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Giovedì 21 MARZO 2019
Pfas. La provincia di Vicenza e Arpav sapevano, ma hanno taciuto per anni. L’accusa di Greenpeace sui dati dei Carabinieri di Treviso
Dai monitoraggi effettuati tra il 2003 e il 2010 nell’ambito di un progetto coordinato dall’Ufficio Ambiente della Provincia di Vicenza, era emerso “in un paio di casi un incremento significativo” dei livelli di contaminazione di BTF tra il 2003 e il 2009 e ipotizzato il legame con l'attività della Miteni. I segni del disastro ambientale, quindi, erano sotto gli occhi della Provincia, che però non fece nulla per lanciare l’allarme. Ma anche i tecnici dell'Arpav si macchiarono della stessa colpa nel 2006. Sono le pesanti accuse contenute nell’annotazione di polizia giudiziaria redatta dai Carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Treviso e rese note da Greenpeace che è parte civile nel procedimento penale contro l’inquinamento da Pfas. IL DOCUMENTO
Sono accuse pesantissime quelle rivolte alla Provincia di Vicenza e all’Arpav da Greenpeace, che rendendo noti alcuni stralci dell’annotazione di polizia giudiziaria redatta dal Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale Nucleo Operativo Ecologico (NOE) di Treviso, ha denunciato come le autorità locali e gli enti di controllo ambientali potrebbero aver avuto un ruolo chiave nel ritardare gli interventi amministrativi (di bonifica) e le indagini penali a carico dell’azienda chimica Miteni.
Il documento del Noe è stato acquisito da Greenpeace a seguito della chiusura delle indagini relative al procedimento penale n. 1943/16, ovvero relativo a “inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) nelle province di Vicenza, Padova e Verona”.
Nell’annotazione i Carabinieri porrebbero seri interrogativi sull’operato della Provincia di Vicenza che, in base agli esiti di un progetto denominato GIADA, condotto tra il 2003 e 2009, da fondi comunitari e coordinato dall’Ufficio Ambiente della Provincia di Vicenza, avrebbe potuto lanciare l’allarme sul disastro ambientale in atto già una decina di anni fa.
Quei dati, infatti, avrebbero evidenziavato notevoli incrementi di concentrazione di BTF (Benzotrifluoruri) nelle falde acquifere tra Trissino e Montecchio Maggiore ma, secondo il NOE, non sarebbero mai stati nemmeno formalmente inoltrati all’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente del Veneto (ARPAV). D’altra parte, l’Arpav si sarebbe macchiata della stessa colpa già dal 2006. Quando, cioè, tecnici dell’agenzia regionale intervennero presso la barriera idraulica istallata nel sito di Miteni: le operazioni di bonifica potevano partire in quel momento.
Nel caso del Progetto Giada, in particolare, secondo quanto riferito dal Noe, era emerso “in un paio di casi un incremento significativo” dei livelli di contaminazione di BTF tra il 2003 e il 2009 che “potrebbe dipendere sia da fattori idrologici sia da fatti nuovi verificatesi all’interno dell’area dello stabilimento”. Di fronte agli esiti contenuti nel progetto GIADA la conclusione del NOE è piuttosto chiara. “Si ritiene che la Provincia di Vicenza, oltre a non condividere il documento (documento conclusivo del Progetto GIADA, pubblicato nel 2011, ndr) con gli altri enti, avrebbe dovuto richiedere espressamente ad ARPAV una verifica approfondita dello stabilimento Miteni” scrive il NOE. “Se ciò fosse avvenuto, l’ARPAV avrebbe notato immediatamente la presenza della barriera idraulica, la quale era stata istallata nel 2005 proprio al fine di tentare di bloccare l’inquinamento della falda da BTF […] Allo stesso modo, l’ARPAV, nonostante fosse a conoscenza degli esiti del Progetto GIADA, inspiegabilmente non ha immediatamente avviato una verifica approfondita e mirata dello stabilimento Miteni”.
ARPAV, in documenti ufficiali, ha infatti sostenuto che solo nel luglio 2013 Miteni avrebbe provveduto ad allineare un filtro a carbone vergine “di fatto cercando di creare una barriera idraulica atta a contenere la dispersione della contaminazione”. Tuttavia, la nota del NOE, rivela che già in data 13 gennaio 2006 personale di ARPAV Vicenza operava direttamente sulla barriera idraulica di Miteni per chiudere/sigillare i contatori dei pozzi collegati alla barriera stessa. Gli investigatori sono arrivati a formalizzare nero su bianco che si tratta di “volontà dei tecnici ARPAV di non voler far emergere la situazione” di inquinamento indicando a sostegno di tale tesi che, se a seguito della citata ispezione del gennaio 2006 (sulla barriera idraulica allora esistente) i tecnici di ARPAV avessero segnalato la cosa ed effettuato le verifiche del caso “la bonifica sarebbe potuta partire già da quella data”.
In base a quanto emerge dalla nota del NOE, dunque, l’operato dei tecnici di ARPAV, che non hanno proceduto come avrebbero potuto nel 2006, avrebbe concorso a condannare la popolazione veneta a subire per ancora più di 10 anni gli effetti di una contaminazione nota e forse anche, potenzialmente, a ritardare una notizia di reato alla Procura con conseguente possibile inizio delle indagini molti anni prima.
“Quanto emerge dal documento del NOE è gravissimo ma non ci risultano ulteriori filoni di indagine aperti dalla Procura di Vicenza a carico degli enti pubblici coinvolti”, dichiara Giuseppe Ungherese, Responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia “Ci auguriamo che la Procura agisca in fretta per definire un quadro chiaro ed esaustivo delle responsabilità e dei responsabili”, conclude Ungherese.
Dai documenti acquisiti da Greenpeace appare, quindi, “difficilmente comprensibile” anche la scelta della Procura di Vicenza di fissare al 2013 il termine ultimo di commissione dei reati: dalla relazione del NOE risulterebbe che i vertici di Miteni, IGIC e Mitsubishi Corporation potrebbero aver commesso reati fino al 2016 e oltre.
“La scelta della Procura di limitare gli accertamenti al 2013 implica l'inapplicabilità della normativa sui cosiddetti Ecoreati, entrata in vigore successivamente”, aggiunge Ungherese. “Applicando la norma sugli Ecoreati, oltre alla possibilità di comminare pene più severe, si renderebbe minimo, almeno per alcuni degli imputati, il rischio della prescrizione”.
Greenpeace segnala infatti come “ancora una volta la prescrizione sui reati ambientali contestati rischia di far finire in un nulla di fatto, processualmente parlando, tutta la vicenda PFAS. La popolazione veneta, che continua a subire le gravi conseguenze dell’inquinamento da PFAS sulla propria salute, ha il diritto di sapere tutta la verità e di avere giustizia”.
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