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Sabato 15 GIUGNO 2019
Dat. Anelli (Fnomceo): “La legge dà maggiore forza al diritto del cittadino ma pone dei problemi a livello applicativo”

"Tra le cose da migliorare della legge ci dovrebbe quindi essere l’indicazione obbligatoria di un fiduciario. Il medico, come garante dei diritti dei cittadini e intermediario tra cittadino e Stato deve essere poi messo nelle condizioni di svolgere quel ruolo centrale che la legge gli conferisce". Così il presidente Fnomceo e dell'Omceo di Bari nel corso del convegno sulle Dat promosso a Bari.

Si è tenuto oggi presso l’Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri della Provincia di Bari il Convegno “Le Dat: fine vita e testamento biologico alla luce della L. 219 del 22 dicembre 2017 e della L. Regione Puglia n° 253 del 16 gennaio 2019”. L’incontro, introdotto da Franco Lavalle - Vice Presidente Omceo Bari e Angelo Vacca - Professore ordinario di Medicina Interna Università di Bari, ha rappresentato l’evento conclusivo del VII anno della Scuola di Etica Pubblica e ha toccato gli aspetti legislativi, medico-legali ed etici coinvolti dalle Dat, le disposizioni anticipate di trattamento.
 
“Il principio espresso dalle Dat era già presente nel codice deontologico del 2014 - in cui il medico deve tener presente la volontà del paziente - quindi rappresentano un dato ampiamente acquisito per i medici. Il passaggio da un diritto mite come quello deontologico ad un diritto positivo dà maggiore forza al diritto del cittadino ma pone dei problemi a livello applicativo, per esempio rispetto al consenso, che diventa un atto sempre più burocratizzato e sempre più esposto a contenziosi legali.” - ha spiegato Filippo Anelli, Presidente Fnomceo (Federazione nazionale degli Ordini dei medici) e Presidente dell’Ordine dei medici di Bari.
 
“Una questione rilevante è quella del fiduciario, perché la sua presenza nel momento in cui il paziente non è cosciente consente di prendere decisioni molto rapidamente e di rispettare le scelte del cittadino. Tra le cose da migliorare della legge ci dovrebbe quindi essere l’indicazione obbligatoria di un fiduciario. L’altro tema importante - ha aggiunto Anelli - è comprendere cosa il cittadino dichiara, in piena consapevolezza. Lo spirito della legge rinvia il momento della dichiarazione ad un colloquio con il medico, ad un tempo di dialogo ed ascolto. Proprio quel tempo di cura che al momento non è assicurato ai medici, per il numero ridotto degli operatori sanitari e per la mole di lavoro conseguente. Tutto questo si traduce nella impossibilità di assicurare ai cittadini quelle informazioni necessarie a fondamento di un rapporto di qualità tra medico e cittadino. Chi fa allora questo lavoro di profonda applicazione della norma che permetterebbe ai cittadini di assumere decisioni in piena consapevolezza? Il medico, come garante dei diritti dei cittadini e intermediario tra cittadino e Stato in questo processo deve essere messo nelle condizioni di svolgere quel ruolo centrale che la legge gli conferisce.”
 
Un tema, questo, ripreso da Tommaso Fiore, già Professore di anestesia e rianimazione Università di Bari, che ha evidenziato l’asimmetria tra paziente e medico a livello di conoscenza, e come la legge cerchi di mediare: la decisione spetta al paziente, ma se il medico è convinto che il paziente abbia preso una decisione in carenza di informazione, perché per esempio sono subentrate novità a livello medico-scientifico, deve essere avviato un nuovo percorso per il consenso del paziente. Qui, in questa dimensione negoziale con il cittadino - sottolinea Fiore - sta il nuovo ruolo del medico, in un contesto sociale profondamente mutato. Un punto ribadito da Vito Antonio Delvino, Direttore Istituto tumori di Bari - Irccs Giovanni Paolo II, convinto che la legge avrebbe dovuto avere il coraggio di sottolineare come al centro del momento della scelta ci debba essere il medico, colui che ha le competenze per affrontare le scelte di fine vita e dovrebbe quindi affiancare e sostenere il paziente in un momento così difficile.
 
Don Ciccio Savino, Vescovo di Cassano Ionio, ha sottolineato come la posta in gioco sia sempre la persona malata, che non è solo biologia ma anche biografia: “Nel nostro paese manca la cultura dell’alleviamento del dolore. Più noi investiremo culturalmente nelle cure palliative, meno ci sarà richiesta di eutanasia. Ancora oggi solo una fascia del 30% accede alle cure palliative, nonostante una legge importate come la legge 38. La preoccupazione sovrana dovrebbe essere assicurare la migliore qualità di vita possibile anche nel morire. Il dolore in sé è insensato, sovente abbrutisce e offende la dignità della persona. In ogni caso la legge non può normare tutte le situazioni e occorrerà valutare caso per caso con attenzione all situazione complessiva del paziente, obbedendo sempre alla coscienza.”

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