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Martedì 14 FEBBRAIO 2012
Servizi socio-assistenziali. Nel 2008 spesi 6,66 miliardi. Forte gap Nord e Sud
Spesa media pro capite pari a 111 euro. Ma con un consistente gap tra nord e sud, con un minimo di 30 euro in Calabria a un massimo di 280 nella P.A. di Trento. Lo rileva il Rapporto sulla Coesione Sociale elaborato da Inps, Istat e Ministero del Lavoro.
Nel 2008 i Comuni italiani, in forma singola o associata, hanno destinato agli interventi e ai servizi sociali 6 miliardi e 662 milioni di euro, un valore pari allo 0,42% del Pil nazionale. La spesa media pro capite è pari a 111 euro, ma le differenze territoriali sono significative: si va da un minimo di 30 euro in Calabria a un massimo di 280 nella provincia autonoma di Trento. Al di sopra della media nazionale si collocano tutte le regioni del Centro-Nord e la Sardegna, mentre il Sud (escluse le Isole) presenta i livelli più bassi di spesa media pro capite (52 euro), circa tre volte inferiore a quella del Nord-est (155 euro).
È quanto emerge dal secondo Rapporto sulla Coesione sociale elaborato dall'Inps, dall’Istat e dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, e articolato in due volumi, il primo volume è una guida ai principali indicatori (e relativi dati) utili a rappresentare la situazione nel nostro Paese e la sua collocazione in ambito europeo, il secondo volume è composto da una serie di tavole statistiche che offrono dati, generalmente aggiornati al 2010, articolati a diversi livelli territoriali per consentire comparazioni regionali e internazionali.
In particolare, l’82,6% delle risorse impiegate per prestazioni di welfare sociale si concentrano su famiglia e minori, anziani e persone con disabilità. Le politiche di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale incidono per il 7,7% della spesa sociale, mentre il 6,3% è destinato ad attività generali o rivolte alla “multiutenza”. Le quote residue riguardano le aree di utenza “immigrati e nomadi” (2,7%) e “dipendenze” (0,7%).
Il 38,7% della spesa è destinato a interventi e servizi, il 34,7% a sostegno di strutture, il rimanente 26,8% ai trasferimenti in denaro.
Nelle regioni del Sud quote di spesa significative sono destinate alle politiche di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale: il 12,3% nel complesso dell’area, a fronte di una media nazionale del 7,7%, con un picco del 23,8% in Calabria.
Nelle regioni del Nord un volume maggiore di risorse è impiegato per la cura degli anziani e, soprattutto nel Nord-est, dei disabili. La quota di spesa destinata a interventi e servizi per i disabili è elevata anche nelle Isole (29,1%).
L’area di utenza “disabili” è anche quella che registra i livelli di spesa pro capite più elevati. In particolare, la spesa per le politiche sulla disabilità nel 2008 ammontava a 1 miliardo 408 milioni di euro, il 4% in più rispetto all’anno precedente, ma se la spesa media per ogni persona disabile residente in Italia si attesta a 2.500 euro, le differenze regionali passano dai 658 euro all’anno del Sud ai 5.075 del Nord-est, come avevamo già evidenziato in occasione della presentazione, lo scorso maggio, del Rapporto annuale sulla situazione del Paese dell'Istat.
Cresce il rapporto di dipendenza dal nucleo familiare
Il quadro italiano mostra un continuo aumento dell’aspettativa di vita, pari a 79,2 anni per gli uomini e a 84,4 per le donne, con un guadagno rispettivamente di circa nove e sette anni in confronto a trent’anni prima. Il trend è crescente anche per le persone in età avanzata: un uomo di 65 anni può aspettarsi di vivere altri 18,4 anni e una donna altri 21,4 anni, un ottantenne altri 8,4 e una ottantenne 10,1 anni. A livello territoriale, l’area del Paese più longeva è quella del Centro nord.
I bassi livelli di fecondità, congiuntamente al notevole aumento della sopravvivenza, rendono l’Italia uno dei paesi più vecchi al mondo. L'indice di vecchiaia (rapporto percentuale tra la popolazione di 65 anni e più e la popolazione fino a 14 anni) è passato da 111,6 nel 1995 a 144,5 nel 2011. Questa tendenza proseguirà anche nei prossimi anni: secondo le stime, l'indice sarà pari a 205,3 nel 2030, a 256,3 nel 2050.
