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Venerdì 12 APRILE 2019
Ancora polemiche sulla chiusura del Punto nascita di Castelnovo ne’ Monti
In una lettera inviata all’associazione Salviamo le Cicogne, una donna, che ha perso il bimbo alla 13 settimana di gravidanza, racconta le lunghe attese e i disagi del suo ricovero al S. Maria Nuova di Reggio Emilia. “Non mi sento di incolpare la dottoressa né le infermiere e ostetriche di Ginecologia e Sala Parto che sono state carine. Ma chiederei a chi ha deciso la chiusura del reparto a CastelnovosSe per loro questo è il progresso?”. La Asl: “La contatteremo per chiarire”.
Non smette di sollevare polemiche la chiusura del Punto nascite di Castelnovo Nè Monti. A sollevare la questione, stavolta, è la lettera che una donna che ha perso il figlio alla 13 settimana di gravidanza ha scritto all’associazione “Salviamo le Cicogne”.
“Vi scrivo – si legge nella lettera pubblicata dall’associazione su Facebook - per raccontare le due giornate più brutte della mia vita, lo sarebbero state lo stesso, ma con un minimo di decenza nell'ospedalizzazione sarebbero state meno traumatiche. Purtroppo i disagi creati dalla chiusura del punto nascite a Castelnovo Nè Monti non colpiscono solo chi affronta una gravidanza, ma anche chi, come me, purtroppo la vede svanire all'improvviso”.
“Alla 13esima settimana – racconta la donna - a una visita di controllo in consultorio non rilevano battito. Per forza di cose la dottoressa deve chiamare il S. Maria Nuova di Reggio Emilia per la terapia da eseguire e mi spiega che probabilmente mi faranno anche le analisi per provare a capire il perché sia successo visto che non c'era stato nessun segnale. Mi viene dato appuntamento per il giorno seguente alle 7 e 30. Volendoci 1 ora e 30 (con traffico e meteo nella norma) partiamo alle 5 e 30 e arriviamo puntuali. Dopo aver finalmente trovato il reparto l'infermiera mi chiede i documenti, poi fino alle 9 nessuno mi visita. Mi viene fatta un’ecografia, mi viene detto che dovrò essere operata, mi viene fatto firmare il consenso e vengo mandata in camera con l'obbligo di continuare a restare a digiuno senza bere (lo ero dalla mezzanotte precedente) che per i liquidi mi metteranno una flebo. Aspetto nel letto fiduciosa che tornerà qualcuno a spiegarmi in cosa consiste l'intervento, a farmi le dovute analisi e a mettermi la famosa flebo. Nessuno si è fatto vivo fino alle 13 quando l'infermiera mi dice che devo spostarmi in ginecologia perché il reparto day hospital è in chiusura”.
“Passano altre 2 ore di nulla – prosegue il racconto -, quando camminando nel corridoio già al limite incontriamo la dottoressa che ci dice che visto che clinicamente non sono urgente mi stanno passando avanti tutti gli altri casi, anche perché sono in 2 dottori ginecologi e un solo anestesista che deve però seguire anche altre sale operatorie. Alle 17 la dottoressa in visita ad altre degenti si scusa e dice che ora loro sarebbero liberi, ma l'anestesista no e che comunque c'è anche un altra ragazza che aspetta. Alle 18, meglio tardi che mai, mi mettono una flebo di liquido. E alle 19 (finalmente) arrivano in tutta fretta per portarmi in sala operatoria facendomi preparare in 1 minuto scarso. Mi sveglio alle 20.50, mi portano in una stanza nel reparto Sala Parto dove mi controllano ogni mezz'ora, e vengo riportata in stanza verso l'1 di notte. DICIOTTO ore. 18 ore delle quali 12 passate, oltre che con il dolore emotivo, con la preoccupazione dell'operazione e dell'attesa. 18 ore che il mio compagno ha passato preoccupandosi per me senza poter fare nulla”.
“Io non mi sento – dice la signora - di incolpare la dottoressa (che era già lì alle 9 del mattino e l'ho intravista appena svegliata dall'operazione mentre mi faceva un sorriso e una carezza) né le infermiere e ostetriche di Ginecologia e Sala Parto che sono state carine ( in Day Hospital lasciamo perdere) Ma chiederei a chi ha deciso la chiusura del reparto a Castelnovo (che evidentemente non è solo del punto nascite in sé per sé!) Se per loro questo è il progresso? Se per loro è sicurezza? Se è il bene per noi pazienti? Se è rispetto? Che mi spieghino perché è giusto accentrare tutto su un ospedale se poi non ci sono personale e mezzi per fronteggiarlo nella maniera adeguata? Io non auguro a chi ha deciso per la chiusura di passare quello che abbiamo passato io e il mio compagno perché a differenza loro ho rispetto e decenza (e perché so che le somme verranno tirate da qualcun altro e in altra sede). Però spero che si soffermino un attimo a leggere, e SE hanno un briciolo di umanità, capiscano cosa hanno provocato con la loro scelta”, conclude la lettera della donna, che chiede di rimanere anonima “non perché non voglia metterci la faccia, ma perché non sono pronta a condividere il dolore della mia perdita così apertamente”.
Sul caso è intervenuta la Asl dell’Ausl di Reggio Emilia che in una nota afferma: “In merito alla lettera della signora di Castelnovo ne’ Monti recentemente ricoverata per intervento chirurgico all’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, la Direzione dell’Azienda USL IRCCS di Reggio Emilia informa che è in corso un’analisi dei fatti e che la signora sarà contattata dai professionisti per chiarire insieme, se lo desidera, la dinamica, le modalità e i tempi dell’assistenza, nel rispetto della tutela della privacy”.
“Preme sottolineare – si legge nella nota dell’Ausl - che il triste evento che ha colpito la coppia non è in alcun modo riconducibile al trasferimento da Castelnovo a Reggio, in quanto l’assenza del battito fetale è stata purtroppo diagnosticata da un ginecologo del Consultorio montano, nell’ambito dei controlli del percorso nascita. La programmazione dell’intervento a Reggio Emilia, disposta dai professionisti, risponde ad un criterio prudenziale visto il quadro clinico della paziente. Per l’evoluzione del decorso clinico, la scelta di effettuare l’intervento a Reggio si è rivelata non solo opportuna ma indispensabile”.
“Ci scusiamo con la signora se le modalità di comunicazione non sono state esaustive e se l’organizzazione ha determinato disagi, aspetti su cui ci impegniamo a migliorare. Preme sottolineare infine – conclude la nota dell’Ausl - che il tempo di attesa per l’intervento è legato al fatto che, essendo il sabato una giornata in cui non è prevista attività programmata, la situazione della paziente, per quanto importante, è risultata procrastinabile rispetto alle altre situazioni urgenti arrivate quel giorno e non ha in alcun modo influito sull’esito dell’intervento. Inoltre l’epoca avanzata dell’aborto avrebbe comunque richiesto la centralizzazione perché le complicanze post-abortive aumentano con il progredire dell’epoca gestazionale”.
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