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Lunedì 28 OTTOBRE 2019
Caro ministro Speranza, senza riforme la sanità morirà d’infarto
Le linee programmatiche presentate in Parlamento la scorsa settimana rientrano in pieno in quel genere di politiche che pensano di affrontare le complessità della sanità in modo omeostatico semplicemente amministrandola meglio, rattoppando qua e là qualche smagliatura, rimediando un po’ di soldi per dare qualche contentino. Ma andando avanti così, come 50 anni fa con le mutue, possono portare all’infarto del sistema
Ha ragione la Grillo quando, sulla sua pagina facebook, rivendica il copyright delle linee programmatiche presentate in Parlamento dal ministro Speranza. Ha ragione anche quando sottolinea che, a parità di marmellata, ciò che fa la differenza è l’etichetta incollata sul vaso.
Che il significato di base delle cose dipenda dai significati contestuali è una caratteristica della nostra lingua, ma in politica è una banale forma di opportunismo. Ha torto quando “rosica” dal momento che se non c’era nessuna ragione per la quale lei dovesse fare il ministro, e per me non c’era nessuna ragione, non c’è nessuna ragione per la quale lei dovrebbe continuare a farlo. Funziona così.
La regola transitiva
La Grillo mi ha deluso perché, ci ha proposto un anodino “cambiamento senza cambiamento” cioè non è riuscita, per evidentissimi limiti personali, a tradurre un impegno politico, in cui personalmente avevo creduto, in quel pensiero riformatore di cui la sanità ha bisogno da tempo come il pane.
Ho sempre criticato la Grillo per la sua continuità con il Pd, cioè con il massimo campione del “cambiamento senza cambiamento”, quindi la Lorenzin, per cui se la Grillo è continua al Pd e Speranza è continuo alla Grillo allora Speranza è continuo al Pd. Cioè anche Speranza, e le sue linee programmatiche lo dimostrano, vuole “cambiare senza cambiare”. E’ la regola transitiva.
Ma se Speranza è continuo a strategie sostanzialmente di manutenzione nonostante esse si siano dimostrate, a mio giudizio, pur nella loro ovvia utilità, pericolose e fallimentari e io non sono mai stato d’accordo con tali strategie, allora inevitabilmente io sulle politiche di manutenzione, di Speranza, neanche volendo, posso essere d’accordo. E’ sempre la regola transitiva.
Tutto questo a riprova che il mio dissenso prima verso il PD poi verso la Grillo, era solo politico e in nessun caso di altro tipo il che, in ragione sempre della regola transitiva, ammette che attualmente il mio dissenso verso Speranza a sua volta è solo politico, nulla di più.
Spero che almeno si apprezzi la coerenza intellettuale e che al ministro venga, se non altro, la curiosità democratica di farsi una chiacchierata con un punto di vista, vale a dire con un sistema di esperienze di conoscenze e di idee, che rispetto a quello del suo entourage è certamente diverso.
Il ministro Speranza, non appena avrà, sulla sanità, la necessaria consapevolezza politica della posta in gioco, dovrà decidere, se la sanità pubblica la vuole salvare o la vuole perdere. Nel primo caso necessariamente dovrà riformare nel secondo caso basterà manutenere, e il tempo farà il resto.
Te lo do io il cambiamento
Contro la debole strategia della Grillo, come certamente ricorderete, ho pubblicato, poco prima dell’ultimo cambio di governo, con questo giornale un e-book “Te lo do io il cambiamento” che vorrei consigliare al ministro Speranza.
Se a condizioni non impedite, la sua strategia manutentoria, quella illustrata in Parlamento dovesse andare avanti, è il libro che, sostituendo il nome Grillo con Speranza, riediterei. Conoscere in anticipo le critiche a ciò che ancora non si è fatto ma si vuole fare o non si vuole fare, è una opportunità che se fossi Speranza non sottovaluterei. Si scarica gratis da questo giornale.
Ma il punto politico alla fine è uno solo: cambiano i governi, cambiano i ministri ma per la sanità la solfa resta sempre la stessa, se non è zuppa è pan bagnato, i ministri nonostante le loro diverse appartenenze politiche alla fine sono indistinguibili, tutti fanno e dicono le stesse cose, tutti vogliono cambiare ma senza mai cambiare. Possibile mai che questo martoriato settore non meriti un pensiero decente adeguato alla sua storia e ai suoi profondi problemi? Possibile mai che, soprattutto a sinistra, non ci sia nessuno disposto a rompere con il pensiero debole?
Possibile mai, riprendendo il titolo di un libro solo di qualche anno fa che si abbia il solito problema di sempre: “Il riformista che non c’è”.
