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Giovedì 01 MARZO 2012
L'appello dalla Conferenza nazionale sul Welfare: “Stato sociale è investimento non una spesa” 

‘Cresce il welfare, cresce l'Italia’. Il titolo della Conferenza nazionale sullo stato sociale apertasi oggi a Roma è emblematico e fa capire qual è la direzione intrapresa dai promotori dell’evento che chiedono a gran voce “un confronto permanente tra Regioni, enti locali, organizzazioni sociali e Terzo settore”. 

Si è aperta oggi a Roma presso il Centro congressi Frentani, la Conferenza nazionale 'Cresce il welfare, cresce l'Italia’, organizzata da cinquanta organizzazioni sociali del nostro Paese, tra cui Cgil e Inca. “I nostri obiettivi sono chiari, sono stati esplicitati nel 'Manifesto’ al quale hanno aderito le organizzazioni promotrici di questa iniziativa. Ci sono chiare anche le possibili soluzioni. È a fronte di ciò che proponiamo una sede di confronto permanente tra Regioni, enti locali, organizzazioni sociali, Terzo settore, che parta dall'esperienza dell'Osservatorio 328 o un’altra, ma purché sia innovativa”. Così Nicoletta Teodosi, a nome del Comitato promotore, ha introdotto questa mattina i lavori della Conferenza nazionale 'Cresce il welfare, cresce l'Italia’.
“Ciò che sta accadendo in questi mesi - ha rimarcato la Teodosi - sta mostrando tutta la fragilità del sistema Italia. Dovranno passare ancora anni affinché si possa dire che la crisi di fatto è passata. Per ora, possiamo ascoltare solo di previsioni e a queste affidarci. Nel frattempo, milioni di persone vivono nella condizione che tutti conosciamo perché la viviamo direttamente, la leggiamo, la ascoltiamo, la vediamo”.
Ma ciò che i promotori tendono a rimarcare con forza è come “il welfare sia un’evoluzione culturale, un investimento sociale e produttivo di cui beneficiano il mercato, il settore pubblico e privato, profit e non profit, le persone di ogni età, di ogni condizione, di origine culturale senza distinzione alcuna. Ridurlo a spesa sociale è sbagliato, è piuttosto l'investimento sociale per eccellenza. È la garanzia di un’occupazione di qualità, per l'accesso ai servizi sociali e sanitari per tutti coloro che ne fanno richiesta, anche contribuendo secondo le proprie possibilità; è la garanzia per l'accesso a una istruzione e formazione inclusive, servizi pubblici efficienti più rispondenti ai bisogni che non ai limiti dell'offerta”.
In ogni caso per la Teodosi “il modello di Stato sociale che conosciamo non va più bene, ma siamo disposti a lavorare per costruirne uno nuovo, a patto che si riveda anche il modello di sviluppo, che non può essere basato solo sulla crescita, la competitività, il rigore. Noi siamo qui proprio per ripensare a un nuovo modello sociale, in una visione allargata e integrata”. “Ciò che chiediamo di conoscere, o almeno vorremmo capire, è quali sono gli obiettivi del governo e del Parlamento - ha concluso - sui questi temi, quali le misure per favorire e garantire una vita dignitosa alle persone più vulnerabili o a rischio di esclusione sociale”.
 
Dieci regole per l’integrazione socio-sanitaria
Per quanto attiene i temi più strettamente sanitari legati all’assistenza durante i lavori della Conferenza nazionale sul Welfare, sono state evidenziate le criticità dell’integrazione socio-sanitaria come pure dieci regole per favorire il processo di integrazione.
Le criticità o gli ostacoli dell’integrazione socio-sanitaria, segnalate e sintetizzate in un abstract a cura di Franco Pesaresi, direttore Asp ambito Jesi (An) risultano essere l’insufficienza dei finanziamenti pubblici, la complessità del sistema, l’assenza di responsabilità, il ruolo preponderante dell’offerta, le poche risorse umane formate per l’integrazione.
Per superare queste difficoltà e ricreare un vero e proprio sistema socio-sanitario-assistenziale all’avanguardia, l’abstract segnala dieci regole che potrebbero favorire il processo: Devono essere innanzitutto le Regioni a stabilire delle regole per l’integrazione, aspetto che si è verificato solo in 8 regioni che hanno definito le regole dell’integrazione e ripartito i costi tra i vari soggetti protagonisti. Secondo punto, le Regioni devono coinvolgere gli enti locali nella definizione dei criteri per l’integrazione. Terza regola, riguarda invece l’adozione di incentivi finanziari quali strumenti per implementare l’integrazione. Quarto aspetto è quello che indica come l’integrazione si può realizzare se il livello territoriale sociale coincide con il distretto sanitario. La quinta regola, segue la precedente indicando come l’integrazione si raggiunge se distretto sanitario e territorio adottano la medesima strategia di programmazione. Sesta regola, specifica come l’integrazione socio sanitaria si può realizzare se la valutazione dei bisogni e la definizione del percorso assistenziale vengono effettuate in modo congiunto dalla Asl e dal Comune. La settima proposta riguarda l’assunzione di responsabilità di coordinamento nel momento in cui le prestazioni erogate agli utenti dipendono da due enti differenti e in questo caso rilevanza viene data alla figura del case manager. L’ottavo punto, invece, segnala l’importanza di costruire un sistema informativo integrato tra tutti i soggetti protagonisti. La nona regola che si dovrebbe seguire segnala anche come la normativa che regola i rapporti tra comuni e asl debba essere più analitica e precisa nel definire i ruoli e i meccanismi organizzativi. Ultima regola suggerita, infine, attiene al necessario mutamento culturale di approccio sulla materia: meno rigidità e isolazionismo a fronte di un maggiore lavoro d’équipe.

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