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Mercoledì 25 GENNAIO 2012
La Cgil e la sanità low cost: “Il nemico non è lei ma chi vuole affossare la sanità pubblica”

In esclusiva il documento sottoscritto dai responsabili Salute, Funzione Pubblica e Medici della Cgil che sottolineano: “La vera scommessa non è fermare il low cost, ma è nella battaglia per una politica sanitaria che investa nel servizio pubblico di qualità, colmando il divario tra nord e sud”.

Il fenomeno della sanità low cost – esploso sul web in particolare per la diffusione di siti che offrono visite specialistiche ed esami diagnostici a prezzi molto bassi – va analizzato nella sua complessità senza giudizi sommari.
Il punto di partenza non può che essere l’offerta calante delle prestazioni sanitarie pubbliche per le minori risorse a fronte della domanda crescente da parte dei cittadini.

Ticket, superticket, tagli dei fondi sanitari, blocchi dei contratti e delle retribuzioni, blocco del turn over, stanno sempre di più impoverendo i servizi pubblici e svilendo la professionalità di chi vi opera.
Basti pensare al taglio di ben 18 miliardi dal 2010 al 2014 dei fondi destinati al servizio sanitario nazionale.
Si negano risorse perfino per l’edilizia sanitaria, come è accaduto con l’ultima legge di stabilità nella quale è stato sottratto il miliardo necessario a rinnovare gli ospedali e i presidi territoriali. 
A fronte della crisi sta passando l’idea che non è più possibile garantire la salute per tutti e l’universalità del servizio è in pericolo, con un crinale pericoloso dove l’asticella di chi ha titolo alle prestazioni pubbliche si abbassa sempre di più. Così diminuiscono le risorse assegnate al pubblico in un circolo vizioso che se non fermato subito rischia di far saltare il banco.

I numeri sono chiari anche per la componente sociale, dove il fondo nazionale è ormai ridotto a pochi milioni e destinato all’estinzione, come già accaduto per il fondo della non autosufficienza.
Gli enti locali stanno subendo tagli devastanti che inevitabilmente ricadranno anche sulle prestazioni sociali.
Prestazioni pubbliche sempre più costose per i cittadini (con una spirale che se non arrestata sta per arrivare anche ad una tassa sui ricoveri ospedalieri), liste di attesa sempre più lunghe anche per la carenza di risorse umane e strutturali, oltre che per accessi inappropriati dettati da un debole filtro del territorio (da riorganizzare) e da un consumismo ingravescente.
Inoltre troppo spesso invece di tagliare gli sprechi si tagliano i servizi. E a meno ospedale si accompagna anche meno sanità territoriale.
Così si rischia di far crollare un sistema sanitario nazionale, anche se costa meno della media europea e con un servizio di qualità riconosciuta.
 
Eppure la domanda di prestazioni sanitarie è in aumento, determinata da diversi i fattori tra i quali l’invecchiamento, la cronicità, le novità scientifiche e biotecnologiche e maggiori informazioni, oltre che una prevalenza della cultura dello star sempre bene e meglio, dettata anche da big pharma.
Il cittadino che può permetterselo (ma quando si sta male si fanno i maggiori sacrifici economici) confronta la prestazione pubblica con quella privata, e se questa ultima è più conveniente (per tempi e per costi) si rivolge a questa ultima.
Fino ad oggi in questo mondo della sanità privata c’erano solo due concorrenti: il sistema accreditato, costituito in gran parte dalle cliniche convenzionate con il SSN, e il privato “puro” per i cittadini più abbienti.
Adesso con le prestazioni low cost il sistema viene modificato con sempre più cittadini che scoprono di poter avere prestazioni sanitarie a basso prezzo, almeno per una prima volta.
Nella Regione Lombardia hanno istituito i cosiddetti Creg (Cronic related group), cioè budget destinati a soggetti anche privati che dovrebbero seguire cittadini con patologie croniche, in pratica al posto dei medici di famiglia. Il non profit come “Welfare Italia” (società che fa capo al consorzio Cgm (cooperative sociali), Intesa San Paolo e Banco Popolare) ha in progetto l’apertura di 135 ambulatori specialistici a prezzi bassi e le stesse assicurazioni, come Unipol attraverso Unipol Salute, stanno aprendo centri medici che offrono visite specialistiche ed esami diagnostici con tariffe concorrenziali.
 