Tra romanelle e rischi di infarto
Le linee programmatiche che il ministro Speranza ha presentato in Parlamento rientrano in pieno in quel genere di politiche che pensano di affrontare le complessità della sanità, le sue profonde criticità, i suoi annosi problemi strutturali, in modo omeostatico semplicemente amministrandola meglio, rattoppando qua e là qualche smagliatura, rimediando un po’ di soldi per dare qualche contentino.
Quella di Speranza è una vera “romanella” cioè una politica che punta ad imbiancare la casa per appigionarla meglio ma che in nessun caso si preoccupa di tenerla in piedi, di rafforzarne le fondamenta, di ristrutturarla, cioè di renderla più forte, più sicura, più adeguata non solo nei confronti delle sfide esterne, ma soprattutto nei confronti delle debolezze interne quelle che senza esagerare, come 50 anni fa con le mutue, possono portarci all’infarto.
Per Speranza a giudicare dalle sue proposte non c’è nessun pericolo di infarto, per lui, la sanità può tranquillamente mangiare e bere come ha sempre fatto, tanto non succederà mai niente di serio e di irreversibile. Tirerà a campare, lungo la strada perderà dei pezzi ma in un modo o nell’altro se la caverà.
Poi, però, può accadere che mentre meno te lo aspetti, probabilmente quando Speranza non sarà più ministro della Salute, è possibile che arrivi il coccolone. Magari con un bel combinato disposto: un cambio del quadro politico, condizioni economiche sfavorevoli, evidenti problemi di sostenibilità un po’ di neoliberismo di troppo …e voilà… c'est fait. Seperderemo la sanità pubblica ovviamente non sarà colpa del “riformista che non c’è” ma solo del destino.
Una scelta strategica sbagliata
Le linee programmatiche del ministro Speranza a me sono apparse come una sorta di “inventario di magazzino” quindi una sorta di elenco delle “giacenze” da mettere a bilancio esattamente come un costo da ammortizzare.
Il nodo politico che accomuna la Grillo a Speranza tuttavia è la scelta strategica.
La Grillo fin dall’inizio disse che si sarebbe occupata dell’ordinario quindi disse di voler amministrare meglio degli altri, lo status quo, Speranza dichiara la stessa cosa.
"Le mie linee programmatiche saranno radicate nell’impianto costituzionale del nostro Paese. Non va inventato un programma ma seguito quello che i padri costituenti hanno indicato con l’articolo 32”.
Ma signor ministro lei evidentemente ignora che tra l’art. 32 e i giorni nostri, c’è stato il crollo del sistema mutualistico, una riforma di sistema, poi una riforma della riforma e poi una riforma della riforma della riforma e che, alla fine di questo percorso, il diritto alla salute da, diritto economicamente incondizionato, è diventato economicamente condizionato e alla fine economicamente subordinato, fino a giustificare e a autorizzare i tagli lineari, il definanziamento programmato, l’apertura al privato, gli incentivi fiscali al welfare aziendale e ai fondi integrativi, spianando la strada al sistema multipilastro e al regionalismo differenziato.
Tutte cose che possono portare la sanità all’infarto, ma di cui lei incomprensibilmente nella sua audizione non ha parlato. Perché?
Anche lei sulle mutue e sul rapporto privato pubblico e sul regionalismo differenziato sta facendo, per caso il pesce in barile come chi l’ha preceduta? La informo che i suoi alleati di governo con il “decreto crescita” hanno parificato i fondi integrativi e le mutue al non profit, definendoli quindi “enti non commerciali” e che nel Patto per la salute che, lei ha ereditato dalla Grillo e che pedissequamente ha inviato alle regioni, vi è un articolo che dice che per problemi di sostenibilità bisogna incentivare le mutue e affini.
Ma di quale battaglia culturale parla?
Lei signor ministro parla di fare “una battaglia culturale” al fine di considerare la salute un investimento e non una spesa, a scanso di equivoci le dico subito che io ero già d’accordo con lei prima che lei nascesse. E’ una vecchia storia. Lo dicono tutti i ministri per avere qualche soldo in più.
Ma per fare quella che lei chiama, troppo semplicemente, una “battaglia culturale” bisogna ripensare quindi riformare alcune scelte politiche fatte sostanzialmente dal Pd che vanno esattamente nella direzione di considerare la sanità una spesa e non un investimento. Cioè bisogna andare contro corrente. Ne è capace? Ha voglia di farlo? Lo farà?
Nella riforma ter, che i suoi consiglieri conoscono bene perché alcuni di essi l’hanno scritta insieme alla Bindi, indimenticabile ministro della sanità di sinistra probabilmente ancora oggi il più amato, a parte perfezionare in senso privatistico una idea sbagliata di azienda per la quale, soprattutto se regolata dal diritto privato, la salute diventa solo un costo (art. 3), (a proposito ministro con quale azienda secondo lei la salute può diventare una ricchezza? Ci ha pensato?), a parte dare una mano ai fondi integrativi e sostitutivi dei Lea quelli per intenderci che hanno spianato la strada al welfare aziendale (art. 9), nell’art. 1, punto 3 si dice testualmente: “L'individuazione dei livelli essenziali e uniformi di assistenza (…) è effettuata contestualmente all'individuazione delle risorse finanziarie destinate al servizio sanitario nazionale, nel rispetto delle compatibilità finanziarie definite per l'intero sistema di finanza pubblica”.
