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Martedì 04 GIUGNO 2019
ASCO 2019. Tumore pancreas: terapia a target raddoppia la sopravvivenza libera da malattia nei pazienti BRCA mutati
Sono risultati definiti dagli esperti ‘epocali’ e forse ‘game changing’, quelli ottenuti dallo studio POLO: L’olaparib, un PARP inibitore, dimezza il rischio di progressione del tumore del pancreas metastatico BRCA-mutato. La sopravvivenza libera da progressione di malattia nei pazienti trattati è stata di 7,4 mesi, contro i 3,8 mesi del gruppo di controllo. A distanza di due anni, il 22,1% dei pazienti trattati con olaparib non presentava ancora progressione di malattia, contro il 9,6% del gruppo di controllo
La cosiddetta ‘mutazione Jolie’ (BRCA1 e 2) diventa ufficialmente un target terapeutico anche per quel sottogruppo di pazienti con tumore del pancreas metastatico portatore di queste mutazioni (circa il 7-8% del totale). A rivelarlo sono i risultati di uno studio di fase 3, il POLO, presentato al congresso dell’ASCO e pubblicato in contemporanea sul New England Journal of Medicine.
L’importanza di questo studio, è sottolineata anche la sua collocazione all’interno del programma del congresso dell’ASCO. Allo studio POLO è stata infatti riservata la presentazione in sessione plenaria, nel corso della quale vengono presentati solo quattro studi scelti tra gli oltre 5.600 abstract accettati al congresso.
Lo studio internazionale POLO
Dopo aver ottenuto una stabilizzazione della malattia con un trattamento chemioterapico a base di platino (ad es. secondo lo schema FOLFIRINOX) della durata di 16 settimane, gli autori dello studio hanno randomizzato 154 pazienti affetti da tumore del pancreas metastatico e portatori di mutazione germinale BRCA (i due terzi presentavano mutazioni BRCA 2, gli altri mutazioni BRCA1) alla terapia di mantenimento con olaparib o a placebo, dopo 4-8 settimane dalla fine della chemioterapia. La durata media del trattamento con olaparib nel gruppo di trattamento attivo è stata di 6 mesi.
L’olaparib ha raddoppiato la sopravvivenza libera da progressione di malattia nei pazienti trattati, portandola a 7,4 mesi contro i 3,8 mesi del gruppo di controllo. Dopo due anni, il 22,1% dei pazienti trattati con olaparib non aveva ancora mostrato progressione di malattia, contro appena il 9,6% del gruppo di controllo. Non si dispone al momento dei risultati di sopravvivenza poiché l’analisi dei dati non è ancora ‘matura’ ma gli esperti sottolineano che già dai dati acquisiti, un vantaggio sembra evidente in quanto la sopravvivenza media del tumore del pancreas in fase metastatica è normalmente inferiore ad un anno.
“POLO è il primo studio randomizzato di fase 3 sul tumore del pancreas metastatico – commenta il primo autore dello studio Hedy Kindler, professore di medicina alla University of Chicago Medicine - ad utilizzare un approccio terapeutico basato sulla presenza di un biomarcatore, aprendo in questo modo la strada ad una nuova era di medicina personalizzata in questa forma tumorale difficile da trattare. A rispondere alla terapia di mantenimento con olarapib per una media di due anni è stato un paziente su 5 di quelli trattati, un risultato davvero notevole per il tumore del pancreas in fase metastatica. Per i pazienti con tumore del pancreas causato dalla mutazione BRCA, questo potrebbe significare un cambio nella traiettoria della loro malattia”.
Sul versante della safety, il 40% dei pazienti trattati con olaparib ha presentato effetti collaterali di grado 3-5 e il 5,5% dei trattati (contro l’1,7% del gruppo di controllo) ha dovuto interromepere il trattamento. In generale comunque il farmaco è risultato ben tollerato e non ha impattato sulla qualità di vita dei pazienti, tanto da non rilevare differenze con i soggetti assegnati al gruppo di controllo.