Cresce anche l’indice di dipendenza, misurato dal rapporto percentuale fra la popolazione in età non attiva (0-14 anni e 65 e più) e quella in età attiva (15-64 anni), che passa dal 45,5% del 1995 al 52,3 del 2011 e che, secondo le stime del Rapporto, nel 2050 dovrebbe salire a 84,7.
Legato all’assenza di un’occupazione, si registra anche l’aumento del numero di giovani che resta a carico delle famiglie anche dopo l’ingresso nei 30 anni di età.
Poveri 8,27 milioni di italiani
Nel 2010 le famiglie in condizione di povertà relativa (cioè al di sotto di un valore stabilito di spesa per consumi) erano 2 milioni 734 mila (l’11% delle famiglie residenti), corrispondenti a 8 milioni 272 mila di persone povere, il 13,8% dell’intera popolazione.
Il 10,2% delle persone vive in famiglie a bassa intensità di lavoro, dove cioè meno del 20% del tempo teoricamente disponibile è impiegato in attività lavorative. “Questo dato si spiega anche con la prolungata convivenza con i genitori dei giovani 18-34enni in cerca di occupazione”, si legge nel Rapporto che sottolinea come “nel corso degli anni la condizione di povertà è peggiorata per le famiglie numerose, soprattutto per quelle con figli minori e residenti nel Mezzogiorno, per le famiglie dove convivono più generazioni e per quelle con un solo genitore”.
Nel 2010, l’incidenza della povertà relativa raggiunge il 28% fra i minorenni se questi vivono con i genitori e almeno due fratelli (è al 10,7% se si fa riferimento alla povertà assoluta), mentre supera il 33% (11,8% nel caso della povertà assoluta) se vivono in famiglie con membri aggregati.
La povertà relativa mostra i più evidenti segnali di miglioramento fra gli anziani. Tuttavia, una vulnerabilità in termini economici permane soprattutto nel Mezzogiorno, dove l’incidenza della povertà relativa non scende al di sotto del 26% (7% per la povertà assoluta).
Nel 2010, i paesi dell’Unione Europea a 15 che mostrano i tassi più preoccupanti di grave deprivazione materiale sono la Grecia (11,6%), il Portogallo (9,0%) e l’Italia (6,9%); diversamente, in Finlandia, Danimarca, Svezia, Paesi Bassi e Lussemburgo la percentuale di persone coinvolte in situazioni di disagio economico grave è inferiore al 3%.
L’indicatore sintetico “Europa 2020”, che considera le persone che sono a rischio di povertà oppure di esclusione sociale (perché vivono in famiglie materialmente deprivate o a bassa intensità lavorativa), nel 2010 è superiore al 22% in sei paesi dell’Europa a 15 (Grecia, Portogallo, Italia, Spagna e Regno Unito). Risulta più contenuto nei paesi scandinavi in Austria e nei Paesi Bassi.
In Italia, il rischio di povertà o di esclusione sociale è relativamente maggiore per le famiglie con tre o più figli, soprattutto se minori, e per quelle monogenitori. La situazione delle coppie con figli non tutti minori appare più o meno critica in relazione alla partecipazione al mercato del lavoro di almeno due percettori di reddito.
Invalidità e assegni sociali: nel 2010 spesa pari a 4 milioni 480mila
Nel complesso il numero dei pensionati d’invalidità e assegni sociali ammonta, al 31 dicembre 2010, a 4 milioni 480mila. Si tratta di circa 2 milioni 115mila uomini e 2 milioni 365mila donne che vivono nel 15,9% dei casi nel Nord-ovest, mentre il 19,9% risiede nel Nord- Est, il 21% nel Centro, il 28,9% nel Sud e il 13,7% nelle Isole.