Se la sente di mettere in discussione questa politica? Cioè di cambiare musica? Perché se non cambia la musica i suoi buoni propositi sono solo chiacchiere.
Caro Ministro
Caro ministro, per fare la battaglia che lei auspica bisogna uscire dalla trappola della compatibilità in cui siamo finiti e riformare di sana pianta l’idea di sostenibilità che si è drammaticamente consolidata prima di tutto nella sinistra di governo, di riforma in riforma.
Si può fare? La risposta è sì, ma serve ciò che i suoi consiglieri le consigliano di non fare cioè mettere in campo un pensiero riformatore, quello che nel 2016 mi sono permesso di chiamare “La quarta riforma”.
Ha mai sentito parlare di compossibilità? Qualcuno le ha mai detto che accrescendo il grado di adeguatezza del sistema si possono eliminare un bel po’ di diseconomie e quindi si può fare sostenibilità? E che per accrescere il grado di adeguatezza del sistema la strada preferita dagli “amministratori” è la meno indicata perché quello che serve è davvero una profonda riforma culturale?
L’adeguatezza di un sistema è, prima di tutto in una società che cambia, una questione culturale. E che gli amministratori le riforme culturali non le sopportano ma solo perché ne sanno meno di niente e quindi sarebbero tagliati fuori? Lo sa che nonostante tre riforme alcune cose fondamentali del sistema non sono mai cambiate? Ha mai sentito parlare di invarianze? Lo sa che le invarianze sono all’origine di buona parte dei problemi di sostenibilità? Pensi solo all’ ospedale che con il suo regolamento (Dm 70) si regge ancora sui parametri di una legge del 1968? Una riforma mai riformata da nessuna altra riforma (sic).
Caro Ministro lei è giovane e come uomo di sinistra dovrebbe essere un naturale riformatore, entrare o uscire dalla storia è affar suo ma proteggere la sanità è affar nostro, in entrambi i casi lei dovrebbe completare un processo riformatore senza il quale, creda a me, la strada della controriforma è inevitabile.
Guardi che i rischi di beccarci un infarto ormai sono tutt’altro che teorici le ricordo: il regionalismo differenziato, l’idea di una sanità privata complementare incentivata dallo Stato, il carattere regrediente delle nostre tutele, la crisi fiduciaria delle persone, la crisi profonda di professioni come quella medica che è il segno di una crisi più profonda del sistema, organizzazioni anacronistiche dei servizi, la crescita della spesa privata e tante altre cose.
Mi meraviglia che in audizione lei non abbia posto come priorità strategica il problema della messa in sicurezza della sanità pubblica cioè non abbia dichiarato la necessità di mettere mano a quella che io insisto a chiamare da anni la “quarta riforma” per riformare ciò che in 40 anni non abbiamo mai riformato ma che avremmo dovuto riformare e che se fossimo davvero dei riformatori dovremmo riformare. Ma probabilmente nessuno dei suoi glielo ha suggerito.
Le rivelo un segreto che i suoi bravi collaboratori convinti tutti di essere dei grandi onesti riformatori non ammetteranno mai: tutti i nostri guai derivano dal fatto che abbiamo riformato troppo poco, male, e a volte commettendo terribili sbagli. Cioè di non aver risposto come avremmo dovuto ai cambiamenti del mondo. Ometto gli esempi.
Ma fino ad ora, caro ministro, nessuno di noi ha avuto il coraggio di fare un bilancio delle nostre temerarie imprese riformatrici. Sono 40 anni che si va avanti senza fare mai la minima autocritica. Così la sanità è piena di riformatori infallibili, ma le cose vanno sempre peggio e nessuno è mai responsabile di niente come se tutto quello che è stato fatto in sanità in questi 40 anni, fosse imputabile a mia nonna.
Un ultimo consiglio si legga “la quarta riforma” anche questo è scaricabile gratis da questo giornale. L’aiuterà a farsi una propria idea della sanità senza la quale anche lei, mio caro ministro, proprio perché non andrà da nessuna parte, ci farà finire nelle peste.
La prego legga, studi, cerchi di capire, sia insaziabilmente curioso di scoprire le verità nascoste, rimosse, negate, e si ricordi che oltre i suoi fidati “compagni”, esiste uno sterminato mondo di idee, ma faccia presto e poi torni in Parlamento a dirci cosa intende fare. Nel frattempo epochè.
Ivan Cavicchi
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