La cosiddetta sanità leggera. La terza via tra pubblico e privato. E anche i fondi sanitari integrativi previsti in alcuni CCNL e in accordi aziendali rischiano di produrre su questo tema pericolosi effetti.
Il disegno strategico del Governo Berlusconi, ben spiegato nei libri bianco e verde del Ministro Sacconi, vedeva un welfare pubblico sempre più residuale accompagnato dalla crescita del pilastro del privato.
Il Governo Monti ha ereditato la programmazione di ulteriori pesantissimi tagli alla sanità ed ha avviato un processo di liberalizzazioni accompagnate dalla proposta di project financing nei settori pubblici con il rischio di continuare la strada di un progressivo disimpegno nella sanità pubblica con una corrispondente crescita della spesa sanitaria privata per i cittadini.
 
Se questo disegno si avverasse, il danno più evidente sarebbe per le persone più deboli. Perché il fallimento principale del mercato nel welfare consiste nel fatto che, considerando la salute, l’istruzione e l’assistenza come merci (e quindi la sanità e la scuola, come mercati), produce disuguaglianze: l’accesso alle prestazioni del welfare (e quindi potenzialmente il soddisfacimento dei diritti sociali) è condizionato dal reddito disponibile e dal livello di salute o di istruzione degli individui. Così “vincono” i più ricchi e i più sani.
Non bisogna dimenticare poi che il produttore, nel mercato, non tende spontaneamente, se non è “costretto” da vincoli prestabiliti, a produrre le prestazioni più appropriate. Le prestazioni più efficaci e a minor costo, anche per il cliente, vengono offerte solo se economicamente vantaggiose. Il fenomeno del consumismo sanitario è tipico nei sistemi di mercato. E con l’avvento di una sanità di mercato, paradossalmente, anche i conti pubblici sono a rischio. L’Italia, insieme ai paesi che hanno una percentuale di spesa sanitaria pubblica su quella totale più alta della media OCSE, dimostra che il modello pubblico universale è capace di controllare meglio le stesse dinamiche di spesa. Invece nei paesi dove la copertura pubblica è più debole (vedi gli USA) la spesa sanitaria complessiva sul PIL è il doppio di quella italiana.
 
Per questo bisogna fermare l’idea che la salute sia una merce. Mentre negli USA Obama cerca di dare garanzia di prestazioni al maggior numero di americani, noi stiamo andando esattamente nella direzione opposta e rischiamo di cadere nel baratro.
Soprattutto in una situazione di crisi dove le persona senza lavoro aumentano e i redditi diminuiscono lo stato deve riconoscere ai cittadini almeno alcuni diritti fondamentali, e tra questi in primo luogo la sanità e l’istruzione.
Se ho un infarto o un ictus (due delle cause principali di morte) non accendo il computer per cercare offerte (low cost o meno) e non mi reco al centro polispecialistico a basso costo.. La mia vita è legata ai minuti che passano finché non si attiva il sistema di emergenza-urgenza che mi porta alla terapia intensiva o in sala operatoria di un ospedale pubblico. Ma fino a quando troveremo l’ambulanza e l’ospedale senza dovere far vedere prima la carta di credito?
Lo stesso discorso può essere fatto per altri campi come ad esempio la tutela dell’ambiente e degli alimenti. Chi controllerà l’inquinamento, l’igiene, il ciclo dell’alimentazione se non avrò più i dipartimenti pubblici di prevenzione?
 
E’ in questa situazione che va giudicata la presenza e la crescita non solo della sanità low cost ma di tutta l’offerta privata.
Innanzitutto, la sanità privata - low cost o  meno - non può sfuggire al rispetto di precisi standard quali-quantitativi, e quindi a rigorosi meccanismi di autorizzazione, accreditamento e controllo, a garanzia dei cittadini.
Certamente nella sanità low cost c’è un problema di chiarezza del messaggio e di trasparenza (e di concorrenza leale) ma il cittadino ha il diritto di rivolgersi verso chi crede. E dietro ad una tariffa bassa può esserci anche un professionista preparato che vuole conquistarsi un suo spazio.
Ma lo ripetiamo, il cuore del problema è la deriva privatistica che rischia di colpire lo stesso servizio sanitario nazionale, che se non fermata porterà alla perdita del principio universalistico della tutela della salute.
Allora la vera scommessa non è fermare il low cost, ma è nella battaglia per una politica sanitaria che investa nel servizio pubblico di qualità, colmando il divario tra nord e sud.
Solo con un SSN forte e di qualità nel garantire il diritto alla salute e alle cure, la presenza della sanità privata – nelle varie forme: accreditata, pura, low cost o integrativa – può svolgere una utile funzione di integrazione e completamento e rispondere alla domanda di consumi sanitari senza produrre i danni tipicamente connessi al mercato nel welfare.  
 
Stefano Cecconi, responsabile Politiche della Salute CGIL nazionale
Cecilia Taranto, segretaria nazionale FPCGIL
Massimo Cozza, segretario nazionale FPCGIL Medici
 

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