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Lunedì 12 MARZO 2012
Stipsi cronica. Ne soffre un italiano su cinque. Ma l’80% sono donne
Un nuovo studio offre un quadro di questa patologia cronica che colpisce prevalentemente le donne. I pazienti non sono soddisfatti della terapia. E a causa della malattia sono assenti dal lavoro nei casi più gravi fino a 4 ore alla settimana.
La stipsi cronica colpisce una porzione importante della popolazione italiana, stimata tra il 15 e il 20 per cento. Di questi cittadini, circa l’80% sono donne, con un’età media di 50 anni e che da circa 17 anni convivono con la patologia. Dopo quello della Società Italiana di Reumatologia (di cui vi abbiamo parlato la settimana scorsa), arriva un altro studio che descrive come l’identikit del paziente affetto da una patologia cronica sia quasi sempre quello di una donna: si tratta della ricerca LIRS (Laxative Inadequate Relief Survey), condotta da Doxa Pharma con il supporto non condizionato di Shire Italia.
Lo studio ha coinvolto 39 centri di gastroenterologia in tutta Italia e circa 900 pazienti, con l’intento di fare il punto sulla qualità di vita (fisica, psicologica e sociale) di chi soffre di questa patologia, sull’impatto socio-economico della stessa, e sul grado di soddisfazione/insoddisfazione dei pazienti nei confronti delle terapie oggi disponibili. “La stipsi cronica non si limita all’alterazione dell’alvo, ma è il risultato di una sintomatologia più complessa che include, ad esempio, gonfiore, sforzo, sensazione di evacuazione incompleta, fastidio all’addome, che riducono la qualità di vita del paziente”, ha spiegato Enrico Corazziari, docente di gastroenterologia all’Università “Sapienza” di Roma. “Infatti, da quanto emerge dai dati dell’indagine LIRS, questi sintomi sono le manifestazioni più sgradevoli e frequenti avvertite in modo forte e molto forte da circa il 50% del campione”.
Secondo i risultati LIRS, il 46% dei pazienti con stipsi cronica giudica “non buona” la propria salute (come era già emerso alla fine dell’anno scorso nell’ambito di una ricerca più ampia sulla cronicità da dati Istat). Nel campione LIRS, chi soffre di stipsi cronica percepisce la propria condizione di malato cronico e avverte la medesima limitazione di questa situazione al pari di un iperteso o di un malato di artrosi e in modo maggiore rispetto a chi soffre di emicrania. La stipsi cronica è, dunque, un disturbo che condiziona la vita, restituisce un vissuto di profondo disagio, determinando un processo di ridefinizione della propria “normalità”.
“Le maggiori sensazioni fisiche riferite dal paziente sono: pesantezza (72% nei casi severi), stimolo all’evacuazione senza riuscirci (66%), e gonfiore di intensità anche severa (63%). Sensazioni che si concretizzano in difficoltà nella vita quotidiana come: attenzione alla propria alimentazione (51%), sensazione di imbarazzo nel rimanere a lungo in bagno (49%) e preoccupazione di dover cambiare abitudini (41%)”, ha commentato Guido Basilisco, gastroenterologo presso l’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.
Ma non solo. Le implicazioni emotive, al pari di quelle fisiche, provocano un’alterazione del benessere del paziente, condizionando il suo modo di affrontare la quotidianità. Esse riguardano sensazioni soggettive molto forti, come ad esempio la preoccupazione di non essere riuscito ad andare di corpo al bisogno (67%), la sensazione che il corpo non funzioni bene (62%), o la paura che i disturbi peggiorino (58%). “È interessante sottolineare come la sofferenza emotiva dei malati di stipsi cronica sia simile a quella di importanti malattie organiche, collocandosi tra l’ulcera peptica e l’infarto miocardico”, ha aggiunto Basilisco.
Inoltre, la malattia presenta anche un forte impatto sociale. Dalla ricerca LIRS è emerso, infatti, che il numero di ore lavorative perse in una settimana a causa della stipsi cronica va da 4 ore nei casi più gravi, a circa 1 in quelli più lievi. Partendo da questo dato, si è calcolato che un paziente con stipsi cronica grave costa in media, in termini di assenteismo, 1.500 € all’anno. Costo che scende a 500 € all’anno nel caso di un paziente con stipsi cronica molto lieve. Da qui deriva che una terapia in grado di ridurre i sintomi della patologia potrebbe consentire un risparmio pari a 1.000 € l’anno a paziente (solo in termini di assenteismo dal lavoro).
La malattia, tuttavia, non provoca soltanto assenteismo dal lavoro, ma anche una minor produttività, tanto maggiore quanto più gravi sono i sintomi della stessa. Si passa, infatti, da una riduzione delle performance lavorative del 35% per i pazienti più severi, al 20% per quelli con forme più lievi. “Se l’assenteismo è una voce facilmente misurabile, la riduzione dell’efficienza sul lavoro, dovuta all’interferenza di una patologia funzionale, parametro molto importante nella valutazione quantitativa e qualitativa dell’attività produttiva, è di più difficile determinazione”, ha spiegato Rosario Cuomo, docente di gastroenterologia all’Università Federico II di Napoli. “Non esistono ancora corretti misuratori che evidenzino in termini economici cosa significhi ridurre di un terzo le performance lavorative, anche se negli Stati Uniti ci sono gruppi di studio che stanno cercando di dare una risposta a questo aspetto. E’ importante, infatti, sottolineare che i pazienti affetti da stipsi cronica sperimentano una reale sofferenza che compromette la qualità di vita personale e lavorativa e questo ha un’importanza sociale, non solo individuale, con ripercussioni economiche rilevanti”.
La patologia è dunque complessa. Spesso la percezione del “malessere” e del peggioramento della qualità della vita non sono legate solo al disturbo ma anche all’insoddisfazione del paziente con stipsi cronica rispetto all’offerta terapeutica oggi disponibile (rappresentata principalmente dai lassativi). L’indagine LIRS rileva, infatti, che solo 1 paziente su 5 è soddisfatto della terapia in atto. La percentuale di chi si dichiara, invece, insoddisfatto va dal 35% per i pazienti di grado moderato al 50% per quelli più severi. “I medici sono consapevoli e sperimentano quotidianamente l’insoddisfazione nei confronti dei lassativi da parte dei propri pazienti, a prescindere dalla tipologia di medicinale usato. Questo può avvenire per diversi motivi, che vanno dagli effetti collaterali provocati, alla necessità di cambiare spesso tipo di farmaco perché non efficace”, ha commentato Vincenzo Stanghellini, direttore del dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia dell’Università degli Studi di Bologna Policlinico S. Orsola – Malpighi. “Fortunatamente da oggi la classe medica ha a disposizione una nuova opzione terapeutica rivolta alla popolazione femminile affetta da stipsi cronica che non ha trovato una risposta soddisfacente ai numerosi lassativi disponibili. Si tratta di prucalopride, una soluzione che favorisce la motilità dell’intestino in modo fisiologico. La molecola agisce, infatti, come agonista selettivo del recettore della serotonina (5-HT 4) che ha come bersaglio l'alterata motilità del colon. In questo modo viene favorito il coordinamento dei movimenti peristaltici dall’alto verso il basso, che portano i contenuti intestinali verso il retto, facilitando la normale evacuazione.”
Un quadro, quello che emerge dai risultati LIRS, che evidenzia la necessità di un approccio sempre più attento alla stipsi cronica e di opzioni terapeutiche sempre più mirate con l’intento di diminuire gli effetti invalidanti della patologia sulla qualità di vita dei pazienti.
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