quotidianosanità.it
stampa | chiudi
17 NOVEMBRE 2019
Per le elezioni in Calabria si parla solo del nome da proporre e non di cosa sia necessario fare
Considerando questa logica a sovraintendere le prossime elezioni regionali calabrese, sarà impossibile persino immaginare chi sarà quindi in grado di operare il salvataggio della Calabria che affonda, dei calabresi che affogano nella povertà e delle imprese nella difficoltà assoluta. Qui, si cerca da tempo un nome, un'immagine attrattiva accettabile, ove mai prescelta dagli stessi che hanno rovinato la nostra terra.
Fantastica la Calabria! Tra 70 giorni si vota e il ceto politico nonché quello impropriamente autodefinitosi civico si rendono protagonisti di una sorta di festival del candidato. Giovanni (nome di fantasia) da una parte, Peppino (idem come Giovanni) dall'altra e Luigi (idem come Giovanni e Peppino) dall'altra ancora, senza contare chi scalpita con impeto ed eccessiva veemenza da dietro le tradizionali «quinte» di quella che sarà ricordata per la peggiore campagna elettorale di sempre.
La attualità della politica è quella mettere contro l'uno contro l'altro. Nelle regionali tutto si è trasformato in una gara a due: capire se Salvini è più forte di tutti, peraltro separati sino alla decimazione dopo la sconfitta umbra. Dunque, nelle competizioni regionali, che si stanno via via celebrando, è divenuto importante trovare il chi da proporre al giudizio del popolo e non già il cosa fare.
Considerando questa logica a sovraintendere le prossime elezioni regionali calabrese, sarà impossibile persino immaginare chi sarà quindi in grado di operare il salvataggio della Calabria che affonda, dei calabresi che affogano nella povertà e delle imprese nella difficoltà assoluta. Qui, si cerca da tempo un nome, un'immagine attrattiva accettabile, ove mai prescelta dagli stessi che hanno rovinato la nostra terra.
In questo assurdo processo di autogenerazione, emergono tuttavia due grandissimi limiti.
Il primo. Neppure una donna, neanche ad immaginarlo. Si continua così nel reiterare uno dei veri drammi cultuali della Calabria ovverosia che i «fimmini» - alle quali sarebbe da riconoscere la massima fiducia quanto a coraggio contro la 'ndrangheta (Angela Napoli su tutti) e la corruzione - è meglio stiano a casa e non già impegnate nei siti di governo della res pubblica. Si rischierebbe di migliorarne l'efficienza, l'efficacia e la economicità! Pregi, questi, che alle nostre latitudini non sono affatto pretesi e, dunque, per nulla perseguiti da una società che dovrebbe invece rivendicarli più che altrove!
Il secondo, e non certo per gravità, è che si discute di nomi, cognomi, sopranomi e curricola ma non di programmi. Quegli strumenti attraverso i quali la comunità, chiamata a scegliere, dovrebbe garantirsi la restituzione dei diritti di cittadinanza sino ad oggi massimamente negati, ovunque goduti.
Ma di tutto questo non frega ad alcuno, interessati invece a frequentare le due opzioni alternative, le solite: esercitare la incosciente viltà di rimanere a casa invece di andare a votare; l'esprimere il consenso verso chi promette meglio, prescindendo se trattasi di prodotti andati a male, illegittimi e, a volte, finanche illeciti. Invero, ce n'è una terza, quella oggi più in voga: di organizzarsi per dare ragione o torto all'ex ministro dell'interno, autore di una campagna elettorale da candidato stabilmente residente nei luoghi ove si vota!
Così facendo si preferirà, ancora una volta, di nascondere dentro le nostre «mura» le vergogne di casa, rifiutando che arrivi qualcuno che venga a trasformarle in verità, prima, e in occasione di soluzione successivamente. No, qui si preferisce ostentare delle belle bugie, da somministrare ad un popolo elettorale dimostratosi nel tempo sufficientemente sciocco e/o apatico, piuttosto che proporre quelle brutte verità funzionali a risolvere, nel tempo, i gravi problemi che affliggono la Calabria.
