatezza in un ospedale inadeguato nel modello cioè ancora organizzato con il Dm 70 secondo i criteri della Mariotti del 1968? Che senso ha parlare di appropriatezza nell’epoca delle violenze contro gli operatori? Cioè che senso ha abolire sprechi e inefficienze in un distretto organizzato in tutto e per tutto come se fosse un ospedale? Che senso ha chiedere appropriatezza a delle professioni congelate nel tempo, con vecchie competenze e vecchie organizzazioni del lavoro? Che senso ha avere dipartimenti di prevenzione organizzati ancora oggi con le logiche operative dell’ufficiale sanitario?
Che senso ha avere costi appropriati e servizi inadeguati?
Razionalizzazione
La razionalizzazione è l’idea alla base della 229 e di tutta la strategia emiliana di questi anni, ma essa si basa su tre presupposti oggi ampiamente inaccettabili:
• quello di adottare il sistema dato come invariante considerandolo migliorabile in quanto tale, appunto semplicemente razionalizzandolo,
• quello di assumere gli operatori come le vere controparti della razionalizzazione,
• quello di considerare i malati come dei fantasmi inconsapevoli.
Ma oggi signor ministro:
• tanto la società che l’economia ci chiedono un altro genere di sistema, un altro genere di servizio, un altro genere di cura, di salute, un’altra cultura, per cui migliorare un sistema culturalmente vecchio a tutt’oggi sostanzialmente mutualista nella sua più intima essenza, non è solo tempo perso ma è una manifesta dimostrazione di incapacità politica;
• gli operatori sono stufi di essere considerati delle controparti dei direttori generali, lo dico ai sostenitori della teoria del value based: se continueremo a considerarli come degli zombi, se continueremo con le aziende che abbiamo, se continueremo con i soliti contratti, certi ragionamenti è meglio non farli;
• i cittadini che oggi a causa di organizzazioni discutibili ti mettono le mani addosso sono tutt’altro che fantasmi.
La collina del risparmio
Immagini signor ministro di fare il geologo e di tagliare la sanità come se fosse una collina, nella sezione che comparirà lei avrà difronte molti strati:
• quelli più superficiali sono quelli che interessano la razionalizzazione e sono quelli più facilmente aggredibili da un punto di vista amministrativo perché non necessitano di un pensiero riformatore, anche se sono economicamente i meno consistenti;
• quelli più profondi sono quelli che al contrario necessitano di un pensiero riformatore ma che sono economicamente davvero più consistenti e socialmente più decisivi e che decidono la qualità del rapporto tra noi e gli altri, tra noi e l’economia e la tenuta nel tempo del sistema.
Limitarci a intervenire in superfice ci fa risparmiare qualcosa, non lo nego, ma non ci risolve il problema dei controvalori, nel senso che, quello che possiamo risparmiare con la razionalizzazione, è più basso di quello che ci servirebbe per assicurare alla sanità, a parità di diritti, una crescita costante di risorse. Voglio consigliarle signor ministro di non farsi eccessive illusioni, prima o poi i confetti finiranno, nel senso che non potranno più essere distribuiti a manciate in eterno, mentre il problema che abbiamo è avere confetti sicuri tali da garantirne la loro programmazione al futuro. Cioè confetti durevoli e sostenibili.
Si può fare l’uno e l’altro
La mia idea di sostenibilità è diversa dalla sua e da quella dei suoi più stretti collaboratori, per me essa è equilibrio tra risorse e diritti durevole nel tempo garantito da politiche di compossibilità per cui la politica deve governare in tutti i modi efficaci questo equilibrio, quando necessario rinnovarlo, ma con lo scopo di mantenerlo.
Per lei, almeno da quello che deduco dalle sue interviste, la sostenibilità anche intesa nel modo vecchio quale compatibilità tra risorse e diritti è un problema che non si pone. Le assicuro che sbaglia.
Siccome i soldi veri si liberano riformando il sistema, la sostenibilità intesa come equilibrio non passa per la razionalizzazione ma per le riforme che producono contro valori.
Detto ciò caro ministro, non voglio passare ai suoi occhi per un manicheo oltranzista, cioè uno che dice “no alla razionalizzazione sì alle riforme”. Nessuno ci impedisce di agire entrambe le politiche, anche se in modi ovviamente diversi.
Quello che le contesto è che lei, per seguire il pensiero perdente dell’Emilia Romagna, oggi fa lo splendido con i soldi pubblici, senza rendersi conto che, senza una strategia riformatrice, lei ci porterà, ammesso che ne abbia il tempo, dritti dritti verso una situazione di relativa insostenibilità strutturale.
