quotidianosanità.it
stampa | chiudi
Giovedì 08 MARZO 2012
Medicina di genere. Diventare mamme anche con la sclerosi multipla
Il problema secondo gli esperti non è solo fisico e clinico, ma anche psicologico. Soprattutto non ci sono ancora trial e farmaci tarati specificamente sulle differenze di genere. Un mix di ragioni che non permette ancora alle donne affette dalla patologia di avere una gravidanza serena.
Sembra proprio che per la medicina di genere in Italia si stia finalmente muovendo qualcosa. Dopo il manifesto della medicina di genere pubblicato appena qualche giorno fa (leggi su Quotidiano Sanità) arriva una nuova iniziativa, un convegno che ha avuto luogo questa settimana alla Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, che ha affrontato da diversi punti di vista il problema di come diventare mamma con la sclerosi multipla. Esperti del settore hanno discusso di pratica clinica e farmacologia, ma anche dell’aiuto ad una scelta di maternità consapevole che deve essere offerto alle donne affette dalla patologia.
“La medicina va nella direzione di una sempre maggior attenzione alla persona, in questo caso di genere femminile, oltre che alla patologia in sé”, ha infatti detto nell’introduzione all’evento Pierluigi Zeli, direttore generale della Fondazione Besta. “Lo studio delle diverse patologie e l’evoluzione della farmacologia prendono sempre di più in considerazione le specificità del paziente, anche partendo, ad esempio, dalla semplice considerazione che il funzionamento dell’organismo femminile è notoriamente diverso da quello maschile, ma questo convegno, giustamente, intende affrontare anche tematiche sociali legate alle difficoltà e agli ostacoli che pazienti e loro famigliari sono costretti a superare nella vita di relazione”.
Ecco perché questa edizione ha focalizzato l’attenzione sulla sclerosi multipla, vista da una prospettiva di genere: la patologia determinata dalla perdita di mielina del sistema nervoso a seguito di un’alterazione nella risposta del sistema immunitario, con la conseguente formazione di lesioni (placche) che possono evolvere da una fase infiammatoria iniziale a una fase cronica, determinando la sclerosi. “Poiché la sclerosi multipla è una malattia che colpisce principalmente le giovani donne in età fertile o che hanno già costruito una famiglia è chiaro che la malattia influenza non solo la persona che ne viene colpita ma, anche, coloro con cui convive. Sono anche queste le cose di cui dobbiamo tenere conto quando ci occupiamo di queste patologie”, ha affermato Barbara Garavaglia, presidente del C.U.G del Besta
Ogni anno sono infatti circa 1.800 le persone a cui viene diagnostica la sclerosi multipla, di cui più di 1.300 sono donne. Nel mondo, si contano circa 3 milioni di persone con la malattia, di cui 400.000 in Europa e circa 63.000 in Italia. La patologia è diagnosticata per lo più tra i 20 e i 40 anni e le donne risultano colpite in numero quasi triplo rispetto agli uomini. Si stima quindi che in Italia ci siano più di 40.000 donne affette da sclerosi multipla, 7.000 in Lombardia, di cui circa la metà nell'area metropolitana milanese.
“Anche la scelta se avere un figlio diventa difficile”, ha argomentato Andrea Giordano, psicologo della Fondazione Besta. “Tante, infatti, sono le domande che mi sento rivolgere: Corro un rischio di mettere al mondo un figlio malato? Sarò in grado di prendermi cura di un figlio? Come curarmi in gravidanza? Posso curarmi in gravidanza e cosa rischia il feto? A tutte queste domande al Besta abbiamo cercato di rispondere realizzando un opuscolo, in collaborazione con l’Associazione Italiana Sclerosi Multipla (AISM), già collaudato con successo in Australia, per aiutare le pazienti a fare una scelta consapevole di maternità”.
Secondo gli esperti intervenuti all’incontro, il problema infatti non è solo fisico o clinico, ma può essere anche psicologico. “Alcuni sintomi della SM ad esempio, come la fatica, possono essere fonte di incomprensione o fraintendimento” ha dichiarato Alessandra Solari, neurologa del Besta. “La fatica è spesso considerata come svogliatezza o come mancanza di interesse a fare insieme attività che prima si svolgevano normalmente. Ecco che la coppia entra in crisi, i figli non capiscono perché la mamma od il padre appaiono cambiati”.
Altro tema affrontato ha poi riguardato la farmacologia di genere,con esempi di medicinali in commercio che funzionano diversamente e non sempre bene sulle donne. “Il genere condiziona non solo la patologia, ma anche le terapie, e influenza sia il percorso dei farmaci all'interno dell'organismo umano sia il loro meccanismo d'azione”, ha sostenuto Simona Montilla dell’Agenzia Italiana del Farmaco. “I farmaci, lipofili, ad esempio, che hanno una maggiore affinità per i lipidi, hanno un volume di distribuzione più ampio nelle donne a causa della presenza maggiore di grassi, circa il 25%, nel corpo femminile rispetto a quello maschile. C’è anche, inoltre, il fattore peso: le donne pesano normalmente circa il 30% in meno degli uomini e quindi, a parità di dosaggio, la quantità di principio attivo che assumono in proporzione al peso è maggiore”.
Nonostante la differente risposta alle terapie farmacologiche e sebbene le donne consumino circa il 40% di farmaci in più rispetto agli uomini, in Italia, secondo i dati dell'AIFA, la popolazione femminile è del tutto assente nelle sperimentazioni dei farmaci di Fase I, che servono a capire se le nuove molecole sono sicure e quale potrebbe essere il loro meccanismo d'azione, e quasi del tutto esclusa da quelle di Fase IV, cioè le analisi condotte sui pazienti dopo che il farmaco è stato messo in commercio. “Donne e uomini possono rispondere diversamente ad alcuni tipi di farmaci. Esempio nell'ambito del trattamento dell'ipertensione, i farmaci calcio-antagonisti sembrano più efficaci nelle donne nel ridurre la pressione arteriosa; al contrario, gli ACE-inibitori sembrano in grado di ridurre significativamente la mortalità tra gli uomini, ma non tra le donne”, ha spiegato ancora Montilla. “Altro esempio: nella terapia della depressione, le donne sembrano rispondere meglio agli inibitori della ricaptazione della serotonina, mentre gli uomini trarrebbero maggiori benefici con gli antidepressivi triclici”.
La mancanza di studi specifici sulle donne, soprattutto nelle fasi precoci della ricerca, produce due importanti conseguenze: non consente di misurare la reale efficacia dei farmaci rispetto ai diversi generi e può limitare la scoperta di farmaci specifici per le donne. Oggi negli USA le donne sono obbligatoriamente inserite nei trial clinici e la Food and Drug Administration americana (FDA) ha istituito un ufficio che si occupa specificamente della salute delle donne e della loro partecipazione agli studi.
Ma, come già detto, qualcosa si sta muovendo anche in Italia. “Dopo l'insediamento nel 2007 presso il Ministero della Salute della 'Commissione Salute delle Donne', nel 2008 l'Istituto Superiore di Sanità ha dato avvio ad un progetto strategico incentrato sull'impatto delle terapie a seconda del genere”, ha detto Arianna Censi dell’Associazione Donne in Rete. “Lo scopo è quello di arrivare a cure più appropriate per le donne. Ma anche, di conseguenza, di ottenere risparmi per il Servizio Sanitario Nazionale”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA