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Lunedì 28 GENNAIO 2019
Il lupo, l’agnello e la sanità intermediata



Gentile Direttore,
leggo l’articolo “Perché sarebbe un errore abbandonare la sanità integrativa”, dove, ancora una volta, si vuole convincere le persone che il lupo e l’agnello possano convivere pacificamente. Per definizione le imprese detengono, legittimamente, un solo scopo: il profitto. Altra cosa è il SSN che invece punta al mantenimento e alla tutela della salute, anche se da questo approccio possa derivare una riduzione del profitto. L’impresa risponde a chi in essa investe. Altra cosa ancora è la libera professione pura che risponde al professionista della salute. Quest’ultimo, dovendo comunque tutelare il rischio d’impresa, per vocazione e preparazione ha come scopo primario il mantenimento e la tutela della salute dei suoi assistiti.
 
In quest’ottica è bene ricordare che se pure il nostro SSN, che ha appena compiuto i 40 anni, sia considerato uno dei migliori al mondo, oltre che uno dei meno costosi, da più di vent’anni sta attraversando una fase di profondo cambiamento.  Il SSN pur spendendo meno di altri paesi avanzati (come Spagna, Regno Unito, Svezia, Francia, Germania, Danimarca), riesce a mantenere un livello di qualità della sanità pubblica in buona parte paragonabile a quello di altri paesi dell’Europa occidentale o addirittura migliore, sotto il profilo economico-demografico, di quello di altri paesi UE.
 
Nonostante ciò il dibattito italiano degli ultimi anni sul SSN sembra dominato dal fantasma della sostenibilità dei costi, in particolare i governi che si sono succeduti, hanno messo al centro della loro azione il problema della sostenibilità finanziaria del SSN e promosso la riduzione dell’impegno economico pubblico. La volontà politica di contenere quanto più possibile la spesa pubblica in sanità, accompagnata dalla scarsa diffusione di forme collettive di copertura per la spesa privata, sono alla base di uno dei fenomeni più interessanti ed, in prospettiva, potenzialmente rilevanti nel quadro della sanità italiana il diffondersi dei fondi sanitari (integrativi/sostitutivi).
 
I Fondi erogano prestazioni ”teoricamente” supplementari rispetto a quelle fornite dal servizio sanitario pubblico. Ma per carenze presenti nella fornitura di prestazioni da parte del SSN i Fondi finiscono per collocarsi anche nella categoria delle forme assicurative complementari e sostitutive. Molti autori mettono in dubbio i vantaggi della sostenibilità, dell’efficienza e dell’equità dei Fondi, facendo notare come vi sia tutta una serie di rischi sanitari (ad esempio legati all’odontoiatria e all’igiene orale) e socio-sanitari (ad esempio legati ai bisogni di cura per la non autosufficienza) per i quali una copertura tramite i fondi male si presta a coprire costi quasi certi nel tempo (come nel primo caso) e fortemente rilevanti sotto il profilo economico (come nel secondo). Viene da chiedersi se non convenga utilizzare le risorse dello Stato in maniera più diretta tramite interventi sul SSN?
 
Perché questa dinamica di rapida crescita? La risposta va in quattro direzioni:
- Il crescente successo non sembra legato ad un abbassamento del livello di protezione pubblica
- Pare che vi sia la volontà da parte di molti cittadini di impiegare in maniera più efficiente le risorse che spendono in sanità. (out-of-pocket);
- L’offerta di fondi sembra incontrare il favore dei lavoratori in molte aziende (che evidentemente non hanno ben chiara la penalizzazione sul TFR e sul Fondo pensione);
- L’istituzione di fondi sanitari tramite accordi contrattuali fra le parti sociali.
 
Se analizziamo il concreto funzionamento dei fondi in Italia rispetto ai vantaggi e ai potenziali rischi, i risultati delle indagini, ci offrono una serie di risultati, sintetizzabili attorno a tre concetti:
a) in media, una discreta copertura potenziale delle spese sanitarie per una certa parte delle prestazioni;
 b) una forte eterogeneità nelle prestazioni offerte;
 c) una limitata capacità di intervento rispetto alla non autosufficienza.
 
Dall’altra parte troviamo il risvolto della medaglia: In due terzi dei casi anche i familiari (in genere solo quelli “a carico”) dei lavoratori possono entrarne a far parte. Tale dato appare anche più alto se si considerano solo le grandi imprese (81.3%). Ciò significa, però, che in un numero non secondario di casi (soprattutto quando il riferimento va alle aziende medio-piccole, le famose PMI) queste figure sono escluse dalla copertura e, dato anche più rilevante, in gran parte dei casi i fondi non arrivano a coprire alcune delle figure più deboli del mercato del lavoro (i soggetti in mobilità o licenziati, i lavoratori con contratti a tempo determinato) così come il target principale della spesa sanitaria, gli anziani.
 
In conclusione, se l’esperienza dei fondi va valutata come una modalità di raccogliere e coordinare risorse per la sanità sotto forma collettiva, la collocazione di tale terzo pilastro in un contesto di decrescente manutenzione del SSN rischia di trasformare tali enti in un meccanismo di depotenziamento della copertura sanitaria non solo pubblica, ma, paradossalmente, anche dei fondi stessi che, come si evince dall’esperienza dei Paesi dove vige il sistema del terzo pagante, per proteggere il loro profitto innalzeranno il premio. Ne consegue un aumento dell’out of pocket per i cittadini, e dunque una ulteriore altra promessa non mantenuta.
 
Concludendo, credo che la proposta del lupo che vorrebbe che il terzo pilastro sostituisse il secondo vada rigettata perché volta solo a fare l’interesse dell’intermediario della salute. La strada da intraprendere per agevolare la fruizione degli extra-lea è quella di fornire agevolazioni fiscali direttamente ai pazienti.
 
Mauro Casella
Medico Chirurgo Odontoiatra
Libero professionista a Novara(NO)
Dirigente Andi

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