Nella distribuzione per età, la classe più numerosa è rappresentata dagli ultraottantenni, che sono il 34,6%. Il 52,8% dei pensionati d’invalidità e assegni sociali percepisce un importo mensile inferiore a mille euro, il 26,3% gode di una pensione fra mille e millecinquecento euro, solo l’1,5% ne ha una sopra i tremila.
Sono circa 1 milione e mezzo le pensioni di invalidità previdenziale al 31 dicembre 2010, di cui circa 680mila percepite dagli uomini e 819mila dalle donne, con un importo medio annuo rispettivamente di 9.267 e 7.689 euro. Le pensioni d’invalidità previdenziale sono erogate per il 16,7% nel Nord-ovest, il 14% nel Nord-est, il 21,1% nel Centro, il 32% nel Sud e il 14,6% nelle Isole.
Anche in questo caso la classe di età più numerosa è quella degli ultraottantenni, con 703 mila pensioni d’invalidità previdenziale, mentre appena lo 0,1% viene erogata a persone con meno di 20 anni.
Il 90,6% delle pensioni d’invalidità previdenziale è sotto i mille euro mensili, mentre solo lo 0,9% è sopra i duemila. Il loro numero è in continuo calo: rispetto al 2008 sono diminuite del 12,6%.
Nel 2010 sono state erogate oltre 3 milioni 158mila pensioni di invalidità civile, circa 1 milione 240mila a uomini e 1 milione 918 mila a donne, che vivono nel 20,3% dei casi nel Nord-ovest, per il 15,2% nel Nord-est, per il 20,3% nel Centro, per il 29,9% nel Sud e per il 14,3% nelle Isole.
Le rendite per gli infortuni sul lavoro sono oltre 748 mila nel 2010, di cui più di 643 mila assegnate a uomini e circa 105 mila a donne. L’importo medio annuo erogato è pari a 4.238 euro. La classe di età più numerosa è sempre quella degli ultraottantenni con 114 mila rendite per infortunio, segue quella 70-74 anni, con 114 mila, e quella 75-79 anni, con 105 mila, mentre la meno numerosa è la classe sotto i 20 anni. Quasi il 95% delle rendite erogate per infortunio sul lavoro ha un importo medio mensile inferiore a mille euro.
Il numero delle pensioni di guerra è pari a oltre 105mila, delle quali quasi l’87% erogate a uomini. Il 16,5% di queste pensioni è concentrato nel Nord-ovest, il 18,4% nel Nord-est, il 28,7% al Centro, il 22,8% al Sud e il 11,2% nelle Isole. L’importo medio annuo erogato è di 8.518 euro.
La classe di età più numerosa è quella degli ultraottantenni, mentre solo lo 0,7% delle pensioni di guerra interessa le classi fino a 29 anni.
Il 91,1% delle pensioni di guerra presenta un importo medio mensile inferiore ai mille euro, il 7,3% è compreso fra mille e duemila euro, e la restante quota ha un importo sopra i duemila euro. Rispetto al 2008, il numero delle pensioni di guerra è diminuito del 12,2%.
Sono circa 800mila le pensioni e assegni sociali erogate nel 2010, circa 258 mila corrisposte a uomini e oltre 542mila a donne. L’importo medio annuo è di 4.952 euro.
Sul territorio queste pensioni si distribuiscono per il 16,1% nel Nord-ovest, il 10,7% è nel Nord Est, il 20,3% al Centro, il 33,4 al Sud e il 19,5% nelle Isole. La classe di età più numerosa è quella dei 65-69enni, con oltre 255mila pensioni erogate. Rispetto al 2008 aumentano leggermente sia il numero delle pensioni e assegni sociali erogati nel 2010 sia il relativo importo medio annuo.
Mercato del lavoro. Sud e donne più svantaggiate
In base al Rapporto, nel secondo trimestre 2011 gli italiani con un’occupazione erano 23 milioni 94mila, lo 0,4% in più dello stesso trimestre del 2010 (+87 mila unità). L’incremento riguarda esclusivamente la componente femminile. Il tasso di occupazione (15-64 anni) rimane stabile su base annua al 57,3%, dopo dieci trimestri consecutivi di flessione e il lieve incremento registrato nel trimestre precedente.
