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Martedì 19 MARZO 2019
Come trattare al meglio i pazienti ischemici con fibrillazione atriale. Le novità dal Congresso dei cardiologi americani

Un paziente con fibrillazione atriale su 5, ad un certo punto della vita presenterà una sindrome coronarica acuta o dovrà essere sottoposto ad angioplastica. Mettere a bordo una doppia terapia antiaggregante insieme alla terapia anticoagulante (per prevenire gli eventi tromboembolici da fibrillazione) può essere rischioso, per il rischio di sanguinamento. Cosa fare dunque? La migliore strategia terapeutica in questi pazienti sembra essere l’associazione clopidogrel-apixaban. E’ quanto suggeriscono i risultati dello studio AUGUSTUS, presentato in questi giorni al congresso dei cardiologi americani (ACC 19) e pubblicato sul New England Journal of Medicine

E’ uno di quegli studi cosiddetti game-changing, che rispondono in modo chiaro ad un dubbio che si trascina da tempo. Come comportarsi di fronte ad un paziente con sindrome coronarica acuta, o rivascolarizzato con angioplastica (PCI)e stent, e affetto da fibrillazione atriale? E’ ragionevole trattarlo con la doppia antiaggregazione (DAPT, clopidogrel + aspirina) associata ad un anticoagulante (warfarin o uno dei nuovi anticoagulanti) o il rischio di emorragia con la ‘triplice’ è decisamente troppo elevato? E’ questa una zona grigia della medicina per la quale fino ad oggi non c’erano risposte certe. Ma lo studio AUGUSTUS, presentato a New Orleans al congresso dell’American College od Cardiology  (16-18 marzo) e pubblicato in contemporanea sul New England Journal of Medicine ha dato una serie di risposte che consentiranno ai medici di orientarsi sulle decisioni cliniche e che saranno presto incorporate nelle linee guida sull’argomento.
 
Il messaggio dello studio è che l’aspirina, nei pazienti con fibrillazione atriale e con sindrome coronarica acuta o sottoposti a PCI, aumenta nettamente il rischio di sanguinamento, senza peraltro ridurre gli eventi ischemici. Dovendo poi associare un anticoagulante, per ridurre il rischio tromboembolico da fibrillazione atriale, il profilo di sicurezza del clopidogrel è superiore a quello dell’aspirina e probabilmente sufficiente, per quanto riguarda gli endpoint ischemici, per la maggior parte dei pazienti con queste caratteristiche.
 
L’aggiunta di apixaban (un nuovo anticoagulante orale), somministrato per prevenire eventi tromboembolici in corso di fibrillazione atriale, presenta inoltre dei vantaggi nel ridurre il rischio tanto di emorragia, che di ricovero, rispetto ai vecchi antagonisti della vitamina K. Quello che non cambia, neppure con l’apixaban, è invece l’incidenza di nuovi eventi ischemici.
 
Aspirina da una parte e warfarin dall’altra insomma, in questa tipologia di pazienti potrebbero non rappresentare una scelta terapeutica ottimale di default; “anche se – fa notare Shamir Metha (Population Health Research Institute and Department of Medicine, McMaster University and Hamilton Health Sciences, Hamilton, Canada) in un editoriale pubblicato sullo stesso numero di NEJM – i risultati di questi trial non forniscono necessariamente prove rassicuranti sul fatto che una sospensione precoce dell’aspirina sia raccomandabile i tutti i pazienti.” Una trombosi dello stent si è verificata infatti nello 0,5% del gruppo trattato con aspirina, contro lo 0,9% del gruppo placebo; un risultato non statisticamente significativo, ma pur sempre un alert. “Il periodo più rischioso – prosegue Metha – per gli eventi coronarici ischemici è nei giorni-settimane a ridosso dell’evento indice. I pazienti dell’AUGUSTUS venivano arruolati nello studio a 1 a 2 settimane dopo l’evento indice e in questo periodo assumevano aspirina.” Ciò significa che questo studio non dà informazioni circa gli effetti di una sospensione veramente precoce dell’aspirina e  gli esperti invitano dunque alla massima prudenza. Una decisione ‘a taglia unica’ in questi pazienti complessi potrebbe insomma non essere una buona idea.
 
Altri cardiologi suggeriscono di soppesare con grande attenzione rischi e benefici della ‘triplice’ (doppia antiaggregazione e anticoagulante), soprattutto nei soggetti sottoposti a interventi di rivascolarizzazione complessi e a basso rischio di sanguinamento; in questi pazienti può essere ragionevole somministrare una triplice terapia per settimane-mesi, come suggerito anche da un documento di consenso, pubblicato lo scorso luglio su Circulation (primo nome Dominick Angiolillo). La decisione insomma va presa su misura del singolo paziente.
 
“Lo studio AUGUSTUS – fa notare il suo primo autore Renato D. Lopes, Duke Clinical Research Institute, Duke University School of Medicine, Durham (USA) – dimostra che il prezzo da pagare per prevenire una trombosi dello stent con l’aspirina, è di 15 sanguinamenti maggiori o non. E in alcune circostanze il medico potrebbe essere disposto a pagarlo questo prezzo. Tuttavia, ritengo che di routine, per la maggior parte di pazienti, un regime a base di un inibitore di P2Y12 e un NAO come l’apixaban possano essere sufficienti”.
 
Lo studio AUGUSTUS
Lo studio, con disegno fattoriale 2 x 2, è stato condotto su 4.616 pazienti, arruolati in 33 Paesi (Nord America, Europa, Asia, Sud America), affetti da fibrillazione atriale e con una recente sindrome coronarica acuta o rivascolarizzazione mediante PCI e stent. A tutti è stato somministrato clopidogrel; quindi sono stati randomizzati a ricevere apixaban o un antagonista della vitamina K. In una diversa randomizzazione in doppio cieco, sono stati assegnati a ricevere aspirina (81 mg/die) o placebo. Il follow up ha avuto una durata di 6 mesi.
Il 10,5% dei soggetti del gruppo trattato con apixaban, contro il 14,7% di quelli in trattamento con un antagonista della vitamina K ha presentato un episodio di sanguinamento maggiore o clinicamente rilevante (HR 0,69). La stessa evenienza si è verificata nel 16,1% dei pazienti in trattamento con aspirina, rispetto al 9% del gruppo placebo (HR 1,89). I soggetti trattati con apixaban hanno presentato un’incidenza inferiore di mortalità o di ospedalizzazione rispetto a quelli trattati con antagonista della vitamina K (23,5% vs. 27,4%, HR 0,83), mentre l’incidenza di eventi ischemici è risultata simile nei due gruppi. I pazienti nel gruppo aspirina hanno presentato un’incidenza di mortalità o ospedalizzazione e di eventi ischemici simile a quella del gruppo placebo.
 
Gli autori concludono dunque che nei pazienti con fibrillazione atriale e con una recente sindrome coronarica acuta o PCI, trattati con un clopidogrel, un regime antitrombotico a base di apixaban, senza aspirina, ha prodotto un minor numero di sanguinamenti e di ricoveri, senza differenze significative nell’incidenza di eventi ischemici, rispetto ai trattamenti che prevedevano un antagonista della vitamina K, l’aspirina o entrambi.
 
Maria Rita Montebelli

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