Le ricordo che il crollo delle mutue è stato deciso da un rapporto di incompossibilità tra contribuzione e prestazioni. E che questo problemino è stato trasferito sul nuovo SSN e che sino ad ora è restato irrisolto.
Mi dica una ragione per la quale non possiamo intervenire sia sugli strati in superfice che su quelli profondi? Io la risposta ce l’ho: su quelli profondi lei e i suoi pards non sapete dove mettere le mani perché vi manca un pensiero riformatore. Voi della quarta riforma non volete neanche sentir parlare, o sbaglio?
Regioni
La questione delle regioni, quella che oggi si chiama con un eufemismo ipocrita “la nuova governance” per me è un grave errore politico. Con le regioni, anche per il bene dei cittadini, le consiglio quello che avevo consigliato alla Lorenzin al suo esordio da ministro, di indossare sempre delle robuste mutande di bandone.
Mi colpisce che le regioni rifiutino anche in caso di inadempienza di essere commissariate quindi rivendichino sostanzialmente al governo impunità e mani libere dicendo che dobbiamo “credere nelle loro capacità di amministrare la sanità pubblica” (QS, 27 novembre 2019).
Alle regioni dico, con il rispetto dovuto, ma anche con un ragionevole grado di prudenza, che se voi non avrete limiti precisi, adempimenti precisi, voi spenderete come avete sempre speso.
Senza un progetto di riforma della spesa voi spenderete male e di più come sempre è stato fatto. In ballo, lo dico agli assessori, non c’è la vostra correttezza o la vostra capacità, (che non ho nessuna difficoltà ad assumere quale garanzia), ma se il sistema resta quello che è sarà lui nel bene e nel male a spendere per voi. Trascuro quello che in più spenderete per conto vostro per interessi vostri.
Non prendiamoci in giro, perfino al tempo dei patti della salute resta il problema grave del clientelismo e del malaffare ma se quei pochi limiti che ci sono spariscono la robaccia tornerà a galla più puzzolente di prima.
Perché mai dovrei rischiare di mettere in forse i diritti delle persone per colpa del malgoverno delle regioni? Non vi basta la Calabria?
Nuova governance e regionalismo differenziato
Insomma alle regioni non darei limiti ma un progetto di cambiamento che limiti drasticamente la loro invarianza sì. Cioè darei un’altra idea di sanità da implementare, in questo caso si che l’affiancamento sarebbe importante.
Nella sua intervista, già citata, dice che alle regioni bisogna dare “strumenti per risparmiare” ma chi mette a punto un’altra idea di sanità per fare in modo che quello che viene assegnato venga speso bene? Cioè produca i necessari controvalori?
Quanto al commissariamento vorrei signor ministro che lei mi spiegasse se la regione sbaglia o non si comporta bene o sperpera il pubblico denaro, perché lo Stato non dovrebbe, a garanzia del cittadino, ricorrere allo strumento del commissariamento?
Da ultimo conoscendo il pensiero anche questo molto emiliano, dei teorici della “nuova governance” è del tutto evidente che la nuova governance fa il paio con il regionalismo differenziato cioè con il desiderio di non avere tanti assessori ma tanti ministri della salute ognuno per regione.
La nuova governance e il regionalismo differenziato sono entrambi esercizi di autarchia. Non è un caso che chi sostiene la prima sostiene anche la seconda. Ma anche questo aumenta la puzza di neoliberismo al quale come è noto piacciono “le mani libere”.
Conclusione
Signor ministro per dirle delle mie preoccupazioni chiudo con un esempio pratico:
• da una parte trovo molto opportuno assumere operatori e quindi superare ogni sbarramento alle assunzioni,
• dall’altra è inevitabile che si paghi lo scotto di una crescita importante del costo del lavoro e della spesa complessiva.
Ciò che non condivido è che di fronte a questa crescita necessaria del costo del lavoro e della spesa lei non si preoccupa di bilanciarla e per certi versi di minimizzarla o compensarla.
Lei oggi ha la possibilità di assumere personale ma lo fa a organizzazione invariante cioè senza una sola idea riformatrice che garantisca dei contro valori.
Non la faccio lunga ma possibile mai che:
• ai suoi consiglieri non venga in mente di approfittare di questa occasione post elettorale per cambiare un po’ di cose?,
• dobbiate limitarvi a rifinanziare un sistema che per le sue grandi aporie interne non sta più in piedi per quanto è diventato suo malgrado decrepito?,
• nell’assumere nuovi operatori nessuno di voi si ponga il problema di quale lavoro, di quale servizio, di quale organizzazione e di quale prassi?
Mi dispiace ma tutto questo alla lunga se penso al default delle mutue lo trovo pericoloso e, se penso ai diritti dei nostri cittadini, molto deludente.
Ivan Cavicchi
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