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Giovedì 10 OTTOBRE 2019
Riforma 118, non si può fare senza gli infermieri
Gentile Direttore,
come presidente della neo costituita Società Italiana Infermieri di Emergenza Territoriale non posso non plaudire alla, seppur tardiva, volontà di mettere finalmente mano al sistema di emergenza territoriale 118 testimoniata nella mozione presentata recentemente al Senato. Il sistema, come ognuno di noi ha ben presente, è quanto di più variegato e disomogeneo si possa immaginare. Questo non solo a livello nazionale ma anche all’interno di singole regioni, o addirittura porzioni di regione, o aree vaste. La risposta che questo sistema fornisce al bisogno di salute della cittadinanza finisce con il fornire standards qualitativi e quantitativi totalmente diversi ponendo, oltre all’evidente disagio per gli utenti, una problematica di tipo etico che dovrebbe toccare tutti i professionisti in genere e, con maggior forza, coloro che hanno potere decisionale in materia.
Purtroppo la logica del “feudo”, ancora ben radicata, oltre ad una scarsa vision politica a livello centrale e regionale, unite ad una volontà evidente, da parte di taluni, di mantenimento di una insensata e dannosa protezione di casta, ci hanno portati, e tenuti per decenni, in questa situazione.
Nella mozione si parla dell’ “istituzione del modello organizzativo di base del SET-118 nazionale su base dipartimentale”. Crediamo che sia una buona base di partenza per una discussione, su un obbiettivo che potrebbe forse diventare comune. L’obbiettivo si indebolisce, però, nel momento in cui questa discussione non viene portata avanti insieme da tutti gli attori, uniti e marcianti in un’unica direzione.
Auspicheremmo una discussione comune, che veda alla fine espresse posizioni condivise e non solo quelle, seppure autorevolissime, di una società scientifica, di una associazione di consumatori e di una singola federazione nazionale.
Nella discussione, a nostro avviso, dovrebbero essere rappresentate tutte le aree, ivi compresa quella infermieristica, rappresentante una parte imprescindibile ed insostituibile del sistema. Ancora una volta, invece, qualcuno pone sul tavolo della politica il suo modello, in solitaria, senza un reale confronto preventivo con tutti gli interlocutori. Il rischio è di arrivare ad una riforma più cosmetica che sostanziale, proprio perché non condivisa a priori.
Sul sistema 112, su cui sarebbe necessario fare maggiore chiarezza sulla reale ricaduta in termini di outcomes, dati alla mano, mettendo finalmente da parte le posizioni preconcette pro o contro, non si comprende del tutto il razionale per cui gli estensori del documento intendano opportuno porre il numero unico di emergenza accanto, e non a sostituzione, agli attuali numeri di emergenza, pur lasciando intonse le attuali centrali operative. Perché non centralizzare tecnologie come quella della geolocalizzazione in una unica centrale, quella 112, e prevedere invece che queste siano in ogni centrale 118? Perché, detto diversamente, spendere di più se lo stesso risultato - esistono reti telefoniche, informatiche, ecc. - lo si può ottenere a costo minore utilizzando il risparmio, magari, per cose a volte dimenticate come, per dirne una, la formazione del personale?
Anche sul discorso del mezzo ALS, medico-infermieristico, stabilito per 1/60000 abitanti, è necessario puntualizzare alcune cose: Ovviamente uno standard, peraltro già previsto, ma applicato poco e male, dal D.M. 70/2015 è necessario. Ottimo dare una standardizzazione di presenza dei professionisti congiunti ed eroganti un terzo livello di soccorso. E’ necessario però, prima di questo, tenere conto di altri fattori che una simile standardizzazione, troppo rigida, non può contemplare. Non tutti i territori sono uguali da un punto di vista orografico o di distribuzione della popolazione in esso ne, tanto meno, di distribuzione e tipologia di assistenza ospedaliera (presenza di centri hub o spoke o di semplici punti di primo soccorso).
Ecco quindi che si comprende molto bene come sia necessario distribuire molto attentamente i punti di emergenza nel territorio tenendo conto di quali devono essere i livelli di assistenza erogabili e del fatto che non tutti i pazienti che accedono al sistema di emergenza, per fortuna, necessitano della diade medico-infermiere. Necessario quindi riportare la discussione anche sui due livelli sottostanti e sul loro dispiegamento ed utilizzo corretto nel sistema.
Un discorso a parte meriterebbe poi l’annosa questione di cosa si intenda per supporto vitale avanzato. Dal documento pare che si leghi la sigla ALS, fatta passare con la dizione “mezzo avanzato”, alla sola presenza di medico ed infermiere congiunti. Limitativo e non sostenuto dalla letteratura internazionale, oltre che dall’attuale normativa. Qualcuno vuole forse limitare l’azione di tutti quei mezzi con solo medico e soccorritori, o solo infermiere e soccorritori, con i quali garantiamo l’operatività ed il soccorso ALS di molti sistemi regionali e, specie con la seconda tipologia, quella infermieristica, con ottimi risultati?
Proprio dei livelli di assistenza in questo documento si parla poco. Questi, invece, a nostro parere, dovrebbero essere molto meglio definiti, superando le barriere ideologiche e anacronistiche sulle competenze professionali che a nulla stanno portando se non ad un aumento della conflittualità interprofessionale.
In sintesi un documento, con molte cose condivisibili e altre da rivedere, da mettere in una piattaforma di discussione politica ed interprofessionale, non limitandosi peraltro alla sola area sanitaria, senza fughe in avanti, per cercare davvero di cambiare, tutti insieme e senza solisti, un sistema che non può più attendere.
Roberto Romano
Presidente SIIET
Società Italiana Infermieri di Emergenza Territoriale
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