Quindi, si assume qui l'abitudine di tutti di nascondiamo la realtà all'intelligenza comune, facendo il più male possibile ai nostri figli e a chi lasceremo comunque dopo di noi.
Ebbene si, lavoriamo contro stessi intessi facendo finta di «godere» di:
a) un buon bilancio regionale, omettendo che lo stesso fa acqua da tutte le parti, a cominciare dalla indicazione dei crediti fasulli (che paiono essere appena al di sotto della miliardata), abbandonato com'è ad essere trattato come facile preda dalle insipienze dei comuni che spendono incoscientemente senza corrispondere il dovuto, specie per acqua e rifiuti, all'equilibrio di bilancio della Regione e, dunque, della Repubblica. Il tutto assediato da condizioni patrimoniali delle partecipate che farebbero rizzare i capelli ad un attento revisore, anche se calvo, e da un contenzioso sottostimato per diverse decine di milioni di euro che determinerà pesanti riconoscimente di debiti fuori bilancio;
b) una sanità accettabile con qualche assunzione in più, trascurando di confessare che è da sempre in mano ai «carnefici», indigeni e forestieri, produttori (sembra) anche qui di oltre una miliardata di deficit patrimoniale da ripianare a cura della Regione, nonostante l'assurdo escamotage dell'inserimento della ministra Grillo del dissesto, del tipo quello in uso dei moltissimi Comuni calabresi. Un sistema di complicità Stato/Regione che - portato avanti da un gruppo stranamente simbiotico, generatosi a prescindere dal colore che ha distinto i Governi che si sono succeduti negli ultimi dieci anni almeno - sembra avere scelto la Calabria come laboratorio di ricerca per ivi sperimentare il da farsi per costruire le peggiori condizioni di vita e di morte cui sottoporre le popolazioni residenti;
c) una assistenza sociale che vende come destinata a migliorare, trascurando di testimoniare che essa non raggiunge affatto i destinatari, per assoluta mancanza di risorse e per programmazione inesistente. Un gap al quale si tenta di rimediare nel modo peggiore inimmaginabile ovunque;
d) una sufficiente cura all'organico della Regione, invero nel passato raramente scelto con ricorso a procedure che hanno premiato la meritocrazia reale, che invece è abbandonato a se stesso con dirigenti sottoposti a rotazioni obbligatorie da capogiro, nel senso di essere destinati a vanvera e non secondo le prerogative tecniche possedute;
e) un territorio sicuro, sotto il profilo idrogeologico dimenticando le catastrofi di ieri, le inutilità della spesa utilizzata per (non) rimediare e i verosimili drammi che si verificheranno domani, con scuole, presidi ospedalieri e luoghi di comunità dimenticati dalle tutele della antisismicità e messi in pericolo dalle immediate adiacenze a terrei franabili e alluvionali;
f) una trasporto pubblico locale che ci invidia tutto il Paese, che invece è così malconcio da abbandonare i nostri anziani nei loro borghi tanto da impedire agli stessi il facile raggiungimento di luoghi di cura e di servizio pubblico;
g) un ambiente, infine (solo per non tediare con le pagine che meriterebbero le innumerevoli comuni istanze sociali), ricco di attenzione che è invece tanto bistrattato da generare un mare pieno zeppo di coliformi fecali, un territorio da risanare, con energia e urgenza, da rifiuti e da residui industriali da fare paura, un verde al quale manca la cura delle cautele nei confronti dei frequenti incendi.
Ma di tutto questo, nulla!
Per vivere in Calabria è sufficiente proporre chi appare credibile prescindendo dalle garanzie del risultato che i calabresi attendono da sempre, vittime di governi regionali che a definirli inutili si vincerebbe il premio della più stupida delle generosità.
Ettore Jorio
Università della Calabria
© RIPRODUZIONE RISERVATA