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Martedì 25 GIUGNO 2019
Medicina di genere. Perché nel Piano del Ministero non si parla di salute e sicurezza sul lavoro?
Del lavoro delle donne si parla soltanto nel periodo della gravidanza, in rapporto esclusivamente ai rischi del nascituro. Anche la tutela della fertilità di coppia rispetto ai possibili rischi occupazionali, ha una scarsa attenzione. Anche gli infortuni e le malattie professionali che riguardano le donne non sono sufficientemente presi in considerazione. Ancora minore è l’attenzione data agli eventi patologici connessi ai lavoro domestici
Nel Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere, pubblicato dal Ministero della Salute il 21 giugno scorso, manca un chiaro cenno anche ai percorsi di prevenzione, a nostro avviso senza esclusione di quelli previsti anche nel Testo Unico 81/2008 sulla salute e sicurezza del lavoro.
“Il piano, dice, infatti, il Ministero della Salute nella presentazione, si propone di fornire un indirizzo coordinato e sostenibile per la diffusione della Medicina di Genere mediante divulgazione, formazione e indicazione di pratiche sanitarie, che, nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura, tengano conto delle differenze derivanti dal genere, al fine di garantire la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni erogate dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in modo omogeneo sul territorio nazionale.”
Del lavoro delle donne si parla soltanto nel periodo della gravidanza, in rapporto esclusivamente ai rischi del nascituro. Anche la tutela della fertilità di coppia rispetto ai possibili rischi occupazionali, ha una scarsa attenzione. Anche gli infortuni e le malattie professionali che riguardano le donne (come le dermatosi e i disturbi muscoloscheletrici) non sono sufficientemente presi in considerazione. Ancora minore è l’attenzione data agli eventi patologici connessi con il lavoro domestico, in particolare gli infortuni. Scarsa è poi l’attenzione alla diversa risposta biologica delle donne ai comuni rischi lavorativi come il lavoro pesante, il lavoro a turno, la tossicocinetica.
Lo stress patologico è associato esclusivamente al lavoro produttivo, senza considerare il maggior rischio psico-sociale che colpisce le donne e che è dato dal doppio carico di lavoro, come evidenziato sempre dal Ministero della Salute quando viene descritto l’approccio alla tutela della salute delle lavoratrici. Non a caso sono ben otto gli articoli del Decreto Legislativo 81 del 2008 che riguardano, appunto, la tutela della salute citando anche il genere femminile, (1,6,8,28.40,183,190, 202) cui il legislatore ha richiamato il datore di lavoro a rivolgere un’attenzione specifica, perché fosse particolarmente protetto durante l’attività lavorativa.
La precarietà del lavoro femminile in più occasioni è stata evidenziata senza una precisa risposta rispetto alle attività lavorative svolte dagli uomini: problemi muscolo scheletrici delle donne ancora sottovalutati rispetto a quelli dei colleghi dell’altro sesso; discriminazione nell’accesso degli indennizzi; maggiore incidenza infortunistica delle donne se chiamate in lavori maschili; dispositivi di protezione individuali (DPI) non concepiti ancora per il genere femminile; mancano studi mirati in cui viene approfondita una relazione tra tossici industriali e menopausa.
A questo quadro vanno aggiunti altri aspetti di salute indiretti quali i diversi livelli di formazione nei due generi, in quanto alle donne il doppio carico (impegno familiare e lavoratrice) sottrae tempo per la formazione, anche per la salute e sicurezza e il tempo extralavorativo difficilmente può essere impiegato in questa direzione. Un’altra criticità per le donne sarebbe generata anche dalla diversa esperienza femminile nel mondo del lavoro, troppo recente per avere acquisito sufficiente “cultura” nei processi decisionali in un quadro di valori che può esprimere differenze da quello maschile generando maggiori conflitti.
Occorre partire per attivare idonei percorsi preventivi dalle “buone pratiche” orientate al genere, tenendo presente quanto sottolineato già dal 2003 dall’Agenzia Europea per la Salute e la Sicurezza sul lavoro (Osha-EU), la Facts n.42 ed un Manuale di 260 pagine dove vengono elencati i settori lavorativi dove l’elevata presenza femminile necessita di per sé un’attenzione specifica: rischio biologico (agenti infettivi, polvere organica e spore); rischio chimico (agenti detergenti, disinfettanti, gas anestetici, farmaci, coloranti, solenti, piombo, silice, pesticidi, ridotta qualità dell’aria); rischio fisico (movimentazione manuale dei carichi, posizioni di lavoro faticose, cadute e scivolamenti, temperature fredde o calde, rumore, movimenti ripetitivi, posizione di lavoro fissa); rischio psico-sociale (lavoro che richiede impegno emotivo, lavoro in ore diverse da quelle socialmente condivise, violenze e aggressioni da utentiu, lavoro monotono e ripetitivo, lavoro frenetico, lavoro a prestazione, lavoro senza controllo, interruzioni frequenti).
Va inoltre considerato che, nell’ambito delle previsioni europee basate sul parere degli esperti sui rischi psicosociali, si sottolineano come rischi emergenti legati alla condizione femminile quali: le nuove forme di contratto di lavoro e l’insicurezza del posto di lavoro; l’invecchiamento della forza lavoro; l’intensificazione del lavoro e il già noto elevato coinvolgimento emotivo sul lavoro. Per finire occorre evidenziare quale elemento inconscio di insoddisfazione delle donne quello che svolgono, più spesso degli uomini, lavori non retribuiti come l’assistenza ai famigliari malati, nonché le cure parentali alle quali dedicano, mediamente, tre volte il tempo degli uomini.
Anche l’INAIL in un manuale di 160 pagine del 2011 richiama l’attenzione sulla salute e sicurezza sul lavoro definendola questione di genere. Alcuni esempi per individuare i rischi di genere: considerare i rischi più frequenti nelle mansioni prevalentemente maschili e in quelle femminili; considerare tanto i rischi per la salute quanto quelli per la sicurezza; chiedere in forma strutturata sia alle donne che agli uomini quali problemi incontrano nel lavoro; evitare di considerare qualsiasi elemento come scontato o futile in partenza; non tralasciare i lavoratori part-time, a contratto temporaneo o interinali; esortare le donne a riferire ogni cosa, che, a loro giudizio, potrebbe incidere sulla loro salute e sicurezza sul lavoro; considerare le effttive mansioni svolte nel contesto lavorativo; coinvolgere le lavoratrici nella valutazione dei rischi; prestare attenzione ad ogni aspetto di genere ove siano in programma modifiche che interessano il luogo di lavoro. Ad esempio: interfaccia casa-lavoro e orari di lavoro, sviluppo della carriera, molestie, fattori di stress emotivo, interruzioni improvvise.
Ecco perché sarebbe utile prevedere nell’Osservatorio dedicato alla Medicina di Genere, previsto nel Piano e di prossima istituzione uno spazio, anche se minimo, dedicato alla salute e sicurezza sul lavoro di genere.
Domenico Della Porta
Docente di Medicina del Lavoro Uninettuno Roma
Presidente Osservatorio Nazionale Malattie Occupazionali e Ambientali Università di Salerno
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