Sempre nel secondo trimestre 2011 il numero dei disoccupati è stato pari a 1 milione 947mila unità. Il tasso di disoccupazione è al 7,8% (+0,5 punti percentuali rispetto al terzo trimestre 2010), quello giovanile (15-24 anni) si attesta invece al 27,4%, raggiungendo il 44% se riferito alle donne del Mezzogiorno.
Le donne, inoltre, continuano ad avere maggiori difficoltà a conciliare i tempi di lavoro e di cura della famiglia: in media, giornalmente, guardando all’insieme del lavoro e delle attività di cura, la donna lavora 1 ora e 3 minuti in più del suo partner quando entrambi sono occupati (9 ore e 9 minuti di lavoro totale per le donne contro le 8 ore e 6 minuti degli uomini). Per le coppie con figli il divario di tempo sale a 1 ora e 15 minuti (Anni 2008-2009).
L’indice di asimmetria del lavoro familiare – ossia quanta parte del tempo dedicato al lavoro domestico, di cura e di acquisti di beni e servizi è svolta dalle donne – indica che il 71,3% del lavoro familiare delle coppie è ancora a carico delle donne.
Nelle coppie con entrambi i partner occupati, il maggior grado di asimmetria si osserva tra le coppie con figli residenti nel Mezzogiorno (74,6%), in quelle in cui l’età del figlio più piccolo supera i 14 anni (74,6%) e quelle in cui la donna ha un titolo di studio basso (72,2% nel caso di licenza elementare o media).
Continua inoltre a crescere la popolazione che non cerca lavoro né è disponibile a lavorare. Il tasso di inattività si porta al 37,9%, quattro decimi di punto in più rispetto a un anno prima.
Nel 2010, gli occupati a tempo determinato erano 2 milioni 182 mila, il 12,8% dei lavoratori dipendenti. Si tratta in gran parte di giovani e donne. Gli occupati part-time erano invece 3 milioni 437mila, il 15% dell’occupazione complessiva. Anche in quest’ultimo caso prevale nettamente la componente femminile.
Sempre nel 2010, la retribuzione mensile netta è stata di 1.286 euro per i lavoratori italiani e di 973 euro per gli stranieri. In media gli uomini italiani percepiscono una retribuzione più elevata (1.407 euro) rispetto alle italiane (1.131 euro); il divario retributivo di genere è più accentuato per la popolazione straniera, con gli uomini che percepiscono in media 1.118 euro e le donne soltanto 788 euro.
Nel primo semestre 2011 sono stati attivati oltre 5 milioni 325 mila rapporti di lavoro dipendente o parasubordinato. Il 67,7% delle assunzioni è stato formalizzato con contratti a tempo determinato, il 19% con contratti a tempo indeterminato e l’8,6% con contratti di collaborazione. I rapporti di apprendistato sono stati il 3% del totale.
Pensioni e pensionati
Al 31 dicembre 2010 si contano in Italia 16 milioni 708mila pensionati. Di questi, il 75% percepisce solo pensioni di tipo Invalidità, Vecchiaia e Superstiti (Ivs), mentre al restante 25% vengono erogate pensioni di tipo indennitario e assistenziale, eventualmente cumulate con pensioni di tipo Ivs.
Sotto il profilo geografico, il 27,5% dei pensionati risiede nel Nord-ovest, il 19,6% nel Nord-est, il 19,5% nel Centro, il 20,6% al Sud, il 9,9% nelle Isole.
La classe di età più numerosa è quella degli ultraottantenni, con oltre 3 milioni 732mila pensionati. Seguono quella dei 70-74enni, che ne ha 2 milioni 912 mila, e la classe 65-69 anni, con 2 milioni 721mila pensionati; l’8,2 % dei pensionati ha meno di 55 anni.
Quasi un pensionato su due (49,4%) ha un reddito da pensione inferiore a mille euro, il 37,4% ne percepisce uno fra mille e duemila euro, mentre per il 13,2% dei pensionati il reddito pensionistico è superiore a duemila euro. Rispetto al 2008, il numero dei pensionati diminuisce mediamente dello 0,4%, mentre l’importo medio annuo del reddito aumenta del 9,5%.