La logica della sequenza chemioterapia-olaparib
Allo studio POLO hanno preso parte anche quattordici di centri italiani. “BRCA 1 e 2 – spiega uno degli autori dello studio, il professor Giampaolo Tortora, ordinario di Oncologia Medica all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore del Comprehensive Cancer Center della Fondazione Policlinico A. Gemelli IRCCS di Roma – sono geni fondamentali per la riparazione del DNA. Il razionale alla base di questo studio è stato quello di utilizzare un difetto della cellula tumorale come tallone d’Achille. La sequenza chemioterapia-oalaparib ha una precisa logica. I chemioterapici a base di platino producono tanti danni, tante ‘ferite’ al DNA delle cellule tumorali; se un paziente è portatore di una mutazione a carico di un gene che ripara il DNA, l’uso di un PARP inibitore accentua ulteriormente questo ‘difetto’, ostacolando la riparazione del DNA della cellula tumorale, che finisce col morire.
Per la prima volta con questo studio, in un tumore del pancreas si assegna un trattamento sulla base di un’alterazione molecolare”. I PARP inibitori rappresentano la classe più avanzata tra i farmaci che impediscono la riparazione del DNA tumorale. Ma è solo l’inizio di una lunga storia. “Tra i geni impegnati nel cosiddetto DDR (DNA damage repair) – prosegue Tortora - i BRCA sono solo una piccola parte; ma ci sono al momento tante altre molecole in fase di sperimentazione. Nel caso del tumore del pancreas, si stima che i geni che si occupano dei processi di riparazione del DNA rappresentino anche il 23-24% di tutti i geni”.
Un tumore che ‘corrompe’ il microambiente
Il tumore del pancreas ha rispetto alle altre neoplasie un comportamento del tutto peculiare perché ‘corrompe’ io microambiente circostante e questo favorisce la diffusione metastatica precoce e gli conferisce una particolare aggressività. “Il tumore del pancreas – spiega Tortora – ha una grande componente stromale, è cioè circondato da una sorta di cicatrice fibrosa, tutt’altro che inerte. Contiene infatti un mondo di componenti cellulari (fibroblasti specializzati, cellule ‘stellate’, presenti solo in questo tumore, ecc). produce inoltre una gran quantità di citochine che mantiene uno stato infiammatorio cronico intorno al tumore che, come una cortina fumogena, impedisce alle cellule immunitarie di ‘vederlo’. Questo determina un potente stato immunosoppressivo che fa fallire ad esempio i tentativi di trattamento con gli immunoterapici. Il microambiente del tumore pancreatico è insomma ‘corrotto’ in senso pro-tumorale. Se si riuscisse a cancellare questo effetto immunosoppressore, forse anche l’immunoterapia potrebbe funzionare.
Olaparib, un trattamento efficace non solo nei tumori ginecologici
Olaparib è una terapia a target mirata contro gli enzimi PARP, che giocano un ruolo fondamentale ni processi di trascrizione e riparazione dle DNA. Le mutazioni germinali BRCA sono ereditarie e aumentano il rischio di sviluppare una serie di tumori, non sono quelli ginecologici (mammella e ovario), ma anche pancreas, prostata, tiroide e altri.
All’inizio di quest’anno, l’ASCO ha formulato una Provisional Clinical Opinion (PCO), nella quale raccomandava di sottoporre i pazienti con tumore del pancreas allo screening per la ricerca delle sindromi ereditarie che aumentano il rischio di tumore del pancreas, comprendente anche il test BRCA.
Dopo il tumore del pancreas BRCA-mutato, olaparib è in corso di valutazione anche nel tumore della prostata metastatico (studio di fase 2 TOPARB-B).
Candidabili alla terapia di mantenimento con olaparib potrebbero essere circa 500 pazienti ogni anno in Italia.
Ogni anno si contano in Italia oltre 13 mila nuovi casi di tumore del pancreas; solo l’8,1% dei pazienti è ancora vivo a 5 anni, anche perché solo il 10-15% dei pazienti è candidabile all’intervento chirurgico (il tumore viene tipicamente diagnosticato in fase tardiva).
Maria Rita Montebelli
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