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Mercoledì 07 MARZO 2012
Intramoenia. Gustavino (Udc): “Merita un ripensamento”
E’ utile riconoscere come una norma largamente inapplicabile per tredici anni non sia una buona norma, piuttosto che assecondare un mai sopito furore ideologico, che la vorrebbe ora adottata in poche settimane, con l’unico risultato di mettere, dal 1° luglio, le strutture fuori legge.
L’istituto della libera professione intramoenia, dopo tredici anni applicato in modi difformi e incompleti (sempre dentro regimi transitori che hanno richiesto un numero imbarazzante di proroghe, l’ultima in corso con l’improbabile scadenza al 30 giugno) merita un ripensamento. E, come si usa dire in questo tempo, qualche parola di verità.
1. Le strutture sanitarie del nostro Paese non godono di buona salute. Un giro per le corsie, per i pronti soccorsi, per le piastre ambulatoriali, risulta sufficiente per comprendere quanto lavoro serva per raggiungere, in certi casi, soltanto il decoro.
2. Occorre quanto prima un Piano Nazionale di Edilizia Ospedaliera. Molte di quelle strutture sono vecchie e antieconomiche, come i nosocomi a padiglioni. Soprattutto non sembrano adatte ad accogliere la fragilità, qual è il tempo della malattia, prevedendo un’architettura dedicata, come le camere singole, e la possibilità di ospitare anche i congiunti (si pensi alle coppie di anziani soli). L’alienazione delle strutture attuali con eventuale valorizzazione dei siti, il risparmio di gestione offerto da una struttura nuova, che non abbisogna di continua manutenzione, la partecipazione di capitale privato, a fronte di esternalizzazioni di servizi non sanitari, sono esempi di voci per il reperimento delle risorse necessarie, ma comportano una regia centrale, in grado anche di determinare economie di scala. Un eguale sforzo dovrebbe essere compiuto per l’ammodernamento e la dislocazione della tecnologia.
3. In questo contesto reperire e impegnare risorse per allestire studi medici dentro gli ospedali, per consentire un rispettabile esercizio della libera professione, depone per un riconoscimento delle priorità.
4. Appare poi sempre più discutibile che nella stessa struttura pubblica si possano determinare tempi marcatamente differenti tra prestazioni erogate gratuitamente o con ticket e quelle in regime di libera professione intramoenia.
5. Sancito il principio per cui anche il medico dipendente può esercitare la libera professione, in virtù di quel particolare rapporto che si determina con il paziente, ai direttori generali dovrebbe interessare esclusivamente quel che il professionista fa dentro la struttura, se corrisponde agli obiettivi e ai volumi di attività definiti, con effettive possibilità di verifica, controllo e sanzione, lasciando che fuori organizzi liberamente il proprio lavoro, di cui deve rendere conto all’Agenzia delle Entrate. Bisogna sostituire la cultura del sospetto con quella dei compiti e dei risultati. Va da sé che questo pretende un management all’altezza, selezionato con criteri ispirati alla competenza, autentica e non di risulta, che deve avere chi di una straordinaria risorsa umana, prima di quella economica, è responsabile.
6. Occorre poi l’onestà intellettuale di riconoscere che l’indennità di esclusività ha rappresentato innanzitutto un modo per avvicinare gli emolumenti dei medici ospedalieri italiani a quelli dei colleghi europei. Se occorresse infine recuperare la cifra che i professionisti versano (anche questa in importi molto differenti da regione a regione) alle strutture per l’esercizio della libera professione, si potrebbe richiedere sotto forma di tributo, quale riconoscimento della valenza che l’appartenenza al sistema pubblico apporta alla professione.
In conclusione, credo sia utile riconoscere come una norma largamente inapplicabile per tredici anni non sia una buona norma, piuttosto che assecondare un mai sopito furore ideologico, che la vorrebbe ora adottata in poche settimane, con l’unico risultato di mettere, dal 1^ luglio, le strutture fuori legge.
Claudio Gustavino
Senatore, responsabile nazionale sanità UDC
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