Capitale umano. Il 18,8% dei ragazzi abbandona gli studi contro la media Ue del 13,9%
Nel 2010, la quota di giovani 18-24enni che hanno abbandonano prematuramente gli studi o qualsiasi altro tipo di formazione è pari al 18,8%. Si tratta di un valore nettamente superiore a quello dell’Unione Europea a 25 paesi (13,9%) e ancora lontano dall’obiettivo stabilito dalla Strategia Europa2020 della Commissione Europea, che intende portare gli abbandoni sotto la soglia del 10%.
Sebbene più contenuto nei valori assoluti, l’abbandono prematuro degli studi è relativamente più frequente nella popolazione straniera (43,8% contro il 16,4% di quella italiana). Il divario risulta ancora più accentuato per la componente femminile: abbandona gli studi il 42,1% delle giovani straniere contro il 12,7% di quelle italiane.
Nel Mezzogiorno, dei circa 400mila giovani fuori dagli studi, appena il 31,9% è occupato (contro il 43,8% della media nazionale e il 57,9% nel Nord-est), mentre il 49,3% risulta inattivo.
C’è un forte legame tra l’abbandono degli studi da parte dei giovani e il grado di istruzione dei genitori. Appena il 2% dei figli di genitori laureati lascia gli studi, contro il 25,2% dei figli di genitori con licenza media e il 44,4% dei figli di genitori in possesso della licenza elementare.
Il 9% delle neo mamme ha un contratto a tempo determinato
Nel 2010, sono circa 380mila le lavoratrici dipendenti che hanno beneficiato dell’astensione obbligatoria per maternità. Fra le neo-mamme, il 91% ha un contratto a tempo indeterminato (e vive al Nord nel 58% dei casi), il 9% a tempo determinato (di cui il 52% concentrato nel Sud e Isole).
Ammontano a 286mila i lavoratori dipendenti che hanno usufruito di congedi parentali (astensione facoltativa) nel 2010. Di questi, il 93,5% ha un contratto a tempo indeterminato (nel Nord si concentra il 67% dei congedi parentali con contratti a tempo indeterminato). Fra i lavoratori che hanno goduto dei congedi parentali pur non avendo il posto fisso (6,5%), quasi i tre quarti (74%) sono concentrati al Sud e nelle Isole.
I congedi parentali sono invece ancora poco utilizzati dai padri. ”Basti pensare – si legge nel Rapporto - che ne ha usufruito appena il 10% dei lavoratori dipendenti, mentre, fra gli autonomi, le beneficiarie sono esclusivamente donne (100%)”.
Prima infanzia. Offerta asili nido ancora scarsa
Nel 2009 sono circa 193mila i bambini tra zero e due anni di età iscritti negli asili nido comunali, compresi quelli che frequentano gli asili nido convenzionati o sovvenzionati dai Comuni.
Ammonta a circa 1 miliardo e 447 milioni di euro la spesa per gli asili nido, che ingloba quella sostenuta dalle amministrazioni pubbliche e dalle famiglie. La quota di spesa a carico degli utenti è, nel complesso, pari al 18%. Tale quota si mantiene piuttosto stabile negli ultimi anni. La compartecipazione degli utenti alla spesa è più elevata nelle Marche e in Lombardia (rispettivamente 26,4% e 25%).
Ma, afferma il Rapporto, “nonostante il generale ampliamento dell’offerta pubblica, la quota di domanda soddisfatta è ancora limitata rispetto al potenziale bacino di utenza: gli utenti degli asili nido sono passati dal 9,0% dei residenti tra zero e due anni dell’anno 2004 all’11,3% di quelli del 2009”.
Assegni familiari: il 60% dei beneficiari hanno nuclei familiari fino a tre componenti
Le classi di età con il maggior numero di beneficiari sono quelle dei 30-39enni (34,1%) e dei 40-49enni (44,8%). I beneficiari appartenenti a nuclei familiari numerosi sono relativamente di meno: più di sei su dieci appartengono, infatti, a nuclei fino a tre componenti, il 31,9% dei beneficiari ha un nucleo familiare di quattro persone, il 6,1% di cinque e appena l’1,2% ne ha più di cinque.
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